Azeglio, Massimo Taparelli d’
Patriota e scrittore (Torino 1798 - Cannero 1866). Le citazioni di M. nell’opera del liberale moderato A. sono poche, seppure significative. Per via della sua visione laica dello Stato e, insieme, per i suoi forti interessi nella storia italiana quattro-cinquecentesca, A. dovette certo considerare M. un proprio interlocutore. Nel romanzo Ettore Fieramosca ossia la disfida di Barletta (1833), il personaggio del duca Valentino, subdolo e spregiudicato, «insigne ribaldo, rotto a ogni sfrenatezza» (Tutte le opere letterarie, 1° vol., Romanzi, 1966, p. 154), è chiaramente costruito a partire da spunti machiavelliani; rispetto al Principe, il romanzo ribalta il giudizio sul duca, non più valutato come politico efficace, ma come figura morale; il Valentino di A. è in tutto e per tutto un modello negativo, che i politici probi devono quindi respingere: è un essere incapace di sentimenti amorosi, anzi corruttore di donne, al quale non parvero mai «dure cento privazioni per ottenere un suo fine» (p. 155); un uomo dal carattere violento, ma anche mostruoso e ripugnante nel corpo, correlativo oggettivo della sua interiorità.
M. ha influenzato l’A. soprattutto sul piano del metodo politico, improntato a empirismo e pragmatismo.
Dopo la missione in terra romagnola, svolta in qualità di rappresentante del movimento liberale e tesa a ricondurre al riformismo cavouriano i partiti insurrezionalisti estremi (specie quelli facenti capo alle vendite carbonare), A. pubblica alla macchia in Toscana, nel marzo 1846, l’opuscolo Degli ultimi casi di Romagna. Riflessioni, una reazione a caldo al moto di Rimini; e proprio lì dichiara, riallacciandosi alle tesi di Principe xv, il suo credo politico-istituzionale:
«per chi si mette a cose di Stato, la qualità più necessaria è avere il senso pratico, veder il mondo, gli uomini come sono realmente, e non come forse dovrebbero essere» (Opuscoli politici, a cura di V. Gorresio, 1943, p. 14). Nell’opuscolo, coloro che mancano di tale «senso pratico» sono appunto i cospiratori, i quali sperano di rendere indipendente l’Italia attraverso un’insurrezione di massa, preparata mediante congiure; l’attenta lettura di Discorsi III vi è piegata a una polemica contro le congiure risorgimentali:
l’accordo di levarsi in pochi è inutile, di levarsi in molti impossibile. E sarebbe strano certamente se nella patria di Machiavelli, ov’egli proclamava non eseguibile la congiura di poche diecine d’uomini, si tenesse eseguibile quella di migliaia e migliaia (p. 16).
Il tema della inutilità delle congiure torna anche, con riferimento sempre al medesimo capitolo dei Discorsi, in un racconto del 1856, Gli ospiti, nel quale si narra dello sventurato destino di Leonida Montanari, «un giovane romagnuolo, […] chirurgo condotto di Rocca di Papa», che fu ghigliottinato il 23 novembre 1825 per la sua partecipazione ad attività cospirative (Tutte le opere letterarie, 2° vol., Ricordi, 1966, pp. 26-27).
Infine, non è da tacere l’influsso di M. sulle idee di A. in campo religioso; nei Miei ricordi (1ª parte, cap. I), l’autore, seguendo in parte le orme di M. in Discorsi I xi-xii, sostiene la teoria della funzione civile della religione, criticando aspramente il cattolicesimo, che, per via della sua decadenza storica, a tale funzione ha mancato; nel ragionamento dell’A. manca però ogni accenno alla superiorità del paganesimo antico rispetto al cristianesimo: vi si afferma soltanto che la Chiesa di Roma, legittimamente egemone sul territorio italiano, deve riformarsi con urgenza.
Bibliografia: Opuscoli politici, a cura di V. Gorresio, Torino 1943; I miei ricordi, a cura di A. Pompeati, Torino 1958; Tutte le opere letterarie di Massimo d’Azeglio, 1° vol., Romanzi, 2° vol., Ricordi, Opere varie, a cura di A.M. Ghisalberti, Milano 1966.