STAMPA (Stampi, Stampis de), Massimiliano
STAMPA (Stampi, Stampis de), Massimiliano. – Nato nel 1494, al dire di Pietro Aretino (2012, p. 186) fratello di latte e ‘ganimede’ di Francesco II Sforza, che da duca di Milano lo ebbe «primo d’amore» (Contarini, 1846, p. 273), ritenuto addirittura «parente» del duca (Sanuto, 1969-1970, LIV, col. 56), Stampa nacque da Pietro Martire (1454-1528) e da Barbara del conte Ugolotto Crivelli. Per parte del padre, tramite la nonna (Elisabetta di Ambrogio Visconti) e una zia, Orsina, era parente dei Visconti e di Baldassarre Pusterla: antiche parentele nobili ghibelline della Matricola trecentesca (a cui la famiglia Stampa appartenne per privilegio), coinvolte in tutti i passaggi nodali della storia di Milano e del ghibellinismo milanese, e avviate già a fine Quattrocento a scindersi tra non nobili e patrizi, o più raramente, come in questo caso, aristocratici.
Attestata almeno dall’XI secolo, famiglia consolare nel XIII e sin da allora schierata con i Visconti, gli Stampa furono ghibellini militanti durante il ducato di Giovanni Maria Visconti; compattamente e costantemente filosforzesca appare dalle schede delle Famiglie celebri di Pompeo Litta tutta la discendenza di Achille (bisnonno di Massimiliano) almeno dai tempi della Repubblica ambrosiana. Marco (figlio di Antonio, tesoriere ducale, di un ramo cugino) fu tra i giustiziati (e altri agnati vennero sospettati di complicità) per il tentativo di consegnare la città a Francesco Sforza (1449). Nel 1450 Giovanni (nonno di Massimiliano) con quattro fratelli fu tra i capi degli insorti che sconfissero le forze del governo repubblicano determinando la dedizione allo Sforza; uccise in quella congiuntura il legato veneziano e poi fu tra gli eletti a consegnare al nuovo duca le chiavi della città. Creato cavaliere e aulico ducale, nel 1455 entrò nel ristretto gruppo di milanesi titolari di giurisdizioni feudali grazie all’investitura di Montecastello, mentre fratelli, zii e poi figli venivano via via nominati castellani, commissari o consiglieri segreti. Nel 1477 suo fratello Stefano fu tra gli oppositori della reggenza milanese; alla sua morte, nel 1496, gli subentrò come consigliere segreto il padre di Stampa, eques auratus e nello stesso anno commissario di Lodi. Questi fu eletto dalla sua vicinia nell’ottobre del 1499 per il giuramento di fedeltà a Luigi XII; giurò anche in quanto feudatario, per sé e per i fratelli, ma già nel gennaio del 1500 fu tra i promotori dell’insurrezione contro i francesi che precedette la breve restaurazione sforzesca del febbraio-aprile del 1500.
Dopo la definitiva sconfitta del Moro, Pietro Martire, condannato per ribellione, riuscì a fuggire alla corte asburgica; il figlio Massimiliano visse da allora accanto ai principi Sforza e ne seguì le fortune politiche alternando esilio e ritorni a Milano nelle varie restaurazioni sforzesche (1512-15, 1521-25, 1530-35). Durante la prima, cariche e missioni diplomatiche si concentrarono sui due cugini Giovanni Francesco e Pietro Martire, nel 1513 ambasciatore ducale alla Dieta degli svizzeri; governatore di Cremona nel 1514 e dopo la resa del duca condannato come ribelle dai francesi nel 1516 e poi ancora nel 1519; mentre nella Milano bipartitica nuovamente francese gli Stampa erano annoverati dal segretario veneziano Giovan Iacopo Caroldo tra le 17 famiglie principali ghibelline e venivano menzionati con particolare rilievo – «gloriosi fuere suntque» – tra le parentele illustri dal domenicano Isolani.
