MASSINISSA (Μασσανάσσης, Masinissa)
Principe numida, nato poco dopo il 240 a. C., figlio di Gaia, re dei Massili. Alla morte di Gaia gli succedette nel regno, secondo l'uso numidico, non il figlio, ma il principe più anziano della famiglia reale, il fratello minore di Gaia, Oezalce e a questo, morto dopo breve regno, il primogenito Capussa. Capussa fu assalito e ucciso da Mazetullo, un regolo numida, che assunse la signoria come tutore del fratello minore di lui, Lacumaze. Ma ora a contendergli il potere venne in Numidia il giovane M., a cui spettava di diritto la successione. M. era stato fino allora in Spagna, inviato da Gaia quale ausiliario del Cartaginesi, di cui Gaia era alleato: alleanza ribadita dalla comune avversione per Siface, re dei Massesili. M. era in Spagna nel 211, e vi cooperò in quell'anno, con la cavalleria numidica, alla disfatta di P. Scipione, il padre dell'Africano. Vi rimase poi negli anni successivi e partecipò nel 207 alla battaglia di Ilipa, in cui i Cartaginesi vennero sconfitti dal futuro Africano. Con questo ci viene detto che M., dopo la sconfitta, allacciasse fin d'allora qualche trattativa. Comunque, tornato in patria, raccolse un esercito e riuscì a impadronirsi del regno massilo. Ma la sua potenza impensierì i Cartaginesi e Siface, che si era frattanto riconciliato con Cartagine, sicché questi invase la Massima, sconfisse M., s'impadronì del regno. Quando Scipione, preparando la spedizione africana, mandò in ricognizione Lelio 1205), M. s'affrettò a mettersi in relazione coi Romani. E quando poi Scipione stesso sbarcò in Africa e mosse all'assedio di Utica (204), M. si congiunse con lui recandogli con i pochi cavalieri che aveva, l'aiuto prezioso della sua esperienza e delle molte amicizie fedeli rimastegli nel regno. M. cooperò alla prima vittoria di Scipione sui Cartaginesi presso Utica e poi nella primavera alla sorpresa fatta da Scipione sui campi di Asdrubale e di Siface, che stringevano da vicino i romani chiusi nella piccola penisola ov'erano i Castra Cornelia. Riuscita questa sorpresa, che sbandò il loro esercito, Asdrubale e Siface mentre raccoglievano nuove forze nella valle media del Bagrada furono audacemente assaliti da Scipione e sconfitti presso i Campi Magni col valido aiuto della cavalleria di M. Dopo di che M. e Lelio con cavalleria e truppe leggiere furono inviati per inseguire Siface, che ripiegava verso occidente. M. rientrò nel regno e insieme con Lelio sconfisse nuovamente Siface sul fiume Ampsaga. Qui Siface fu fatto prigioniero e la capitale di lui Cirta e poi buona parte del suo dominio caddero nelle mani dei vincitori. Con la preda venne in potere di M. la consorte di Siface Sofonisba, la figlia di Asdrubale. Questa, quando M. e Lelio tornarono con la preda e i prigionieri al campo di Scipione, si diede la morte col veleno. È incerto però quale sia il valore dei particolari romanzeschi con cui viene raccontata la novella degli amori di M. per Sofonisba. Tornò poi M. in Numidia per compiere la conquista e raccogliervi aiuti da condurre ai Romani minacciati dallo sbarco di Annibale in Africa. La velocissima marcia con cui egli condusse questi aiuti a Scipione, che gli era venuto incontro nell'interno del territorio cartaginese sino a Naraggara, fu tra le cause precipue della sconfitta che ivi Scipione riuscì a infliggere ad Annibale ponendo fine con la piena vittoria di Roma alla seconda guerra punica (202). Nella pace del 201 Cartagine fu obbligata non solo a riconoscere l'indipendenza di M. e a non fare guerra contro lui, ma anche a restituirgli ogni suo possesso su cui M. potesse rivendicare diritti aviti. Clausola gravissima che la metteva alla mercé dei Romani e di M., perché non c'era parte del suo territorio, su cui non avessero in origine dominato i Libî. Scipione e il senato diedero a M. titolo e insegne di re, quasi a mostrare che egli regnava ormai per grazia di Roma. Dopo la pace con Cartagine, M. stabilì saldamente il suo dominio su tutta la regione fra il confine cartaginese e il Muluchat; la prima volta, prescindendo dal breve tentativo di Siface, che le tribù numidiche dell'odierna Algeria erano associate in una salda unione statale. Nel paese unificato e pacificato M. promosse l'agricoltura e cercò di sviluppare qualche centro di vita cittadina, prima