ONGARO, Massimiliano
ONGARO, Massimiliano. – Nacque a Padova il 21 agosto 1858 da Bernardo, commerciante di legname, e da Maria Ziliani, secondo di cinque figli, in una famiglia della piccola borghesia euganea.
Dopo aver compiuto gli studi tecnici e il biennio di studi propedeutici nella città natale, nell’anno accademico 1880-81 si iscrisse al Regio Istituto tecnico superiore di Milano, successivamente Politecnico, dove conseguì il diploma di laurea di architetto civile il 3 gennaio 1883.
La sua carriera e la sua attività furono profondamente influenzate dalla frequenza ai corsi avviati da Camillo Boito nel 1865 all’Istituto tecnico superiore, dove si formarono e operarono molte tra le menti più acute del panorama architettonico italiano tra Otto e Novecento – tra gli altri Luca Beltrami, Gaetano Moretti, Luigi Broggi, Ruggero Berlam, Luigi Conconi, Giuseppe Brentano – e dove poté beneficiare dell’organizzazione didattica consolidata della scuola. L’obiettivo di Boito – formare un architetto «peritissimo costruttore (che deve) conoscere intimamente le abitudini della società in cui vive; […] sapere ciò che non solo è necessario, ma utile e conveniente negli edifici che innalza; […] essere inoltre sapiente e imaginoso artista» (Boito, 1860, p. 275) – passava attraverso una concezione di avanguardia e di respiro europeo, grazie anche alla politica di continui scambi culturali con istituzioni di altri paesi, prima tra tutte l’École des Beaux-Arts di Parigi. Agli allievi era garantita una formazione ‘politecnica’, nella quale la conoscenza dei problemi tecnici e più in generale pratici del costruire si accompagnava a quella degli aspetti storici e teorici. Gli insegnamenti ‘tecnici’, anche relativi alla gestione delle acque, assieme a quelli artistici, consentivano, al termine di un percorso triennale, di accedere al libero esercizio della professione di architetto civile, carriera viceversa negata ai licenziati dall’Accademia di belle arti.
Un percorso formativo di eccellente qualità permetteva così di raggiungere standard culturali elevati, tali da poter competere con le più prestigiose realtà accademiche europee.
Il 15 settembre 1892 sposò Marianna Banci, dalla quale ebbe quattro figli: Cesco, Maria, Dino e Maria Elisa.
Tra il 1884 e il 1890 fu assistente nella Scuola d’applicazione per gli ingegneri presso la Regia Università di Padova (Minesso, 1992, p. 193); nel 1890 conseguì la libera docenza presso il medesimo istituto, che tenne fino al 1912. Dal 1° dicembre 1902 al 1907 fu architetto ingegnere straordinario al Regio Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Veneto; tra la fine del 1902 e il marzo 1903 e dall’aprile 1905 sino alla effettiva nomina in ruolo ricoprì il ruolo di reggente del medesimo ufficio. Nel luglio 1907 entrò come architetto nel ruolo organico del personale dei monumenti, dei musei, delle gallerie e degli scavi di antichità presso la Soprintendenza di Venezia, di cui ebbe la direzione ad interim. Dal dicembre 1909 fu direttore nell’organico del personale dei monumenti presso la Soprintendenza ai monumenti di Venezia, che guidò poi dal 1° luglio 1911 fino alla morte, dirigendo ad interim la Soprintendenza di Verona tra il 1910 e il 1911 e tra il 1920 e il 1921.
All’attività interna affiancò periodi di lavoro in alcune isole dell’Egeo, in particolare a Creta, dedicandosi al restauro di importanti monumenti. Per un breve periodo, nel 1919, resse ad interim la Scuola archeologica italiana di Atene.
Il crollo del campanile di S. Marco a Venezia, la mattina del 14 luglio 1902, lo avvicinò ai ruoli del ministero della Pubblica Istruzione. A seguito del crollo e del clima di panico che ne derivò, fu infatti avviata la verifica dello stato di conservazione di numerosi monumenti veneziani ritenuti a rischio; l’attuazione di tale piano, l’inadeguatezza quantitativa e professionale dell’organico ministeriale e la competenza di Ongaro favorirono la sua chiamata.
Fu subito incaricato dello studio della condizione statica del campanile di S. Stefano a Venezia, struttura alta con problemi analoghi a quelli del campanile di S. Marco. Si occupò poi, sempre a Venezia, della basilica di S. Maria dei Frari, di S. Nicolò dei Mendicali, del campanile di S. Barnaba, di S. Maria Mater Domini, di S. Giacomo dell’Orio, e a Vicenza di S. Lorenzo. Le esperienze maturate sulla tutela dei campanili gli permisero nel 1912 di far parte della Commissione istituita dal ministero dell’Istruzione per lo studio della Torre di Pisa e, nel 1914, di essere chiamato, su invito di Corrado Ricci, a occuparsi della Torre delle Milizie a Roma.
