MASSIMINO detto il Trace (C. Iulius Verus Maximinus)
Imperatore romano dal 235 al 238 d. C. Ebbe umilissimi natali in un villaggio della Tracia. Sposò Cecilia Paolina, che gli dette Massimo (C. Iulius Verus Maximus). Servì nei corpi ausiliarî e poì nelle legioni, come gregario e come ufficiale; entrò nell'ordine equestre, fu praefectus castrorum e probabilmente anche comandante di legione. Nel 234 ricevette da Severo Alessandro l'ufficio di praefectus tironibus dell'esercito che si preparava sul Reno alla spedizione contro i Germani. Seppe guadagnarsi l'animo dei soldati, i quali, quando l'imperatore Severo Alessandro iniziò trattative coi Germani, si ribellarono, non si può affermare se istigati da M., e offrirono la porpora al loro comandante. Severo Alessandro fu ucciso (forse l'8 gennaio del 235). M. provvide anzitutto a rafforzare il suo potere, specialmente con l'aumento della paga e con donativi ai soldati, e a difenderlo dalle due congiure di Magno e di Quartino, competitori sostenuti dall'elemento senatorio e dalle milizie orientali. Poi si dedicò alla difesa militare dell'impero. Passato il Reno con l'esercito raccolto da Severo Alessandro, penetrò nel territorio germanico, inseguendo i barbari e sconfiggendoli in battaglia (nell'odierno Württemberg). La vittoriosa spedizione ristabiliva il limes germanico e infliggeva agli Alamanni un colpo così grave che essi se ne riebbero solo al tempo di Valeriano e Gallieno. M. assunse allora (236) il titolo di Germanicus maximus insieme col figlio che, probabilmente nello stesso anno, fu nominato Cesare. Si trasferì poi in Pannonia e negli anni 236-237 sostenne sul Danubio contro Sarmati e Daci una serie di lotte, su cui sappiamo solo che gli fruttarono i titoli di Sarmaticus maximus e Dacius maximus. Si era poi dato a dirivere dal suo quartiere generale di Sirmio i preparativi per una spedizione, che doveva con un attacco concentrico sottomettere tutti i popoli germanici, grandioso piano offensivo impedito dal precipitare degli avvenimenti nell'interno dell'impero. Il durissimo regime instaurato da M., che per i bisogni militari estorceva da ogni parte denaro con tutti i mezzi, gli aveva alienato completamente gli animi della popolazione, specie delle classi colte. Il senato, che aveva dovuto riconoscere la sua autorità, gli fu però sempre ostile e nel 238 colse l'occasione della rivolta dei Gordiani (v.) in Africa, per riconoscerli come imperatori e proclamare M. nemico pubblico, nominando nello stesso tempo una commissione di venti consolari per difendere l'Italia contro lui. M. marciò alla volta dell'Italia. L'uccisione dei (Gordiani non mutò per niente la situazione: il senato li sostituiva, eleggendo imperatori Pupieno Massimo e Balbino. M., entrato senza incontrare resistenza in Italia, trovava Aquileia chiusa e pronta a difendersi, sotto la direzione di Tullio o Giulio Menofilo e Rutilio Pudente Crispino. Tutti i suoi tentativi d'impadronirsi della fortezza fallirono: ne derivò nell'esercito un profondo malumore accresciuto dalla severità della disciplina e dalla scarsezza sempre maggiore dei viveri. I soldati della legione II Partica si ribellarono e, quando M. uscì dalla tenda per affrontarli, lo uccisero insieme col figlio (10 maggio, probabilmente, del 238).
Con M. ha inizio nella storia dell'impero il periodo dell'anarchia militare. Il suo governo, notevole anche per le cure dedicate alla rete stradale e per l'ostilità manifestata verso il cristianesimo, che fu colpito solo nel clero e, pare, per reazione alla politica del predecessore, si può dire il governo di un militare, solo preoccupato dell'esercito e di legittimare con vittorie e conquiste il potere male acquistato: a ciò si dovette il regime spietato che lo trascinò alla caduta e alla morte.
Bibl.: E. Hohl, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., X, coll. 852-870 (con la bibl. precedente); M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'impero romano, trad. it., Firenze [1933], pp. 513, 522-30 e cap. ii°; C. Jullian, Histoire de la Gaule, IV, Parigi 1913, pp. 547-549; Ritterling, Fabricius e Stein, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, coll. 1333-1335, 1480-1481, 1491; XIII, col. 596; 2ª serie, II, coll. 17-18; F. Hertlein, Die Römer in Württenberg, I, Stoccarda 1928, pp. 149-151; W. Veeck, Die Alamannen in Württemberg, Berlino e Lipsia 1931, pp. 98-99; A. Jardé, Études critiques sur la vie et le règne de Sévère Alexandre, Parigi 1925, pp. 85-94; O. Th. Schulz, Vom Prinzipat zum Dominat, Paderborn 1919, pp. 51-68, 198-200; J. Vogt, Die alex. Münzen, I, Stoccarda 1924, pp. 188-90; II, pp. 134-46; E. Kornemann, Doppelprinzipat u. Reichsteilung im Imp. Rom., Lipsia e Berlino 1930, pp. 95-97; A. Manaresi, L'imp. rom. e il cristianesimo, Torino 1914, pp. 307-15; P. Allard, Storia critica delle persecuzioni (trad. ital. di E. Lari), II, Firenze 1924, pp. 187-206; J. Gagé, in Revue historique, CLXXI (1933), p. 30; G. M. Bersanetti, in Atti del III Congr. Naz. di st. rom. Per i XXviri, v. L. Cantarelli, in Ausonia, II (1907), pp. 197-206. Per il Bellum aquileiense, cfr. R. Paribeni, in Notizie degli scavi, 1928, pp. 343-348; G. Dobias, in Bull. della Comm. arch. comun. di Roma, LVII (1929), pp. 149-154; A. Calderini, Aquileia romana, Milano 1930, pp. 51-61, 206, 581-82; A. Stein, in Hermes, LXV (1930), pp. 228-234. Per la cronol. cfr. C. E. Van Sickle, in Class. Philology, XXII (1927), pp. 315-317.