BUTRICI (de Butricis), Massimo
Le pochissime notizie che riguardano questo tipografo pavese, attivo a Venezia nel 1491-1492, derivano dai colofoni di sette delle nove edizioni a lui attribuite. La firma è quasi sempre data per esteso, così da non lasciare dubbi sull'identità della persona: un'unica volta la sottoscrizione avviene con il solo nome di battesimo seguito dall'indicazione del luogo d'origine, ma anche in questo caso è impossibile avanzare qualche perplessità, perché un solo Massimo di Pavia stampò a Venezia sul finire del sec. XV, il Butrici.
Più motivata è l'incertezza circa l'epoca d'inizio della sua attività: quello che è considerato comunemente come il primo prodotto dell'officina, il Buovo d'Antona, reca la data: "Venetiis impressum Mcccclxxxxi die iiiii zenaro". Se questa indicazione cronologica venisse considerata secondo il calendario veneto e quindi rapportata, come d'uso, all'anno 1492 della natività, il titolo di prima edizione dei torchi del B. spetterebbe al Manipulus curatorum di Guido da Montrochen terminato il 31maggio 1491. Ma vi sono buone ragioni per dubitare che il tipografo abbia voluto uniformarsi alle consuetudini della patria d'adozione, perché nella sottoscrizione del Confessionale di s. Antonino all'indicazione del 23 genn. 1492 aggiunse l'apposizione: "Innocentius octavus [sic] pontifice maximo Rome Petri sedem regente et Augustino Barbarico inclito principe Venetiis principiante". Ora se egli avesse voluto adottare l'uso veneto di datare i documenti, non avrebbe potuto far riferimento al papato di Innocenzo VIII, perché questi a quella data, corrispondente al 23 genn. 1493, era morto da sei mesi. Poiché invece seguendo lo stile della natività i dati collimano perfettamente, si deve concludere che il B. non ha mai usato il calendario veneto.
La sequenza delle sue produzioni dovrebbe pertanto essere così ricostruita: al Buovo d'Antona del 5 genn. 1491 e al Manipulus curatorum del 31 maggio successivo seguirono: il 18 giugno una seconda edizione del Buovo d'Antona; il 29 luglio l'Ermete trismegisto nella traduzione latina di Marsilio Ficino; il 19 agosto il De componendis versibus di Francesco Matarazzo; il 24 settembre la Fiammetta del Boccaccio e finalmente, il 23 genn. 1492, il Confessionale di s. Antonino da Firenze. A queste si dovrebbero aggiungere il De Romanorum magistratibus di Fenestella e Pomponio Leto e le Epistolae di Falaride, che, benché prive di note tipografiche, sono comunemente assegnate al B. perché stampate con un carattere romano usato per gran parte delle sue produzioni.
Se le attribuzioni sono esatte, si verrebbero a contare nove edizioni in tredici mesi d'attività, una media più che normale negli annali della tipografia veneziana di quel periodo, illustrato da nomi famosi per la loro solerzia, come Lucantonio Giunta, i De Gregori, i Paganini, Ottaviano Scoto, Bernardino Stagnino, Andrea Torresano e da una miriade di più modesti operatori. La contemporanea presenza di tante officine, oltre venti, imponeva oculatezza nella scelta delle opere da stampare: il B., o mal consigliato dai suoi consulenti o impedito dalla scarsità dei mezzi, credette di assicurarsi il successo accettando solo qualche testo di autore moderno e assecondando per gran parte la tendenza allora diffusa di divulgare opere classiche antiche e medievali senza per altro mai farsi promotore di nuove prime edizioni o di edizioni originali, sollecitate dalle correnti più vive della cultura del tempo. Taluni suoi volumi sono infatti l'ennesima ristampa di fortunate pubblicazioni precedenti (Confessionale di s. Antonino, Manipulus curatorum di Guido da Montrochen, Epistolae di Falaride), mentre altre, pur avendo avuto minor diffusione a stampa (i due Buovo d'Antona sono la quinta e sesta edizione in italiano della celebre canzone di gesta francese, così come la Fiammetta è la quarta del romanzo di Boccaccio), sono testimonianza del perdurare di una tradizione che rese popolare certo genere di letteratura e che si rinnoverà nel sec. XVI.
Proprio per questa mancanza d'iniziative e d'idee, più ancora che per la modestia dei mezzi (il B. disponeva di soli quattro caratteri di stampa: tre gotici, di cui uno per titoli, e uno romano; tipi greci si trovano usati unicamente per qualche parola nel De componendis versibus di Francesco Matarazzo) o per infortuni che possono essere accaduti al protagonista, l'officina del B. era destinata a scomparire presto, soffocata dalla concorrenza e dalla genialità dei grandi stampatori dell'epoca.
Bibl.: Fatta eccezione delle due edizioni del Buovo d'Antona, le pubblicazioni del B. sono abbastanza diffuse. L'Indice generale degli incunabuli delle Biblioteche d'Italia (I-IV, Roma 1942-1965, nn. 649, 1783, 3816, 4586, 4687, 6271, 7702) registra ottanta copie per sette edizioni. La raccolta più completa è tuttavia nelle biblioteche americane elencate da F. R. Goff (Incunabula in American Libraries. A third census..., New York 1964, nn. A-826, B-737, B-1276, F-64, G-601, H-80, M-349, P-299, P-562), che inoltre corregge un probabile errore di L. Hain (Repertorium bibliographicum, II, 2, n. 13582), ripreso anche da K. Burger (The printers and publishers of the XV century, Berlin 1926, p. 365), che riferì al Driadeo di Luca Pulci il colofone del Buovo dAntona. II Catalogue of books printed in the XVth cent. now in the British Museum (London 1924, p. 502) ne descrive compiutamente cinque, attribuendo per la prima volta al B., sulla scorta di R. Proctor, An Index to the early printed books in the British Museum…, II, London 1898, p. 352, le due edizioni prive di note tipografiche. Si veda in proposito anche il Short-title catalogue of books printed in Italy and of Italian books printed in other countries from 1465 to 1600…, London 1958, pp. 32, 91, 108, 509, 532. La descrizione dei caratteri usati dal B. è in K. Haebler, Typenrepertorium der Wiegendrucke, II, Leipzig-New York, p. 176; V, Leipzig 1924, p. 120.