MASSENZIO
– Non sono note né l’origine né la data di nascita; le fonti informano però sul suo episcopato, di cui fu investito alla morte del predecessore Orso (o Urbano), avvenuta nei primi mesi dell’811.
In seguito al lungo periodo dello scisma dei Tre Capitoli (554), che aveva posto la sede di Aquileia in aperto contrasto con la Chiesa di Roma e con Bisanzio, il patriarca Paolino (557-569), fuggito dalla città occupata dai Longobardi (568), decise di rientrare in comunione con Roma e di stabilire la nuova sede del patriarcato per la Venetia et Histria a Grado. Quando nel 606 a Grado fu eletto patriarca Candidiano, nella parte della Venetia soggetta al dominio longobardo e ancora favorevole allo scisma con Roma fu elevato alla cattedra vescovile Giovanni, che stabilì la propria sede nel più sicuro centro di Cividale (Forum Iulii). Nel 698, sotto la spinta del re Cuniberto e del papa Sergio I, il patriarca della sede aquileiese decise anch’egli di rientrare nell’ortodossia romana. Nel 717 la sede gradense ottenne definitivamente il titolo di patriarcato e nel 731 fu sancita la separazione canonica tra le due diocesi. Da quel momento la regione della Venetia et Histria si trovò ad avere due importanti centri patriarcali in opposizione fra loro, Aquileia e Grado, l’uno con preminenza sulla Venezia terrestre (o Ducato del Friuli) soggetta al Regno longobardo, l’altro sull’Istria e sul litorale veneto, soggetti a Bisanzio.
M. ebbe il merito di riportare la sede del patriarcato da Cividale ad Aquileia, probabilmente poco dopo la sua nomina; egli, inoltre, guidò la sua Chiesa con grande impegno e dedizione sia sul piano religioso e dottrinale sia su quello politico, sociale e urbanistico, essendo favorito in questa sua attività dal supporto e dai benefici imperiali, che in particolare sotto il suo ministero iniziarono a concentrarsi sulla diocesi aquileiese.
Il 14 giugno 811, a ridosso dall’ascesa di M. al soglio patriarcale, Carlomagno, nell’intento di restituire importanza e unità a quest’ultimo, intervenne con un diploma, finalizzato a determinare con esattezza i limiti di pertinenza della diocesi di Aquileia, a comporre una lite scoppiata fra questa Chiesa e il nuovo patriarcato di Iuvavum (Salisburgo) in merito all’attribuzione della Carantania all’una o all’altra giurisdizione (Mon. Germ. Hist., Diplomata, I, Hannoverae 1872, pp. 282 s.). In quell’occasione l’imperatore stabilì che il corso della Drava costituisse il confine tra la diocesi di Aquileia e quella di Salisburgo.
Iniziò allora la ripresa politica ed economica di Aquileia, che nel periodo di assenza del vescovo metropolita aveva subito una notevole decadenza economica, sociale e urbanistica. Nel corso del patriarcato di M. Aquileia conobbe il suo momento più florido, grazie anche alla decisa iniziativa di Carlomagno, il quale non solo appoggiò il ritorno del patriarca, concedendo la libertà nell’elezione del vescovo e l’immunità, ma favorì inoltre il suo operato con donazioni di territori e ricchi finanziamenti tesi a rafforzare l’autorità del vescovo e a contribuire al riassestamento di Aquileia.
Grazie all’importanza di tali concessioni il territorio patriarcale divenne la diocesi più grande d’Europa: si estendeva su un territorio immenso, che confinava a nord con le Alpi Carniche e Giulie, a occidente incontrava il suo limite estremo nel fiume Tagliamento e, passando al di sopra dell’Istria, giungeva a sud fino all’Adriatico. I successori di Carlomagno proseguirono per la medesima strada; Ludovico il Pio nell’819 concesse a M. beni confiscati ai sudditi ribelli; nell’824 nuovi territori intorno a Muzzana e alla Zellia (odierna Gail) furono annessi alla diocesi, e nell’830 anche il monastero femminile di S. Maria in Valle a Cividale, fino ad allora di pertinenza regia, fu affidato a Massenzio.
M. è ricordato inoltre per aver partecipato al sinodo riunitosi a Mantova il 6 giugno 827, in seno al quale fu discussa la questione della precedenza e della legittimità della supremazia di Aquileia sulle diocesi dell’Italia settentrionale, soprattutto in rapporto a quella di Grado.
Il vescovo di Grado, Venerio, avendo avuto per attribuzione papale il controllo sulle lagune venete, ancora di spettanza bizantina, chiedeva l’affidamento dell’Istria che, occupata nel 770 dai Longobardi, era passata poi sotto il Regno franco; la competenza su questa regione fu però riconosciuta dal sinodo alla Chiesa di Aquileia, mentre al suo patriarca furono concessi i pieni diritti metropoliti su di essa. La diocesi di Grado, pur mantenendo il titolo di patriarcato fino al 1451, anno in cui quel titolo fu soppresso, fu invece ricondotta alla soggezione aquileiese.
Per quanto concerne l’attività edilizia, M. diede il via alla ricostruzione della basilica patriarcale, modificandone l’originaria struttura di età tardoantica e sviluppandola in una forma a croce latina.
Nella zona orientale dell’edificio fu costruita l’abside semicircolare, cui furono aggiunte due cappelle laterali absidate con la funzione di transetto. Nel progetto originario, con buona probabilità risalente al patriarcato di M., doveva anche rientrare l’innalzamento del presbiterio allo scopo di ricavarne la cripta sotterranea martoriale, dove furono poi deposte le reliquie dei santi Ermacora e Fortunato. Inoltre, il pavimento fu decorato da un sistema misto di mosaico e lastre marmoree e anche le decorazioni dei gradini della cattedra vescovile sono attribuibili a Massenzio. Nella zona occidentale M. fece costruire tra l’atrio della basilica e il battistero l’edificio oggi ricordato con il nome di chiesa dei Pagani. Alla sua proficua attività edilizia probabilmente si deve anche la fondazione del monastero benedettino di S. Martino alla Beligna.
Sono attribuite a M. una Epistola ad Carolum Magnum imperatorem de significatu rituum baptismi (edita in J.-P. Migne, Patr. Lat., CVI, coll. 51-53a) e una Collectanea de antiquis ritibus baptismi (ibid., coll. 53b-58).
Il primo testo è una risposta a un questionario che Carlomagno inviò nell’812 ai vescovi metropoliti al fine di conoscere i riti di iniziazione alla fede cristiana in uso nel suo Regno. Nel suo intervento, dove si rifà in gran parte al Sacramentario gelasiano, M. sembra rispettare l’ordine romano senza subire l’influenza delle tradizioni cultuali locali della sua Chiesa. Il testo complessivamente appare distinto in sei sezioni, di cui la quarta, forse la più importante, riguarda il simbolo di fede. M., pur rimanendo un fermo avversario dei culti locali contrari alla tradizione romana, si dimostra un importante testimone dell’effettiva esistenza di essi all’interno del territorio della sua diocesi. La Collectanea, che probabilmente fu allegata alla lettera precedente, offriva invece alcune precisazioni di ambito disciplinare e dottrinale, sul significato e il ruolo dei catecumeni e dei neofiti, fermando in particolare l’attenzione sul simbolo di fede.
M. morì probabilmente ad Aquileia nell’837.
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