Dal 1521 lo Stato di Milano divenne il teatro della guerra della Lega imperiale-pontificia contro la Francia, e della restaurazione della dinastia sforzesca; Francesco II avviò subito una politica di patronage per i suoi fedeli, e tra questi gli Stampa. Il ‘signor’ Giovanni Francesco, primo cugino del padre di Stampa, già senatore segreto investito di Montirago nel 1514, al comando di 400 fanti italiani nel 1524, nello stesso anno ebbe la contea di Rosate; mentre la contea di Melzo andava a Massimiliano, ormai trentenne e almeno dal 1523 «ill.mo signore, gran venatore e aucupatore di tutte le cacce del dominio e stato di Milano» (Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, 1502, 5 gennaio 1523) nonché «supremus camerarius» o «magister camere nostre» (ibid., Registri ducali, n. 69, pp. 151, 472), uomo di corte, dunque, mentre gli incarichi politici (oltre ai feudi di Pietra e Pavone) andavano ancora a suo padre, nominato tra i dodici conservatori dello Stato di Milano nell’ottobre del 1525, dopo la scoperta della cosiddetta congiura di Gerolamo Morone e la conseguente ritirata nel castello di Porta Giovia del duca e della sua corte. Massimiliano, il primo dei suoi gentiluomini, era filtro ineludibile per l’accesso al duca, spesso malato; la sua reputazione di inconcussa fedeltà non fu compromessa neppure dalle voci di una sua complicità in un tentato tradimento, e addirittura della sua impiccagione.
Quando Francesco II dovette abbandonare agli imperiali il castello di Milano Stampa, «suo intrinsicho e primario», lo ospitò nella casa che possedeva a Cremona e lo seguì poi a Soncino, dove seppellì il padre Pietro Martire e un figlio di otto anni morti nel 1528 ed ebbe parte nella decorazione della chiesa del convento delle Grazie, in vista forse di un’infeudazione. Dopo il perdono di Carlo V (1529), Francesco II, malgrado le difficoltà finanziarie e la debolezza nei confronti dell’Impero e della corte di Roma, riprese a beneficare Massimiliano e i suoi parenti: fratelli e cugini (Giacomo Maria, sescalco generale, e Francesco Bernardino) compaiono negli elenchi della corte sforzesca; a Ermes i benefici ecclesiastici salvati dalla provvista pontificia e l’impegno (vano) per un cappello cardinalizio; a una sorella, Caterina Bianca, metà dell’ufficio di conservatore degli ebrei, a Gerolama dote in terreni a Torricella del Pizzo e nel Barco di Pavia poi donati a Giorgio, capitano di cavalleggeri, con il feudo di Castelnuovo Bocca d’Adda, alla sua morte passato a Massimiliano che lo retrocedette alla Camera e invece comprò per 14.000 scudi l’ampio e ricco complesso di Cusago e ricevette in feudo, in cambio della rinuncia a Melzo, Rivolta in Gera d’Adda con le entrate della convenzione del Monte di Brianza (1531) e infine, nel 1535, Trumello in territorio pavese; godeva anche di giurisdizione a Cassano e a Grumello. Dal 15 gennaio 1531, appena il presidio spagnolo lasciò il castello di Porta Giovia, Stampa ne fu nominato castellano, con autorità (almeno nell’ultimo anno di vita di Francesco II) su tutte le fortezze dello Stato.
