CARBONARI, Massenzio
Scarsi dati sull'esistenza del C., nato a Terni attorno al 1560, si possono desumere dai pochi, e più compiaciuti che dettagliati, incisi autobiografici contenuti nell'unica opera da lui pubblicata. Le modeste possibilità economiche del padre Fioravante - un "alfiere" originario di Ferentillo che era stato al servizio del principe di Massa - non impedirono tuttavia che egli ricevesse un'accurata istruzione e conseguisse una laurea in utroque iure; la quale gli aprì le porte di un'onorevole sistemazione nella burocrazia dello Stato pontificio, di cui divenne apprezzato funzionario.
Non senza sua intima soddisfazione, convinto com'era che la posizione sociale costituisca l'esatto corrispettivo di meriti reali, non il frutto arbitrario della "fortuna... refugio de gli huomini che non temono Dio" e, perciò, "ignoranti e poco prudenti". Ché "la vera fortuna" non è altro che le qualità di cui l'uomo può disporre e che può far fruttare; e queste consistono nell'"esser timorato di Dio... letterato nella professione che si fa, fedele al prencipe che si serve", vale a dire, più semplicemente, nell'"esser huomo da bene sempre". In tal caso non mancheranno le gratificazioni, come appunto testimonia la sua vita.
Dal 1585 circa il C. è alle dipendenze di un energico ecclesiastico bolognese, monsignor Giovan Battista Volta, che assiste per un venticinquennio, per lo più in qualità di "luogotenente", seguendolo nelle sue varie destinazioni da Roma, ov'era collaterale nel Campidoglio e vicegovernatore di Borgo, ai reggimenti di Foligno, Fermo, Camerino, Ancona, Iesi, Città di Castello, Norcia, alle provincie di Campagna e Marittima via via sino alla Romagna e alla provincia della Marca. Ha così modo di collaborare alla vigorosa lotta intrapresa dal Volta contro un brigantaggio tenacemente e minacciosamente persistente a dispetto delle persecuzioni e contro sedizioni e discordie che turbavano profondamente la quiete di tanti centri dello Stato della Chiesa.
E il C. ascriverà a merito del suo spietato superiore - che fu soprattutto valido strumento del clima di terrore voluto da Sisto V - la "pace" restituita a varie città umbro-marchigiane, l'eliminazione di "tanti seditiosi" in Romagna, le "teste" di banditi - tra cui quelle dei famigerati Cicerchia e Roscio da Velletri - inviate "in tanto numero" a Roma. Né il C. dimentica le operazioni da lui stesso condotte, nell'ambito della repressione del banditismo, a Norcia contro il terribile capobanda Marco Sciarra, Intino della Tessa, Pacchiarotto "et altri", in"Sabina e Teverina" contro Guercio Bufalaro, Fabietto da Capranica, Piantamalanni, in Campagna e Marittima contro la Volpe, Simone da Torre e Roscio da Velletri. Molti, a suo dire, i frangenti pericolosi; ed il rischio più grosso gli capitò nelle Marche, in occasione d'un imprevisto scontro coi briganti, nel quale, vedendosi perduto, dovette abbandonare il cavallo, e, "travestito da privato soldato", aprirsi il varco "a furia d'archibugiate" riuscendo "con la fuga" a "campar la vita".
La morte di monsignor Volta, avvenuta a Macerata l'11 nov. 1610, non lo danneggiò, anzi segnò l'avvio d'un deciso avanzamento: nel 1611 Paolo V, ben disposto nel suoi riguardi, volle - nonostante fosse ammogliato - onorarlo "di prelatura, con titolo" di protonotario apostolico e gli conferì il governo di Città di Castello, che il C. tenne sino al 1615 quando passò, certo prima di giugno, a quello di Fabriano, città - secondo le sue affermazioni - "ripiena di mercanti di molto honore e d'huomini di molto valore in lettere et arme, e principalissima non solo della Marca, ma di tutta l'Europa".
Del C. - di cui non si conoscono ulteriori incombenze e di cui è peraltro ignoto l'anno della morte - resta Il governatore politico e christiano... nel quale si discorre del modo che deve tener ciascuno che governa tanto in stato pacifico quanto inquieto, scritto entro il 1615 (l'imprimatur è dell'11 giugno), e stampato, con dedica a Paolo V, a Fabriano nel 1617 ed ivi riedito nel 1619 e nel 1628.