di tutto Cirta, e, incorporando nel suo stato le colonie fenicie della regione cosiddetta metagonitica e tutte a poco a poco quelle che erano sulla cosa settentrionale del suo stato fino a Ippona Regia, fece di queste gli sbocchi e gli emporî del retroterra e, spezzate le barriere fra le colonie costiere e il territorio, vi diede incremento alla civiltà fenicia, la quale penetrò sicuramente nell'interno della Numidia, ora per l'appunto che la Numidia si era resa indipendente da Cartagine. Mentre assisteva fedelmente i Romani nelle loro guerre orientali e in particolare nella terza guerra macedonica, M. cercava anche di guadagnare terreno ai danni di Cartagine, profittando delle clausole del trattato romano-cartaginese. I Cartaginesi, che non avevano diritto di resistergli con le armi, invocavano la mediazione romana; i Romani inviavano ambascerie, che o deliberavano a favore di M. o si riservavano di deliberare. Ma le rivendicazioni di M. divennero più gravi dopo la guerra di Perseo. Egli pretese il possesso delle ricchissime colonie fenicie della Tripolitania e dopo lunghe controversie i Romani riconobbero il suo buon diritto e obbligarono i Cartaginesi a cedergliele e a pagare un'indennità (162-1). Poi venne la volta della fertile regione pianeggiante sul medio Bagrada; anche qui i Romani inviarono ambasciatori, tra cui il vecchio Catone, che non conclusero nulla, e M. rimase in possesso del territorio usurpato. C'era ormai in Cartagine un forte partito, che, vista l'impossibilità di resistere a M., voleva un accordo con lui, pensando che Cartagine avrebbe potuto ancora prosperare come capitale del regno numidico; e questa era probabilmente la segreta ambizione di M., ma il timore che ciò avvenisse indusse i Romani a intervenire. L'occasione fu data da un conflitto con M.; il re continuando nella sua politica di annessioni, aveva posto l'assedio a una città cartaginese, Oroscopa (150). Per liberarla i Cartaginesi, stanchi d'avere invocato tante volte inutilmente l'intervento di Roma, inviarono un esercito, comandato da Asdrubale. Dopo una fiera battaglia, dopo un inutile tentativo di mediazione di Scipione Emiliano, che, mandato per chiedere a M. l'invio di elefanti da guerra in Spagna, era stato spettatore della battaglia, la guerra terminò con la resa e lo sbandamento dell'esercito cartaginese. Era il momento d'intervenire per Roma. Roma intervenne dichiarando che Cartagine aveva violato la pace col prendere le armi contro i Numidi e iniziò la terza guerra punica (149). Da ciò nacque qualche attrito col re numida, che si vedeva sfuggire il frutto agognato della vittoria. Quando però nel 148 M. si sentì vicino a morire, chiamò Scipione Emiliano, che era nel campo romano assediante, per intendersi con lui circa il modo di ordinare la successione. E Scipione Emiliano, giunto a Cirta quando il re era già morto, la ordinò in modo che i Romani, impegnati in Africa, non avessero più nulla a temere da parte della Numidia, dividendo cioè il regno fra i tre figli legittimi di M., Gulussa, Micipsa e Mastanabale.
M. fu principe prode e intelligente, sotto il quale la Numidia raggiunse un grado di prosperità e di civiltà non mai prima sognato. La sua opera non gli sopravvisse che di poco. Neppure mezzo secolo dopo, l'indipendenza effettiva della Numidia venne meno con la guerra giugurtina. Ma questo procedeva da contingenze che non dipendevano né da lui né dai Numidi, cioè dall'estendersi del dominio romano su tutto il bacino del Mediterraneo; al quale predominio M. contribuì validamente con l'aiuto prestato a Roma nella seconda punica. Non è dubbio che la sola via che poteva condurre alla permanente indipendenza numidica era quella segnata da Siface; ma la fine stessa di Siface e l'esempio posteriore di Giugurta indicano quanto quella via fosse pericolosa.
Bibl.: G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, ii, Torino 1917, pp. 520 segg., 593 segg.; O. Meltzer e U. Kahrstedt, Geschichte der Karthager, III, Berlino 1913, pp. 544 seg., 548; S. Gsell, Histoire ancienne de l'Afrique du Nord, III, Parigi 1918, pp. 189 segg., 301 segg., 363 seg.; W. Schur, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIV, ii, col. 2154 segg. - Sulle monete di M., L. Müller, Numism. de l'anc. Afrique, III, Copenaghen 1862, pp. 17-19, 32.