Intanto erano incominciati incarichi diplomatici e di rappresentanza: nel 1527 fu ambasciatore ducale a Ferrara e poi presso l’esercito francese stanziato in Lombardia; nel 1531-32 venne affiancato al legato imperiale Marino Caracciolo nelle trattative di pace tra il duca e il ribelle Gian Giacomo Medici, futuro marchese di Marignano. Nel 1533 l’ambasciatore veneziano lo nominò tra coloro da cui «le cose del stato son maneggiate», ma per ultimo, e unico aristocratico, dopo senatori cancellieri segretari finanzieri «di bassa sorte», in reciproca «concorrenzia e simultà» (Basadonna, 1913, p. 44; e una voce del 1532 attribuì a Stampa l’omicidio, in realtà mai avvenuto, di «Domenico Saoli genovese e molto favorito dal duca per inimicizie erano tra lor per questioni di denari», Sanuto, 1969-1970, LVI, col. 448). Regista nel 1533 delle accoglienze milanesi a Carlo V, peraltro «in tono minore» (Leydi, 1999, p. 52) in armonia con le preferenze dell’imperatore, e protagonista del matrimonio per procura di Francesco II con Cristina di Danimarca (per il quale nel 1533 si recò a Lilla con un seguito di 50 cavalli e 6 gentiluomini e vi tenne un triompho, «vestito d’oro dalla testa ai piedi», Sacchi, 2005, p. 278), fu nuovamente in primo piano nelle accoglienze alla duchessa. Ai funerali del duca si spesero 1400 scudi per vestire la sua corte personale (8000 per quella del duca).
Come il duca e come la nobiltà milanese Stampa diede prova di realismo politico mantenendosi ormai leale a Carlo V e non ascoltò le ricorrenti profferte francesi né nell’intrigo di Giovanni Alberto Meraviglia (1533) né alla morte di Francesco II, che con la devoluzione dello Stato di Milano a Carlo V segnò un momento cruciale nella sua vita e nelle sue fortune postume, specie nella storiografia ottocentesca e risorgimentale che lo accusò di ambiguità, di tradimento e addirittura della misteriosa e improvvisa morte del fratello naturale del duca, Gian Paolo Sforza; e comunque vide in lui il definitivo affossatore dell’indipendenza della ‘patria’, in singolare coincidenza con quanto Stampa stesso vantava nel 1536, lamentando di non aver ancora avuto ricompensa alcuna dall’imperatore, benché «lui solo» gli avesse dato lo Stato di Milano, quieto e pacifico (cit. in Chabod, 1961, p. 8).
Risulta attestato che Stampa (pur firmatario con altri membri del governo di Francesco II di un’istanza per la concessione del Ducato di Milano a un Savoia) alzò bandiera imperiale sul castello appena conclusi i funerali del duca, rifiutò due offerte francesi per la cessione del castello, informando della prima ma non della seconda (1535) gli imperiali, e assicurò a questi ultimi l’originale, vanamente ricercato da Gian Paolo Sforza, dell’investitura imperiale a Ludovico il Moro, che ammetteva alla successione i figli naturali; infine, che tra la morte di Francesco II e il passaggio di consegne del castello trascorse circa un anno, con «gelosia» (Aretino, 1997-1998, I, p. 149) di Carlo V, che pare alla fine se ne impadronisse con uno stratagemma.
Dal sovrano asburgico Stampa (che sembra rischiasse la disgrazia nel 1540) non ebbe il ruolo pubblico cui aveva aspirato e che tentò di ottenere anche con un viaggio in Spagna nel 1537, e poi a Nizza nel seguito imperiale nel 1538. Ebbe soltanto il marchesato di Soncino (1536) con l’aggiunta di dazi che ne portavano l’entrata a 2000 scudi annui (1537), la carica di consigliere e di cameriere dell’imperatore (da cui fu nel 1541 esonerato per ragioni di salute, ricevendo in cambio una pensione di 600 scudi corrispondente al salario) e un’ulteriore pensione di 2000 scudi sulla tratta delle biade, peraltro già concessagli da Francesco II e soggetta alle usuali dilazioni e mancati pagamenti. Nel 1543 fu nominato senatore miles del senato di Milano insieme con il fratello Ermes (già senatore prelato dal 1531 e togato nel 1542).