Esaltata l'arte di governare, la sua "eccellenza" resa ancor più grande dall'estrema "gravezza" che l'accompagna, il C. illustra le modalità relative all'insediamento del neogovernatore e le mosse atte a meglio qualificarlo nell'esercizio della carica; insiste sulla importanza della scelta del luogotenente - che il governatore è opportuno tratti cortesemente guardandosi peraltro dallo scivolare in eccessiva cordialità - dilungandosi sui molti requisiti di cui dev'essere fornito per far fronte degnamente ai suoi molti doveri, "tratta infine di quanto entrambi "doveranno fare unitamente per governar bene in stato pacifico" e "in stato inquieto". Misto com'è di disinvolte citazioni a sfoggio di rapide ed eterogenee letture (dalla Bibbia ai classici dell'antichità, da Marsilio da Padova a Botero e a Girolamo Frachetta), di piatte osservazioni e minuti consigli il trattato è senz'altro di scarso valore, ma non per questo privo d'interesse. In fin dei conti, nella sua veste puntigliosamente e fastidiosamente precettistica, è una eloquente testimonianza dei criteri ispiratori e dei supporti etico-culturali di quanti, allora, rese "humilissimamente gratie dell'honore" ricevuto dal papa baciandogli "i santissimi piedi", s'accingevano a reggere una città del suo Stato. Poiché "i cittadini" erano di "tre sorti, cioè semplici, graduati e titolati", il C. ritiene - ed esprime a questo punto una convinzione che doveva essere propria anche di tanti suoi colleghi - "che il governatore non doverà amministrar la giustitia a tutti... in un modo, ma secondo la qualità e grado di ciascheduno". Il che fa ragionevolmente supporre che, in sede di applicazioni pratica, scarsi siano stati i riflessi di un'istruzione della S. Sede del primo Seicento relativa proprio al "governo di Città di Castello", affidato anche al C., la quale raccomandava "ch'el governatore non si mostri partiale da banda alcuna, ma servi il suo decoro et cerchi administrare a tutti egualmente buona giustitia" (in Istruzioni segrete della Curia pontificia pel governo di Perugia e delle altre città umbre(secc. XVI-XVII), in Boll. della R. Deputaz. di storia patria per l'Umbria, XXI [1915], p. 385).
Bibl.: F. Angeloni, Historia di Terni, Roma 1646 (ripubbl. a Pisa 1878), pp. 209-210; L. Iacobilli, Bibl. Umbriae..., Fulginiae 1658, p. 198; Bibl. Casanatensis... catalogus..., II, Roma 1768, p. 99; Mem. civili di Città di Castello, II, Città di Castello 1842, p. 225 (dove il C. è detto "Carboneri" ed è dato, erroneamente, per nativo di Narni); G. Ferrari, Corso sugli scritt. politiciital., Milano 1863, pp. 632-634; F. Cavalli, La scienza polit. in Italia, II, Venezia 1873, pp. 235-238; U. Gobbi, L'economia politica negliscrittori italiani del sec. XVI-XVII, Milano 1889, p. 139; G.D.A., Congresso della R. Deputaz. Umbra, in Arch. stor. ital., s. 5, XLVIII (1911), p. 466; R. De Mattei, L'esaltazione d. politica,la polemica contro i "legisti" ...nel Seicento ital., in Arch. giurid. "F. Serafini", CXXXIII (1946), p. 33; T. Bozza, Scrittori polit. italiani..., Roma 1949, pp. 127-128; R. De Mattei, Il probl. della "Ragion di Stato" nel Seicento, in Riv. int. difilos. d. diritto, XXXVIII (1961), p. 191; Repert. des ouvrages en langue ital. du XVIIe siècle... dansles bibl. de France, a cura di S. P. e P. H. Michel, II, Paris 1968, p. 44; R. De Mattei, Verifiche deitermini politici nel dottrinarismo italiano del Cinque e del Seicento, in Scritti in on. di G. Ambrosini, I, Milano 1970, p. 578.