Il contributo ai temi e alle pratiche della tutela costituì l’aspetto più importante del suo impegno professionale e non a caso i lunghi anni trascorsi alla direzione della Soprintendenza veneziana furono segnati da una continua attività di cantiere. Tale propensione fu di grande utilità durante la prima guerra mondiale, quando Venezia si trovò coinvolta nelle vicende belliche, sia per la sua prossimità alla linea del fronte, avvicinatosi dopo Caporetto a poco più di 20 km di distanza in linea d’aria, sia per la collocazione sulla costa adriatica e per il conseguente rischio di cannoneggiamento da parte degli austriaci; sia, infine, per i bombardamenti aerei subiti (i primi significativi episodi si verificarono in quel conflitto). Venezia fu ripetutamente colpita, anche in alcuni dei suoi più importanti monumenti: S. Maria degli Scalzi, S. Maria Formosa, la cupola di S. Pietro di Castello vennero danneggiati dalle bombe. In questa situazione di difficoltà Ongaro si impegnò appieno: studiando preparati intumescenti contro i rischi di incendio delle strutture lignee degli edifici storici; individuando sistemi di protezione alternativi all’impiego di sacchi riempiti con sabbia; escogitando difese contro gli effetti derivanti dagli spostamenti d’aria originati dalle esplosioni.
Dopo la guerra curò, tra gli altri, i restauri del complesso abbaziale di S. Maria in Sylvis a Sesto al Reghena (Pordenone) e della chiesa di S. Maria a Paluzza (Udine).
La sua riflessione teorica – «Coordinare le leggi della statica colla preservazione di tutto quanto può essere protetto, e ricercare minuziosamente gli artifici che valgano a turbare il meno possibile la visione del monumento, è ufficio del buon restauratore» (I monumenti ed il restauro. Lettura fatta all’Ateneo veneto, 5 marzo 1906, Venezia 1906, p. 112) – lega indissolubilmente la teoria all’impegno nella pratica della tutela; a prevalere è, soprattutto, la considerazione del dato tecnico, l’attenzione alle questioni pratiche di conservazione, in una gamma variabile dal consolidamento di una struttura o di una superficie fino alla prevenzione dei possibili danni bellici.
La sua posizione fu in qualche modo segnata dalla prudenza e da una sorta di conservatorismo che contraddistinse anche i suoi rari approcci alla progettazione del nuovo, tra i quali il padiglione del Veneto all’Esposizione di Roma del 1911, ispirato alla tradizione architettonica veneta più classicheggiante.
Non mancano testimonianze della sua conoscenza di aspetti, anche avanzati, del dibattito contemporaneo sui temi del restauro: sempre nello scritto del 1906, fa riferimento al duplice valore del monumento, storico e artistico, e all’identità tra il concetto di monumento e quello di documento, quasi conoscesse l’opera di Alois Riegl, pubblicata in lingua tedesca in quegli stessi anni. Si tratta però di contributi in genere frammentari, e solo raramente rielaborati in chiave personale; la trattazione astratta di quei temi, infatti, non pare mai interessarlo più di tanto, né tale da indurlo a dedicare all’argomento più di qualche stringata riflessione, sempre debitrice della riflessione teorica di Boito.
In questo senso possono essere lette quasi tutte le speculazioni riferite alla storia e alla teoria della disciplina: le riflessioni sull’opera di Eugène Viollet le Duc, definito principale esponente del ‘restauro stilistico’; i frequenti richiami ai principi contenuti nel voto del III Congresso degli ingegneri e architetti del 1883, voluto del resto proprio da Boito; la spesso citata analogia fra restauratore e chirurgo. In altri contesti, i riferimenti tendono verso la riflessione di John Ruskin – fiero oppositore del ‘restauro stilistico’ e sostenitore di quel ‘restauro romantico’ che non si oppone alla rovina degli edifici – attraverso citazioni di brani di The stones of Venice, iscrivendosi in una linea quasi sempre prediletta in chi operava a Venezia in quegli anni. Anche le affermazioni a favore della rovina e contro il restauro del monumento architettonico risentono dell’influenza del grande inglese.
Negli ultimi giorni del gennaio 1924, mentre era in servizio, fu vittima di un attacco ischemico, secondo le testimonianze dei colleghi cagionato dagli straordinari sforzi compiuti in sopralluoghi e visite, spesso in condizioni difficili e pericolose.
Morì a Venezia il 27 gennaio 1924.
Tra i suoi scritti: La principale causa dei danni ai fabbricati di Venezia, in Il Monitore tecnico, febbraio 1905, pp. 50-53; Come è caduto il campanile di S. Marco, in Nuova Rassegna tecnica internazionale, settembre-ottobre 1905, n. 15, pp. 30-42.
Fonti e Bibl.: Venezia, Soprintendenza per il patrimonio architettonico e paesaggistico, Arch. storico, cartella M. O.; Milano, Politecnico, Arch. storico, Registro iscrizione allievi dal 1879 al 1885-86; Registro delle lauree dal 1864-1865 al 1928-1929; Rubrica degli allievi inscritti; Padova, Università degli Studi, Arch. storico, fascicolo O. M.; C. Boito, L’architettura odierna e l’insegnamento di essa, in Giornale dell’ingegnere, architetto e agronomo, giugno 1860, p. 275; M. Minesso, Tecnici e modernizzazione nel Veneto. La Scuola dell’Università di Padova e la professione dell’ingegnere (1806-1915), Trieste 1992, pp. 173, 192 s., 234, 273; F.R. Liguori, La difesa del patrimonio artistico italiano contro i pericoli della guerra, in Venezia fra arte e guerra 1860-1918, a cura di G. Rossini, Milano 2003, pp. 173-90; M. Pretelli, M. O., ingegneria e restauro tra Otto e Novecento, in La città degli ingegneri. Idee e protagonisti dell’edilizia veneziana tra ’800 e ’900, a cura di F. Cosmai - S. Sorteni, Venezia 2005, pp. 169-178; M. Pretelli, in Dizionario biografico dei soprintendenti architetti (1904-1974), Bologna 2012, pp. 430-437.