MATERA
(Materia nei docc. medievali)
Città della Basilicata, capoluogo di provincia, ubicata su uno sperone roccioso calcarenitico. Lo sperone, occupato fin dall'età del Bronzo e poi in epoca magnogreca e romana, divenne il nucleo centrale della città medievale, mentre le due cavità verso O, note con il nome di Sasso Barisano e Sasso Caveoso, furono abitate solo dal sec. 13° fino a fondersi con la civitas, come risulta da alcuni documenti di età angioina (Sthamer, 1914, p. 108, nr. 121).A testimonianza della fase altomedievale della città rimangono alcune necropoli rinvenute in piazza S. Francesco d'Assisi, nell'area antistante la cattedrale, nella zona di S. Lucia alle Malve, di S. Maria de Armeniis e infine di S. Nicola dei Greci (Matera, 1986). Al periodo altomedievale e all'età normanna va ricondotto il primo impianto del castello, il Castelvecchio, ubicato sulla rocca lungo il lato non protetto della città. Probabilmente ancora a età normanna va ascritta la cinta muraria, il cui circuito è in gran parte ricostruibile (Volpe, 1818; Sarra, 1939) e ancora riconoscibile (Rota, Tommaselli, Conese, 1981). Il sistema difensivo e l'aspetto assunto da M. in età medievale si possono ancora cogliere nella veduta offerta dalla pianta di Pacichelli (1703, I, p. 266) e in quella di un affresco risalente al 1709, realizzato sul soffitto del palazzo Arcivescovile.La città nell'Alto Medioevo fece parte dei possedimenti del ducato longobardo di Benevento e successivamente del principato di Salerno; durante la riconquista greca dell'Italia meridionale, a opera di Basilio I il Macedone (867-886), M., come altri centri dell'entroterra, fu soggetta all'imperatore bizantino, tanto che, nel 968, fu dichiarata dal patriarca di Costantinopoli Polieucto diocesi suffraganea, assieme ad Acerenza, Tursi, Gravina e Tricarico, della metropolia di Otranto (Falkenhausen, 1978, p. 49). Distrutta più volte dai Saraceni nel corso del sec. 10°, dal 1061 venne occupata dai Normanni, che la tennero fino al 1133, quando entrò a far parte direttamente dei possessi del regno di Sicilia. Agli inizi del sec. 13°, pur conservando la sua autonomia, fu unita da papa Innocenzo III (1198-1216) alla diocesi di Acerenza, da cui dipendeva già dal sec. 11° (Ughelli, 1721, VII, col. 37; Volpe, 1818; Kehr, 1962, p. 456, n. 6).Nell'area della civitas sorse la città 'costruita', mentre lungo le pendici delle due cavità, dette 'grabiglioni', e nelle aree limitrofe si attestò la città 'scavata', caratterizzata cioè da una numerosa serie di strutture realizzate in grotte di formazione naturale, poi modificate dalla mano dell'uomo. Prese così avvio la realizzazione, già dall'età altomedievale, di costruzioni in negativo, legate anche alla presenza di monaci di origine orientale e occidentale, che diede così inizio a quel fenomeno conosciuto con il nome di civiltà rupestre, ben radicato soprattutto in Puglia, in Sicilia e in Sardegna. Gli esempi più antichi sembrerebbero risalire ai secc. 9°-10° (cripta del Canarino, di Pandona, del Vitisciulo, di S. Nicola dei Greci, del Peccato originale).Più numerose sono le chiese ipogee realizzate nel corso dei secc. 11°-13°, nelle quali vengono riproposti modelli architettonici visibili nel sopraterra (S. Lucia alle Malve, Cappuccino Vecchio, S. Barbara). Nella chiesa rupestre di S. Maria della Vaglia, o della Valle, del tardo sec. 13°, si realizza uno dei più interessanti esempi di connubio tra grotta scavata e architettura costruita (Kemper, 1994, pp. 190-193; La Scaletta, 1995).Poche notizie esistono sulla città prima del Duecento; è noto, secondo la testimonianza del Chronicon di Lupo Protospatario, che nel 1082 l'arcivescovo Arnaldo di Acerenza consacrò la chiesa facente parte dell'importante insediamento benedettino, chiuso intorno al 1250 e poi abbattuto, dedicato a s. Eustachio, protettore della città. Dell'antico complesso è oggi visibile la cripta a tre navate, coperta da nove cupolette con resti di affreschi (La Scaletta, 1995, p. 155).A ridosso di S. Eustachio fu costruita, a iniziare probabilmente dal 1223 (Kemper, 1994, p. 145), la cattedrale, che, compiuta nel 1270, mostra caratteristiche scultoree simili a