Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Durante l’Ottocento nelle scienze fisiche si verificano mutamenti radicali. L’idea che la materia sia formata da particelle distribuite in uno spazio privo di proprietà fisiche entra in conflitto con l’opinione che i fenomeni avvengano nel continuo e l’intera teoria del movimento viene ristrutturata con nuovi strumenti matematici.
Nei primi decenni del secolo nascono difficoltà inattese a proposito della nozione di materia. L’idea seicentesca che la materia sia formata da particelle disperse in uno spazio dotato soltanto di proprietà geometriche è ancora sufficiente per guidare gli studi sulla gravitazione e sui moti dei pianeti e delle comete. Essa è tuttavia insufficiente sia nell’esplorazione dei fenomeni che coinvolgono grandi numeri di molecole, sia nell’esplorazione dei movimenti attribuiti alla luce, al calore e all’elettricità, ed è per superare questi ostacoli che i fisici introducono alcune varianti negli schemi ereditati dalla scienza del Seicento e del Settecento.
Una prima variante consiste nell’utilizzazione del calcolo delle probabilità, il quale permette di valutare il comportamento medio dei grandi numeri di particelle che caratterizzano la materia negli stati gassoso, liquido e solido.
Una seconda variante è imposta dallo studio del movimento dei fluidi che dovrebbero consentire la spiegazione dei fenomeni termici, elettrici e magnetici, nell’ipotesi che questi ultimi siano riconducibili alle leggi della meccanica.
Una terza variante è infine dettata dal problema che il moto dei corpi celesti sia governato da interazioni gravitazionali che agiscono a distanza e si trasmettono nello spazio con velocità infinita.
Questi mutamenti provocano ristrutturazioni di vasta portata nella fisica. Alla tradizionale descrizione della materia come insieme discreto di particelle si affianca così il punto di vista secondo cui la materia è un continuo in uno spazio dotato di proprietà fisiche; l’opinione che esistano fluidi viene inoltre sostituita con nuove strutture fisico-matematiche; si tenta infine di sviluppare una teoria unificata che comprenda in sé la gravitazione.
Laplace è il più autorevole assertore, agli inizi dell’Ottocento, di una fisica basata sul concetto di molecola. Egli sostiene che le molecole obbediscono alle medesime leggi del moto che governano i movimenti dei corpi celesti. Da questo punto di vista la fisica deve in primo luogo elaborare modelli sulle interazioni tra molecole, per poi dedurne, per mezzo della matematica, conseguenze controllabili in laboratorio.
Esistono tuttavia grandi difficoltà matematiche poiché la meccanica è in grado di trovare soluzioni esatte solo nel caso di interazioni fra due corpi. A questo proposito Laplace ritiene che lo studio dei sistemi formati da grandi numeri di corpi – per esempio il sistema di molecole in un gas – sia superabile per mezzo del calcolo delle probabilità.
Esso consente, infatti, di stimare il comportamento medio di molte particelle senza dover calcolare le loro singole traiettorie.
Negli anni Trenta e Quaranta il fisico sperimentale Faraday sostiene invece che i modelli di moto molecolare devono essere abbandonati. A suo avviso la nozione stessa di particella estesa e collocata nello spazio deve essere sostituita con l’ipotesi che la materia sia un continuo in cui le azioni fisiche si propagano per contatto; lo spazio viene infatti inteso come una collezione di linee di forza che convergono in punti, descritti come sorgenti e pozzi della intricata geometria del continuo. L’azione per contatto deve, secondo Faraday, sostituire l’azione a distanza, coinvolgendo anche la gravitazione.
Un’altra critica al ruolo dei modelli viene elaborata nei primi due decenni dell’Ottocento da Joseph Fourier. Egli ritiene illusorio porre modelli alla base delle teorie fisiche, sostenendo che queste ultime debbano essere sviluppate obbedendo unicamente alle regole della matematica.
