GRAZIA, Massimiliano
Nacque a Rimini nel 1823. All'indeterminatezza della data di nascita fa riscontro la lacunosità delle notizie sulla famiglia d'origine; e se il nome datogli dai genitori parrebbe alludere a una nostalgia robespierrista da parte del padre, Francesco, del quale si sa pure che aveva combattuto nelle guerre napoleoniche, d'altra parte fu proprio lui che lo volle educato in seminario: una sorte alla quale il G. si sottrasse presto dimostrando chiaramente di non avere alcuna vocazione al sacerdozio. Un atto giudiziario del 1853 lo qualifica ufficialmente come tipografo; ma certo, oltre al mestiere, gli interessavano gli studi letterari che coltivava dedicandosi alle composizioni poetiche, in particolare sonetti, che risentivano sul piano formale dell'influsso della coeva scuola classica romagnola e, su quello dei contenuti, dell'epoca di dura repressione aperta nella regione dal poco illuminato governo di Gregorio XVI. Fu certamente in questi anni che il G. si avvicinò alla carboneria, rivelando subito una particolare attitudine a spostarsi da un paese all'altro senza incappare nei rigidi controlli polizieschi: già ora era in lui la certezza che poco si sarebbe ottenuto se non si fossero collegate tra loro tutte le varie ramificazioni della setta e se non si fosse data unità operativa ai disegni eversivi. Il fallimentare moto di Romagna del 1845, che non lo vide tra i protagonisti, ebbe però in lui un elemento di supporto assai attivo nel soccorrere e portare in salvo i rivoluzionari fuggiaschi.
Sia la vena poetica, sia l'impegno civile del G. vennero alla luce del sole quando nel 1846 fu fatto papa Pio IX: "Noi vediamo aprirsi davanti a noi un regno di giustizia e di pace, un avvenire lietissimo, insperato", scrisse allora il G. nell'introduzione di un opuscolo (A Pio IX perdonatore i Riminesi la loro riconoscenza perpetuano [Rimini 1846]) che, a esaltazione dell'amnistia, raccoglieva i componimenti poetici di vari autori e descriveva il clima di festa che aveva accolto il primo provvedimento del nuovo papa. L'iter poi seguito dal G. fu quello tipico dei liberali del biennio riformatore: elezione il 12 nov. 1847 tra i comandanti della guardia civica riminese, partenza per il Veneto nel marzo 1848 agli ordini del generale A. Ferrari, ritorno in patria dopo la sfortunata difesa di Vicenza. La grave forma di artrite che lo colpì durante la campagna, costringendolo da allora in poi a muoversi con le grucce, impedì al G. di prendere materialmente parte, l'anno dopo, alla difesa della Repubblica Romana assediata dal corpo di spedizione francese; il contributo che stando comunque a Roma poté dare fu quello di segretario della Pubblica Istruzione e poi di responsabile amministrativo dell'ospedale allocato nel convento dell'Annunziatina.
Mentre anche a Roma cercava di mantenere vivi i contatti tra le sette riunite nella cosiddetta costituente carbonica, il G. si accostava intanto a G. Mazzini; e quando il 3 luglio 1849, con i Francesi ormai nella capitale, la costituente trasformatasi in rivoluzionaria lo eleggeva con altri sei elementi a formare un comitato permanente, il suo primo pensiero fu quello di operare una fusione delle sette con la rete cospirativa mazziniana. Al servizio di tale progetto che si venne sviluppando tra il 1851 e il 1853 il G., che nel frattempo era riparato in Svizzera e da qui, nel settembre 1851, a Genova, mise la sua infaticabile costanza nel percorrere clandestinamente l'Italia centrale per creare collegamenti e organizzare cellule rivoluzionarie, a ciò stimolato dal Mazzini che lo considerava uno dei suoi "più caldi e attivi collaboratori" (Ed. naz., XLVII, pp. 42 s.).