quelle presenti nei contemporanei edifici di S. Giovanni Battista e di S. Domenico e, per alcuni versi, a quelle della chiesa dei Ss. Nicolò e Cataldo a Lecce; per le soluzioni icnografiche adottate, l'edificio si rifà a costruzioni pugliesi dei secc. 11°-12°, come la cattedrale di Taranto (Calò Mariani, 1984, p. 178). La facciata e il fianco meridionale dell'edificio, arricchiti da arcatelle pensili su lesene, conservano ancora i motivi decorativi originali (Kemper, 1994, pp. 169-171) e due rosoni con il tema della ruota della Fortuna (Miranda, 1968-1969; Calò Mariani, 1978). Nella realizzazione dell'edificio è possibile distinguere un'interruzione e una ripresa dei lavori (Kemper, 1994, pp. 145, 177), che videro all'opera maestranze e committenze di origine settentrionale, più specificatamente padane, cui si devono la loggetta che decora il timpano e le sculture che sorreggono alcune colonnine pensili (Calò Mariani, 1978).L'interno - a tre navate, con transetto non sporgente e cupola settecentesca che ha sostituito la precedente - conserva di originario alcuni capitelli con figure umane e altri con animali e decorazione vegetale (Mörsch, 1971; Calò Mariani, 1978; 1984; Kemper, 1994, pp. 145-177), in cui sono stati individuati elementi sia di origine sveva (Castel del Monte) sia affini all'apparato decorativo vegetale di alcune chiese pugliesi.Legata a soluzioni architettoniche provenienti dalla Terra Santa risulta essere la chiesa di S. Giovanni Battista, già di S. Maria la Nuova e di Tutti i Santi di Acco, che, secondo una tradizione locale, fu realizzata per ospitare un gruppo di monache provenienti da San Giovanni d'Acri, nel 1200, per volontà del vescovo Andrea (1188-1231); l'edificio, che sembra essere già costruito nel 1230 (De Vita, 1948; Calò Mariani, 1978; 1984; Restucci, 1991b; Kemper, 1994, p. 102), presenta oggi l'accesso principale lungo il fianco sud, arricchito da elementi scultorei particolarmente interessanti, simili a quelli della cattedrale e di S. Domenico; essi si riallacciano al modello leccese dei Ss. Nicolò e Cataldo, dal quale sembra ripreso anche l'impianto (Kemper, 1994, pp. 129-130). L'interno è a tre navate, con transetto non aggettante, diviso da pilastri polistili con capitelli decorati a motivi vegetali e con figure umane; in origine la navata centrale a volte costolonate doveva presentare una copertura a cupola sul vano presbiteriale, mentre le navate laterali solo volte costolonate; lungo i muri perimetrali corre un ballatoio. Le forme dell'interno dell'edificio risultano essere di chiara matrice francese, come pure le forme di alcuni capitelli, mediate dall'architettura di Terra Santa (Kemper, 1994, pp. 137-142).La chiesa di S. Domenico, recentemente restaurata, offre la possibilità di un'agevole identificazione delle strutture originarie della facciata, a due spioventi con arcatelle pensili, un rosone con la rappresentazione della ruota della Fortuna, inquadrato da colonnine che sorreggono un grande arco a pieno centro arricchito da motivi vegetali. I rimandi alla cattedrale risultano immediati e puntuali, evidenziando la presenza a M., nel corso del Duecento, di uno stesso gruppo di maestranze all'opera in edifici diversi (Kemper, 1994, pp. 193-195).Dedicata a s. Francesco d'Assisi è la fondazione dell'omonima chiesa realizzata su un precedente ipogeo dedicato ai ss. Pietro e Paolo, ancora oggi praticabile e ornato di affreschi, tra cui quello con l'episodio della Visita di papa Urbano II alla città, avvenuta nel 1093. La costruzione, completamente trasformata in età barocca, dovrebbe risalire agli anni 1250-1300; del sec. 14° rimangono alcune strutture murarie con volte a crociera costolonata, un piccolo portalino trilobato e altri elementi che permettono di ipotizzare un edificio ad aula con coro di tipo quadrangolare, con copertura a capriate lignee (Altavilla, 1986).Recenti indagini avviate al di sotto del piano di calpestio della centrale piazza Vittorio Veneto hanno riportato in luce alcune strutture ipogee, tra cui la chiesa di Santo Spirito, di origine benedettina, esistente già agli inizi del sec. 10°, con resti di affreschi duecenteschi (La Scaletta, 1995, pp. 