Stampa, che secondo l’ambasciatore veneziano Basadonna (1913) «non sa di guerra né di lettere ma solamente [...] attende a’ piaceri» (p. 45), non lesinò in spese di rappresentanza effimera e non esitò a «spender regni in mangiare» (cit. in Leydi, 1999, p. 65). Pare che avesse, come i sovrani che servì, il suo ritratto dipinto da Tiziano; se questo e i rapporti con Aretino, che lo menzionò in alcune sue opere e dediche, e inserì nelle sue raccolte epistolari numerose lettere a lui indirizzate, provano più che altro la sua munificenza e il suo interesse per la fama, altri indizi andrebbero approfonditi: dal 1530 al 1537 tenne al proprio servizio il ‘libraio’ Andrea Calvo; Aretino lodò la sua devozione cristocentrica e gli dedicò la sua Umanità di Cristo. Anche dopo la destituzione da castellano la sua casa e il castello di Cusago furono frequentati da letterati, artisti e astrologhi e dagli anni Quaranta la moglie Anna Morone venne citata tra le donne illustri.
La munificenza di Stampa fu consentita da una ricchezza nuova. L’estimo di 4000 ducati attribuito al capofamiglia Pietro Martire nel 1524 era relativamente modesto e inferiore a quello dei parenti che non avevano abbracciato la via dell’esilio; quasi trent’anni dopo il figlio «testò 8000 scudi d’entrata» (cit. in Sacchi, 2005, p. 399); nelle sue fortune, che presero corpo nei cinque anni dell’ultima restaurazione sforzesca, contarono le concessioni di feudi e pensioni, ma non solo: contarono anche le sue funzioni cortigiane, quasi una sorta di spenditore ducale che decideva e anticipava le spese necessarie, ad esempio per il restauro del castello o per il matrimonio del duca (per il quale vantò un credito di 20.500 scudi). Sotto Carlo V trafficò in forniture di vettovaglie agli eserciti imperiali, e i governatori asburgici gli richiesero a più riprese cospicui prestiti; fu in grado di investire somme considerevoli nella ricostruzione del proprio palazzo (che includeva alcune delle numerose case Stampa in contrata de Stampis in porta Ticinese) ornato da un’alta torre su cui già nel 1548 si issavano, al di sopra di quelle sforzesche, le insegne di Carlo V, l’aquila, il globo e le colonne d’Ercole con il motto Plus ultra, in un’autorappresentazione di primo fedele milanese dell’imperatore che concludeva un percorso iniziato almeno dal 1532 con la scelta in ambito asburgico del conte Giovanni Battista di Lodrone quale secondo marito della sorella Bianca Caterina, vedova dello ‘sforzesco’ conte Brunoro Petra.
Stampa morì a Milano nel 1552.
Ebbe funerali «con gran pompa, con le bandiere spiegate et armi e standardi ad uso di marchese» (cit. in Sacchi, 2005, p. 400) e fu sepolto a Soncino, in solitaria magnificenza, anziché con i suoi avi in S. Lorenzo Maggiore a Milano. Sposò Anna Morone, figlia del fu gran cancelliere Gerolamo e sorella del futuro cardinale Giovanni (senatore prelato milanese dal 1534), e forse precedentemente, nel 1530, secondo Sanuto, la figlia di un cortigiano e militare di Francesco II, Giovan Francesco della Somaglia, con dote di 5000 ducati. Non ebbe discendenza. Da circa un decennio si era assicurato la successione ottenendo la riduzione allo stato laicale del fratello Ermes.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Registri ducali, nn. 69, pp. 151-157, 162-165, 262-266, 393-398, 457-465, 470-478; 78, pp. 317-322, 328-333; 81, pp. 20-23; Sforzesco, b. 1502, 5 gennaio 1523; Autografi, bb. 202, 206; Famiglie, Stampa e Soncino, b.182; Atti di governo. Feudi camerali p.a., bb. 187, 233bis, 346, 387,487,509, 578, 719; Atti dei notai di Milano, 3083, 18 ottobre 1499; 8081, nn. 4531-4532, 29 ottobre 1537; G. Sitoni di Scozia, Theatrum genealogicum, c. 424; Archivio privato Trivulzio, Araldica Gian Giacomo Trivulzio 6, n. 79 (4).