Sfociato nell'insuccesso del 6 febbr. 1853, tutto questo lavorio costò al G. un processo da parte delle autorità militari austriache insediatesi a Bologna - con relativa condanna in contumacia il 12 genn. 1855 a 20 anni "d'arresto in fortezza coi ferri" (Comandini, pp. 436 s.) - e un ritorno all'esilio, prima a San Marino, poi a Genova e in Piemonte, infine in Svizzera, tra Lugano, Nyon e Saxon: con gli anni, però, malgrado i ripetuti richiami del Mazzini, il suo ardore repubblicano si attenuò, finendo per spegnersi del tutto dopo che, tornato a Rimini quando le Legazioni furono sottratte al papa, anch'egli accettò l'Unità raggiunta sotto la monarchia sabauda.
Entrato successivamente in contatto con Gonzalve Petit-Pierre, un letterato svizzero che in anni lontani era stato tra i collaboratori di Luigi Napoleone, nel 1869 il G. ne sposò la figlia Hortènse e si stabilì con lei a Parigi cercando fortuna nel settore dell'editoria con un progetto di Biblioteca internazionale universale che intendeva pubblicare classici di tutti i tempi in versione francese: gli avvenimenti della Comune, oltre a bloccare l'iniziativa dopo l'uscita dei primi due volumi, fecero perdere al G. tutti i suoi beni e lo indussero a riparare in Belgio. Qui, in quello stesso 1871, dava alle stampe un lungo saggio (115 pagine) su L'Europe en 1871. Étude historique et politique par un américain (Bruxelles).
Che sotto il velo dell'anonimato si nascondesse il G. lo rivelò l'amico e correligionario Giovanni Luzzi nel necrologio che gli dedicò pochi mesi dopo la morte anche per ricordarne l'adesione alla Chiesa evangelica. In effetti il libro è ricco di riferimenti al ruolo avuto dall'Italia nel corso dell'Ottocento (non manca nemmeno un caldo elogio a Vittorio Emanuele II), ma soprattutto ha come titolo di merito quello di leggere cento anni di storia europea nella chiave della lotta per le nazionalità prima, quindi - dopo il conflitto del 1870 - in quella della contrapposizione e polarizzazione su due razze, la slava e la tedesca, quest'ultima entrata con la vittoria in una fase talmente espansiva da minacciare l'intero continente con la prospettiva del pangermanesimo: contro il quale il G. intravede un solo rimedio, una confederazione difensiva di "tous les États secondaires européens" (p. 72). Un capitolo finale sulla questione sociale condanna risolutamente l'esperimento comunardo, incapace di vincere con la forza e colpevole - secondo un'analisi che il G. mutua dal Mazzini - di "retarder peut-être d'un siècle l'association volontaire des intérêts entre l'ouvrier et le capital, seule solution possible de la question économique sociale" (p. 87).
Dopo un soggiorno nei Paesi Bassi, il G. tornò in Italia e si stabilì a Roma dove rimase fino al 1895, inviando tra l'altro corrispondenze a un giornale olandese. Poi, già malato, si spostò a Firenze, e qui morì il 19 ott. 1900.
Fonti e Bibl.: Il solo profilo del G. di cui si disponga è quello tracciato da G. Luzzi, M. G., in Rivista cristiana, n.s., III (1901), pp. 3-15. Scarso il materiale documentario e tale da illuminare in modo disuguale i momenti salienti della sua vita fino al 1860: in particolare Ed. naz. degli scritti di G. Mazzini (per la consultazione si vedano gli Indici, II, ad nomen); A. Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di F. Comandini e di altri patriotti del tempo (1831-1857), Bologna 1899, ad indicem; F. Spatafora, Il Comitato d'azione di Roma dal 1862 al 1867. Memorie, a cura di A.M. Isastia, I-II, Pisa 1982, ad indicem. Anche l'interesse degli storici si è appuntato principalmente sugli anni 1849-53: si vedano C. Tonini, Compendio della storia di Rimini, II, Rimini 1896, pp. 526, 543, 561; F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti politici all'indomani del 1848, Milano 1958, ad indicem; F. Bartoccini, La "Roma dei Romani", Roma 1970, ad indicem; G.C. Mengozzi, Figure e vicende del Risorgimento, in Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni, I, Rimini 1978, pp. 85, 104, 106, 115; B. Montale, L'emigrazione politica in Genova ed in Liguria (1849-1859), Savona 1982, ad indicem; M.A. Bonelli, Bibliografia sammarinese, San Marino 1985, p. 140; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce.