Maschere
Giuliano de’ Ricci, nipote di M. e appassionato ordinatore e trascrittore delle sue carte, ci informa (BNCF, ms. Palatino, E.B. 14.1, f. 160v) di un’opera «recitabile», o meglio di frammenti di un’opera di questo tipo, nella quale l’avo avrebbe messo in satira personaggi che vivevano a Firenze nel 1504. Questa la nota di Giuliano:
e di più [M.] compose ad istanza di messer Virgilio [Marcello Virgilio Adriani] e ad imitazione delle Nebule, et altra commedia di Aristofane, un raggionamento a foggia di commedia, e in atto recitabile, e lo intitolò le Maschere, che l’originale si trova appresso di me fragmentato et non perfetto, e tanto mal concio, che io non l’ho copiato, siccome ho fatto di molte altre cose sue, discorsi et lettere non stampate; et credo anche non lo volessi copiare, perché sotto nomi finti va lacerando et maltrattando molti di quelli cittadini che nel MCIV vivevano.
Dunque, carte frammentarie e in cattivo stato di conservazione, le quali anche per opportunità non erano state trascritte.
Di che sorta di testo si trattasse non si può dire con certezza. Giuliano fa riferimento ad Aristofane (→), in particolare alle Nuvole. Ma M., non leggendo il greco, non poteva avere una conoscenza di prima mano delle Nuvole: alla data del 1504 il corpus aristofanesco era infatti disponibile, a quello che si conosce, solo in lingua originale (princeps era stata un’aldina del 1498). Per averne la traduzione latina bisognerà aspettare il 1538 (Venezia, Pocatela) e quella volgare il 1545 (Venezia, Valgrisi). L’unico testo di Aristofane che Niccolò avrebbe potuto aver letto direttamente era il Pluto, del quale, intorno al 1433-34, Leonardo Bruni, forse in collaborazione con Giovanni Tortelli, aveva tradotto in latino i primi 269 versi (se ne conoscono oggi due manoscritti), e che nel 1501 era stato messo a stampa integralmente a Parma, ancora in versione latina, presso Angelo Ugoleto. C’è dunque motivo di credere che il giudizio di Giuliano de’ Ricci facesse genericamente riferimento alla natura satirica del testo, non a una ripresa del modello comico di Aristofane. Del resto anche Paolo Giovio nel capitolo dedicato a M. negli Elogia aveva definito aristofanesca la Mandragola, da lui citata come Nicia. Il fatto poi che quel testo fosse chiamato «raggionamento» e fosse «recitabile» fa supporre che si trattasse piuttosto di dialogo che di commedia, essendo questo il termine con cui a partire dagli anni Trenta del 16° sec. diventò sempre più frequente indicare un’opera dialogica (Giuliano de’ Ricci scriveva nella seconda metà avanzata del secolo). E se dialogo era, il titolo Maschere potrebbe suggerire che questo si immaginasse avvenuto nel tempo del carnevale. Ma sono tutte ipotesi prive di riscontro. C’è infine da ricordare, ma la coincidenza potrebbe essere casuale, che anche l’azione della Mandragola è collocata nel 1504.