Fondamentale lo studio di R. Sacchi, Il disegno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza e di M. S., Milano 2005; I. Isolani, Gestorum ac laudum urbis Mediolanensis totius Galliae Cisalpinae metropolis: epithoma, Milano 1519; G.M. Burigozzo, Cronaca di Milano, in Archivio storico italiano, III (1842), pp. 505, 515 s., 525, 528, 532; G. Contarini, Relazione da Roma. 1530, relazioni degli ambasciatori veneti al senato, a cura di E. Alberi, serie II, 3, Relazioni della corte di Roma nel secolo XVI, a cura di T. Gar, I, Firenze 1846, pp. 255-274 (in partic. p. 273); P. Litta, Famiglie celebri italiane, Stampa, Milano 1851; G. De Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all’Italia, III, Venezia 1867, p. 152; Cronaca modenese di Tommasino Bianchi detto de’ Lancellotti, VI, Parma 1867, p. 192; F. Galantino, Storia di Soncino con documenti, Milano 1869, I, pp. 374-401, II, pp. 4-31, III, pp. 373-380; Miscellanea di storia italiana, XIII, Torino 1871, p. 364; M. Formentini, La dominazione spagnuola in Lombardia, Milano 1881, p. 52; G.J. Caroldo, Relazione del ducato di Milano... 1520, e G. Basadonna, Relatio viri nobilis... 1533, in Relazioni degli ambasciatori veneti al senato, a cura di A. Segarizzi, II, Bari 1913, pp. 3-29, 31-56 (in partic. pp. 19, 42-45); C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco (1450-1500), Milano 1948, ad ind.; F. Chabod, Storia di Milano nell’epoca di Carlo V, Torino 1961, ad ind.; C. Santoro, Gli offici del Comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco, Milano 1968, pp. 363, 390; M. Sanuto, I Diarii, XXXV, XL, XLIII, XLVII, LIV-LVIII, Bologna 1969-1970, ad indices; F. Arese. Le supreme cariche del Ducato di Milano. Da Francesco II Sforza a Filippo V, in Archivio storico lombardo, XCVII (1970), pp. 59-156 (in partic. pp. 83 s., 86); F. Chabod, Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell’epoca di Carlo V, Torino 1971, ad ind.; B. Corio, Storia di Milano, Torino 1978, pp. 140, 548, 1005, 1269, 1329, 1414; P. Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, I-II, Roma 1997-1998, ad indices; S. Leydi, «Sub umbra imperialis aquilae», Firenze 1999, pp. 49-74 e ad ind.; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, I, Roma 2003, ad ind.; S. Meschini, La Francia nel Ducato di Milano, Milano 2006, pp. 166, 1076; E. Rossetti, Una questione di famiglie, in «Fratres de familia». Gli insediamenti dell’Osservanza minoritica nella penisola italiana (sec. XIV-XV), a cura di L. Pellegrini - G.M. Varanini, in Quaderni di storia religiosa, XVIII (2011), pp. 101-165; P. Aretino, Pronostico dello anno 1534, in Id., Operette politiche e satiriche, II, a cura di M. Faini, Roma 2012, pp. 172-198; S. Meschini, La seconda dominazione francese nel Ducato di Milano, Varzi 2014, pp. 82, 136; F. Del Tredici, Il partito dello Stato, in Il Ducato di Filippo Maria Visconti, a cura di F. Cengarle - M.N. Covini, Firenze 2015, pp. 27-69; E. Rossetti, «Arca marmorea elevata a terra per brachia octo», in Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, a cura di L. Arcangeli et al., Milano 2015, pp. 169-227 (in partic. pp. 224-225 nota); M.M. Rabà, Potere e poteri, Milano 2016, pp. 220, 259; F. Del Tredici, Un’altra nobiltà, Milano 2017.