168-169).La vasta produzione pittorica che ha interessato l'area materana ha lasciato numerose testimonianze soprattutto nelle chiese in grotta; di tali resti pittorici è stato di recente attuato un valido e aggiornato censimento con l'intento di analizzarne lo sviluppo, i temi e le influenze stilistiche (La Scaletta, 1995).Negli affreschi in grotta si nota una mancanza quasi assoluta di cicli narrativi continui, con l'unica eccezione degli affreschi della cripta del Peccato originale, ascrivibili al sec. 9° e in relazione con il mondo pittorico occidentale (Falla Castelfranchi, 1991; Bertelli, 1994; Pace, 1994a; v. Basilicata). Ugualmente sono assenti affreschi che ripropongano momenti storici o di vita cittadina: l'unica eccezione sembra essere quello citato con la Visita di papa Urbano II alla città di Matera.Numericamente rari e di difficile identificazione sono gli affreschi realizzati nel corso del sec. 11° (per es. l'Annunciazione nella chiesa di S. Giovanni in Monterrone), mentre più frequenti appaiono quelli risalenti al 12° secolo. Pur nella difficoltà oggettiva di proporre scansioni cronologiche precise, in mancanza di puntuali riscontri stilistici, si può in generale affermare che gli affreschi realizzati tra i secc. 11° e 13° sono improntati al mondo pittorico bizantino, più presente soprattutto nel sec. 13°, con influenze derivate dalla pittura tardocomnena macedone, come appare nell'affresco con una Madonna in trono con il Bambino tra due angeli nella cripta della Madonna della Croce, e in una testa di Vergine proveniente dalla cripta della Madonna delle tre porte (Matera, Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici; Pace 1994a, p. 281). Tra la fine del sec. 13° e il 14° si assiste, infine, a una lenta trasformazione dei modi pittorici, indirizzati da un lato verso la produzione di maestri come Rinaldo e Giovanni da Taranto, dall'altro verso il mondo napoletano.A fronte di una così vasta e articolata produzione pittorica in ambito rupestre, si deve invece registrare una scarsa presenza di affreschi nelle chiese sub divo. Le uniche testimonianze riguardano gli affreschi della cattedrale: la Madonna della Bruna, opera di un maestro probabilmente tarantino, influenzato anche da modi occidentali, i frammentari episodi relativi a una Madonna in trono e una scena di Inferno del 14° secolo. Al Maestro delle Tempere francescane, di formazione giottesca, attivo in area campana e lucana, sono stati attribuiti affreschi in S. Lucia alle Malve (Leone de Castris, 1986).Nel tesoro della cattedrale sono conservati: un enkólpion in oro e argento niellato, con busti di santi orientali sul recto e sul verso, di discussa datazione (sec. 11°-13°) e localizzazione (Lipinsky, 1976; Calò Mariani, Guglielmi Faldi, Strinati, 1978, pp. 96-97); una mitra ricamata in argento e decorata con figure, probabilmente di pittura napoletana della metà del sec. 14°, legata secondo la tradizione alla figura di Giovanni da M., fondatore dell'Ordine pulsanense (Calò Mariani, Guglielmi Faldi, Strinati, 1978, p. 107; v. Monte Sant'Angelo); il reliquiario del capo di s. Agapito, in argento, probabilmente di fattura pugliese, della fine del sec. 14°; infine, il reliquiario del braccio di s. Eustachio, in argento, ritenuto ora della seconda metà del sec. 13° (Lipinsky, 1976), ora del 15° (Calò Mariani, Guglielmi Faldi, Strinati, 1978, p. 100).Nel Mus. Naz. D. Ridola si conservano: manufatti provenienti dalle necropoli; manufatti ceramici d'età medievale, realizzati in invetriata e in protomaiolica (Bracco, 1950; D'Andria, 1976; Lionetti, 1995); frammenti marmorei (secc. 9°-10°) e lapidei (secc. 12°-13°); infine, un'acquasantiera, proveniente dalla chiesa di S. Francesco, con capitello di sostegno e base di pieno Duecento (Arte in Basilicata, 1981, p. 29).Nel laboratorio di restauro della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di M. sono attualmente custoditi affreschi staccati provenienti da alcune chiese in grotta (S. Giovanni in Monterrone, Madonna delle tre porte, S. Maria de Idris) e dalla distrutta chiesa di S. Giovanni a Vietri di Potenza.
Bibl.:
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