Grazie alle regole matematiche, secondo Fourier, si possono dedurre proposizioni controllabili in laboratorio, senza ricorrere a ipotesi sulla natura delle cose e degli ipotetici fluidi: lo scienziato deve solo scoprire le equazioni che rappresentano i fenomeni.
Le tesi di Fourier influenzano sia la riflessione filosofica di Comte, sia gli sviluppi della fisica matematica ottocentesca.
Nell’ambito di queste ricerche fisico-matematiche, inoltre, si muove l’opera di William Rowan Hamilton; sotto l’influenza di Kant, egli ritiene che l’algebra sia la scienza del tempo e debba essere generalizzata seguendo unicamente le norme del calcolo. Hamilton riesce in tal modo a generalizzare la meccanica di Lagrange e porre le basi per una nuova teoria del moto che, intorno alla metà del secolo, assume una forma specifica grazie all’opera del matematico Karl Jacobi.
Nel quarto decennio dell’Ottocento alcuni studiosi scoprono il principio di conservazione dell’energia, secondo cui, in forma estesa, l’energia dell’universo è una costante.
Spetta soprattutto a Joule e a Helmholtz il merito di porre, rispettivamente, le prime basi sperimentali e i primi enunciati teorici del principio di conservazione. Tale principio ha una portata così ampia da istituire nuovi rapporti tra settori diversi della fisica. Grazie a Joule e Clausius, esso consente infatti di eliminare i modelli a fluido del calore e di ricondurre i fenomeni termici a manifestazioni del moto molecolare, determinando la nascita di un nuovo settore della fisica, oggi noto come meccanica statica.
Nel 1852 Kelvin ricava una conseguenza universale del principio di conservazione dell’energia e di alcune tesi esposte da Sadi-Nicolas Carnot in un volumetto dedicato alle macchine termiche, pubblicato nel 1824. Se è vero che l’energia nel suo complesso si trasforma, è anche vero che esiste una tendenza spontanea dell’energia meccanica a degradarsi in forme sempre più sfuggenti al loro sfruttamento da parte dell’uomo. È questa la conclusione tratta da Lord Kelvin ed esposta in un principio di dissipazione dell’energia meccanica che coinvolge le macchine, ma anche la vita delle stelle.
La dissipazione dell’energia regola quindi l’intera evoluzione del mondo e sta alla base dei processi irreversibili in natura.
L’unione dei due principi – della conservazione e della dissipazione dell’energia – diventa così il punto di partenza per la nascita della nuova scienza della termodinamica. I processi termodinamici sono esplorati, nella seconda metà del secolo, da scienziati come Maxwell e Boltzmann che introducono il calcolo delle probabilità nell’analisi dei moti molecolari, ponendo così i primi elementi della meccanica statistica. E proprio questa nuova meccanica diventa un ramo della fisica in grado di spiegare l’evoluzione dei sistemi formati da un elevato numero di atomi e molecole.
La continua evoluzione della teoria del moto sfocia, nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, in una monumentale opera di matematizzazione. In primo luogo emerge un filone di ricerca che trae lo spunto dall’opera di Riemann e che indaga sulla struttura delle leggi della meccanica in seno a geometrie diverse da quella euclidea.
In secondo luogo, grazie a Poincaré, a fine secolo si giunge a un’espressione delle leggi del moto che fa sorgere una distinzione di fondo tra il comportamento deterministico dei sistemi dinamici e la possibilità di prevedere con esattezza la loro evoluzione nel tempo.
In terzo luogo si impone, nell’ultimo decennio, una riflessione generale sulla nozione di materia che è causata dalla scoperta dell’elettrone e di inattese radiazioni.
In conclusione, per quanto riguarda la materia e il movimento, la fisica dell’Ottocento non è – come spesso ancora oggi si crede – una scienza dominata da programmi seicenteschi e destinata a esaurirsi in una crisi metodologica, ma è al contrario una forma innovativa della conoscenza che contiene le radici della fisica del Novecento.