GUERRI, Massimiliano
Nacque a Reggello, nel "popolo" di San Donato a Fronzano, in Valdarno, il 6 febbr. 1820 da Ferdinando e Margherita Gori. Cresciuto in una famiglia di origini modeste - i genitori erano negozianti in derrate alimentari e filatori di seta -, intorno al 1840 il G. affiancò il padre nell'attività commerciale e prese a frequentare fiere e mercati. Chiamato sovente dagli affari a Firenze, ancor giovanissimo entrò in contatto con il movimento settario che propugnava gli ideali della libertà e dell'indipendenza nazionale. Affiliatosi alla Giovine Italia, si guadagnò ben presto la stima dei maggiori esponenti delle correnti liberali e patriottiche della Toscana, da A. Mordini a G. Mazzoni, da G. Montanelli a F.D. Guerrazzi, da G. Dolfi a C. Monzani, che in breve lo avvicinarono alle più importanti figure della democrazia italiana. Con alcune di esse - e segnatamente con B. Cairoli, A. Bertani, L. Castellazzo, E. Socci, A. Costa - avrebbe poi instaurato un rapporto di amicizia e di collaborazione che sarebbe durato per tutta la vita.
Nel 1845 abbandonò la casa paterna per correre in Romagna e partecipare ai moti insurrezionali che erano colà scoppiati. Questo attirò su di lui la vigilanza della polizia granducale, che lo costrinse a vivere in esilio per molti anni. Tornò ad avere un ruolo attivo nel 1848, quando fu tra i primi ad arruolarsi nel battaglione dei volontari toscani. Combatté a Montanara nella compagnia dei bersaglieri e, fatto prigioniero dagli Austriaci, fu condotto a Mantova, dove - come ricorda nelle memorie - un soldato croato gli affibbiò il nomignolo di Brutto che lo avrebbe accompagnato per il resto dell'esistenza. Di qui venne poi trasferito nel carcere di Theresienstadt, ai confini della Boemia.
Ritornato dalla prigionia, nel dicembre 1848 entrò come maresciallo nella guardia nazionale toscana, corpo che venne disciolto nel maggio 1849 dopo la caduta del governo provvisorio toscano.
Il G. accorse allora a Roma per contribuire alla difesa della Repubblica e, con decreto del ministro della Guerra G. Avezzana (30 giugno 1849) fu inquadrato nel battaglione volteggiatori col grado di sottotenente. Dopo aver partecipato alla difesa del Vascello, agli ordini del generale G. Medici, e aver assistito alla caduta della Repubblica, il G. tornò in Toscana e si ricongiunse con la famiglia. Qui però lo attendevano le persecuzioni del governo granducale, che ne ordinò più volte la carcerazione costringendolo di nuovo all'esilio. Trovò rifugio in Abruzzo, dove dal gennaio 1858 al giugno 1860 lavorò come amministratore dei beni della famiglia di G. Devincenzi, che era emigrato a Londra.
Nel luglio 1860 G. Dolfi, capo del movimento democratico di matrice mazziniana e garibaldina, lo richiamò a Firenze e lo aggregò alla legione di Castelpucci col grado di capitano. Ben presto però il G. fu convocato dal barone B. Ricasoli, che lo inviò a Napoli per svolgere opera di raccordo con l'esercito garibaldino e agevolarne il passaggio dalla Sicilia. Prima di partire per il Mezzogiorno si recò a Livorno, dove incontrò il principe Eugenio di Savoia Carignano, reggente della Toscana, che gli fornì una commendatizia per il marchese E. Pes di Villamarina, ministro di Vittorio Emanuele II e rappresentante del Regno di Sardegna. Questi, ritenendo che la sua presenza fosse opportuna soprattutto in Abruzzo, dove poteva mettere a frutto le conoscenze acquisite durante il periodo di lavoro colà trascorso, lo pregò di recarsi in quelle terre insieme con i fratelli C. e A. De Cesaris. A Penne, dove si stabilì, il G. organizzò il battaglione dei volontari del Gran Sasso d'Italia; più tardi, il 10 sett. 1860, ottenne da C. De Cesaris, nel frattempo nominato prodittatore della provincia di Teramo, la carica di comandante di tutta la guardia nazionale mobilizzata di quel distretto; in questa veste contribuì alla capitolazione della fortezza di Pescara (15 sett. 1860), comandando nella circostanza i drappelli dei volontari e agendo da commissario di guerra per mandato del prodittatore.
Tornato in Toscana, il G. vi rimase fino al cadere del 1866, quando, su proposta del direttore della Scuola agraria di Caserta, fu nominato ispettore agrario del Comune di Gaeta.
Non per questo interruppe la sua militanza nello schieramento democratico e nell'estate del 1867 organizzò il comitato di volontari di Terra di Lavoro che doveva prendere parte alla progettata invasione dello Stato pontificio. Questa attività organizzativa gli costò l'ennesimo arresto, il 5 settembre a Gaeta, e un breve periodo di detenzione, che non gli impedì, di lì a poco, una volta rimesso in libertà, di partecipare alla spedizione di Mentana.
