MASSIMO
. Famiglia romana. Le origini favolose dai Fabî Massimi di Roma antica, espresse nel motto allusivo a Fabio Massimo vincitore di Annibale Cutnctando restituit, non hanno fondamento di verità storica. È certo invece che il ripetersi del nome di M. in personaggi cospicui di Roma e uniti tra loro da probabili vincoli di consanguineità e discendenza, sì da indurre a ritenerli tutti di una sola famiglia, si verifica assai per tempo (un Leo de Maximis nobilh vir è sepolto in S. Alessio in Roma nel 999) nella Roma medievale e si rivela attraverso molteplici e non dubbî documenti.
Nel 1193 un Giovanni Massimi appare proprietario del casale fuori Porta Portese, che si chiamò il Trullo dei Massimi. Nel sec. XIII un Alessandro M., capitano, occupò e rase al suolo Ampiglione, contro le milizie comandate da un Orsini. Da Giovanni discese quel Petrus de Maximis, con il quale alla metà del sec. XV si può dire che s'inizia lo splendore più certo della famiglia.
Antichissima la dimora principale di questa in Parione, resa celebre dalla più antica stamperia romana, fondata dai tedeschi Pannartz e Sweynheim nel 1467 in domo Petri de Maximis. A questo Pietro si deve un restauro delle case antiche dei M. e la loro decorazione in chiaroscuro e graffito nel prospetto di esse, rivolto verso l'odierna Piazza della Posta Vecchia. Suo figlio Domenico ebbe a soffrire delle vicende del sacco di Roma (1527), cui scampò a stento, ma durante il quale il palazzo in Parione, detto del Portico, fu incendiato. Pietro, figlio di Domenico, lo fece ricostruire da Baldassarre Peruzzi e decorare da Daniele da Volterra con affreschi riproducenti la storia della gente Fabia e particolarmente di Fabio Massimo; e promosse lo splendore della casa, specie con il matrimonio di suo figlio Antonio con Pentasilea di Gian Giorgio Cesarini. Angelo, fratello di Pietro, edificò il palazzo detto di Pirro, dalla statua così denominata che ora si trova in Campidoglio, e lo fece decorare di pitture da Giulio Romano. Da Luca, altro fratello di Pietro, nacquero, tra altri: Porzia, sposa di un Salviati, presto vedova, devota di S. Filippo Neri, la quale, fattasi domenicana, fondò il monastero di S. Caterina a Magnanapoli; Lelio, cavaliere di S. Stefano, che comandò una galera pontificia alla battaglia di Lepanto; Carlo, il cui nipote abiatico Carlo Camillo fu nunzio a Madrid e dal 1670 cardinale, mecenate di grandi artisti, tra i quali il Velázquez e il Poussin.
Il già ricordato Angelo sposò in prime nozze Antonina Planca-Incoronati, in seconde Attilia di Tiziano Mattei ed ebbe 12 figli. Di questi, Fabrizio e Tiberio diedero origine rispettivamente ai due rami dei principi M. delle Colonne e dei duchi M. d'Aracoeli, così detti dalla caratteristica e dalla località dei loro palazzi. Fabrizio fu grande amico di Filippo Neri. Da lui nacque Paolo, morto giovanissimo, nella cui persona S. Filippo operò (1583), il miracolo della resurrezione che ogni anno si commemora in casa M.
Il ramo ducale d'Aracoeli si estinse in persona del duca Emilio nel 1907.
Il ramo dei M. delle Colonne, baroni di Pisterzo nel 1547, marchesi di Roccasecca nel 1558, signori di Arsoli nel 1574, principi di Arsoli nel 1826, è quello che fiorisce tuttora nella persona del principe D. Francesco, soprintendente generale delle Poste pontificie come lo furono i suoi antenati. È questo ramo che con parentadi regali ha reso ancora più cospicua la nobiltà dei M. Degni di ricordo i matrimonî del principe Massimiliano Camillo con la principessa M. Cristina di Sassonia (1798), del principe Vittorio Emanuele, suo figlio, con la principessa M. Gabriella di Savoia Carignano (1829), e del vivente principe Fabrizio con la principessa. Beatrice di Borbone-Angiò.
Bibl.: Panvinio, De gente Maxima, fonte precipua delle notizie sulla famiglia pubblicata dal cardinale A. Mai, in Spicilegium romanum, IX (Roma 1843); T. Passeri, Arsoli e i nobilissimi signori M., Roma 1874; Th. Amayden, La storia delle famiglie nobili romane, Roma 1910; P. Colonna, Francesco M. e i suoi tempi (1635-1707), Roma 1911; H. Galante, La inscripción sepulcral de Leo de Maximis, in Anales de la un. de Chile, VIII (1930), pp. 1021-1031.