Fu questa l'ultima campagna militare alla quale ebbe modo di partecipare. I gloriosi trascorsi patriottici e la rete di relazioni che attraverso di essi si era costruito fecero del G., negli anni successivi, un costante punto di riferimento dei democratici toscani, specie di quelli del Valdarno. Vicino a B. Cairoli, al Bertani e a tutta l'ala radicale dello schieramento democratico, subì come molti garibaldini il fascino delle teorie internazionaliste ed entrò in contatto con quei gruppi bakuniniani che ebbero in quella zona uno fra i luoghi di radicamento più importanti della regione. Nel novembre 1872 fu tra i fondatori della sezione internazionalista di Pontassieve e nel 1874, implicato nel tentativo insurrezionale, venne di nuovo arrestato. Accusato di "cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato e internazionalismo", nel 1875 fu tra i 43 imputati che vennero processati e assolti dal tribunale di Firenze in un dibattimento che ebbe vasta eco in tutto il paese. A favore del G., ateo e anticlericale, testimoniò in tale circostanza anche un sacerdote, don G. Verità, da sempre vicino al mondo mazziniano e garibaldino.
Questa costante disponibilità all'azione e le disavventure giudiziarie ebbero pesanti ripercussioni sull'attività lavorativa del G., sulle condizioni economiche della famiglia e sulla sua stessa esistenza. Né gli influenti personaggi di cui era amico poterono essergli sempre d'aiuto. Così, se nel 1869, mercé l'interessamento di A. Mordini, allora ministro dei Lavori pubblici, era stato nominato amministratore della tenuta demaniale di Pianora, quando nel 1872 questo impiego cessò, egli rimase per lunghi anni disoccupato e costretto a una vita di privazioni. Trovò un nuovo lavoro soltanto nel 1880, allorché ottenne il posto di custode presso lo Stabilimento teorico-pratico di belle arti di Massa Carrara con uno stipendio annuo di 720 lire. E solo dodici anni più tardi, nel febbraio 1892, gli fu concesso il trasferimento a Firenze, dove fu assegnato come inserviente all'Amministrazione provinciale per l'arte antica.
Il G. morì a Firenze il 20 marzo 1893.
Appartenente da lungo tempo alla massoneria del rito scozzese antico e accettato, all'interno della quale aveva raggiunto i massimi gradi, il G. aveva disposto che i suoi funerali avvenissero in forma civile e che il proprio corpo venisse cremato. Queste ultime volontà vennero rispettate e le sue ceneri furono deposte nel cimitero di Trespiano. Fra le numerosissime lettere di condoglianze che pervennero alla vedova vi furono quelle di F. Crispi e A. Costa, quasi un simbolo dei due estremi che avevano delimitato il percorso ideale e politico del patriota e rivoluzionario valdarnese.
Fonti e Bibl.: Le carte del G., circa 1600 fra lettere e documenti, si conservano presso la Biblioteca nazionale di Firenze. Per un regesto delle sue lettere ad A. Bertani v. Museo del Risorgimento e raccolte storiche del Comune di Milano, Le carte di A. Bertani, Milano 1962, pp. 800-803. Oltre ai necrologi, apparsi sulla stampa locale e nazionale all'indomani della morte, sono da vedere: Lettere e documenti del barone B. Ricasoli, a cura di M. Tabarrini - A. Gotti, V, Firenze 1890, pp. 167, 206, 230; O. Fontanelli Guerri, Ricordi valdarnesi. M. G. (il Brutto). Cenni biografici, Montevarchi 1904; D. Martelli, Corrispondenza inedita, a cura di A. Marabottini - V. Quercioli, Roma 1978, p. 157 e passim; G. Fattori, Epistolario edito e inedito, a cura di P. Dini - F. Dini, Firenze 1997, p. 36 e passim; E. Conti, Le origini del socialismo a Firenze (1860-1880), Roma 1950, p. 186; P. Dini, Diego Martelli, Firenze 1978, passim; A. Battagli, Il movimento operaio nel territorio di Pontassieve dall'Unità d'Italia al fascismo, Firenze 1979, pp. 57 s., 63, 65 s., 68; F. Conti, Laicismo e democrazia. La massoneria in Toscana dopo l'Unità (1860-1900), Firenze 1990, pp. 53, 122, 145; R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, I, Dalla Rivoluzione francese ad Andrea Costa, Torino 1993, p. 436; F. Conti, I notabili e la macchina della politica. Politicizzazione e trasformismo fra Toscana e Romagna nell'età liberale, Manduria 1994, passim; G. Cappelli, "Gli amici dell'Estrema" nel Valdarno fiorentino negli atti di polizia della questura di Firenze, 1870-1898, in Rass. storica toscana, XLV (1999), pp. 37, 40, 42 s.