Materia e radiazione interstellare
di Jan H. Oort e Stuart R. Pottasch
SOMMARIO: 1. Introduzione storica. □ 2. Metodi di osservazione del mezzo interstellare: a) la riga a 21 cm dell'idrogeno; b) le righe di assorbimento nel visibile; c) le righe di emissione nel visibile; d) emissione (e assorbimento) a radiofrequenza; e) raggi cosmici; f) campi magnetici; g) assorbimento interstellare; h) misura di dispersione sulle pulsar. □ 3. Nubi, associazioni e mezzo tra le nubi: a) nubi; b) associazioni; c) mezzo tra le nubi. □ 4. Stato fisico del mezzo interstellare: a) abbondanza degli elementi; b) sorgenti di energia e ionizzazione; c) perdita di energia e temperatura di equilibrio; d) instabilità termica e sue conseguenze. □ 5. Origine della materia interstellare. □ 6. Distribuzione e moto su larga scala del mezzo nella nostra galassia: a) distribuzione generale del gas e curva di rotazione; b) disco galattico e bracci della spirale; c) il problema della persistenza su tempi lunghi dei bracci della spirale; d) rami in espansione; e) il disco nella regione del nucleo e le sue nubi molecolari; f) gas a grandi distanze dal piano galattico; g) incurvatura delle parti esterne del disco. □ 7. Il nucleo galattico. □ 8. Gas intergalattico. □ Bibliografia.
1. Introduzione storica.
Un'alta percentuale della materia della nostra galassia si presenta sotto forma di materiale di densità estremamente bassa, che riempie, più o meno uniformemente, lo spazio tra le stelle.
Questo materiale risulta confinato sul piano della Galassia più di quanto lo sia la maggior parte delle stelle, fatta eccezione per le stelle giovani e calde, che si trovano anch'esse vicino al piano galattico. Questo dato, insieme alla circostanza che le stelle calde sono giovani, non potendo durare molto a lungo con il loro attuale tasso di dissipazione di energia, va interpretato come indicativo del fatto che la formazione di stelle è attualmente in corso nel mezzo interstellare. Oggi lo scopo generale dello studio del materiale interstellare è quello di determinare il ruolo che esso svolge nell'evoluzione galattica. In questa prospettiva il mezzo interstellare può essere considerato come uno stato di equilibrio regolato dalla formazione di nuove stelle e dalla perdita di materiale da parte di queste stelle nel corso della loro evoluzione.
I primi studi sul mezzo interstellare ebbero inizio un po' più di un centinaio di anni fa e avevano, invece, uno scopo completamente differente. A quel tempo, 1847, O.W. Struve a Leningrado fu uno dei primi a discutere se fosse vero o no che la luce delle stelle distanti è indebolita o completamente assorbita dalla materia interstellare. Una risposta a questo interrogativo era di vitale importanza per poter ottenere una descrizione accurata dell'universo al di là dei confini del sistema solare; così non stupisce il fatto che, negli anni che seguirono, lo studio del mezzo interstellare sia rimasto limitato a questo problema. Infatti i più importanti contributi a questo studio furono dati da astronomi il cui principale interesse era la struttura galattica. Solo con il lavoro di R. J. Trumpler, nel 1930, gli astronomi furono persuasi dell'esistenza dell'assorbimento interstellare generale. Trumpler dimostrò questo fatto confrontando le scale di distanza relativa degli ammassi aperti, ottenute per due diverse vie: prima attraverso le dimensioni dell'ammasso, che si presume abbiano statisticamente un valore assoluto costante, e poi mediante confronto della luminosità relativa delle stelle nell'ammasso, cioè della posizione relativa nella sequenza principale. Esaminando una gran quantità di materiale omogeneo si trovò che i diametri degli ammassi più deboli erano sistematicamente troppo grandi e ciò portò alla conclusione che almeno nel piano galattico, dove si trovano gli ammassi aperti, la quantità di materiale assorbente è approssimativamente proporzionale alla distanza.
Un altro tipo di assorbimento da parte del mezzo interstellare era stato trovato da J. Hartmann nel 1904. Osservando lo spettro della stella doppia δ Orionis, egli aveva scoperto che le righe di assorbimento del Ca II non prendono parte alle oscillazioni periodiche delle altre righe, dovute ai differenti spostamenti Doppler prodotti dal moto delle due stelle intorno al loro comune centro di massa. La sua conclusione fu che questo assorbimento dovuto al Ca II avvenisse in qualche punto dello spazio tra il Sole e δ Orionis. Il pieno significato di questa scoperta non fu immediatamente recepito, perché il fatto che queste righe fossero state trovate solo nelle stelle calde fu interpretato erroneamente: si pensò infatti che la stella calda fosse essenziale per la formazione della riga di assorbimento e che questa perciò si formasse vicino alla stella. Di nuovo si dovette arrivare al 1930 perché divenisse chiaro che questo assorbimento era propriamente interstellare, principalmente in base ai seguenti argomenti: 1) l'intensità dell'assorbimento aumentava con la distanza dalla stella; 2) le velocità radiali relative alle righe di assorbimento mostravano le caratteristiche della rotazione galattica generale, ma con un'ampiezza corrispondente alla metà della distanza stellare, come ci si dovrebbe aspettare da un gas uniforme che si estenda dal Sole alla stella.
In seguito è stato misurato l'assorbimento per altre righe nel mezzo interstellare, dovuto ad altri atomi, ioni o molecole. E stata misurata anche l'emissione dal mezzo interstellare. Nei primi anni del nostro secolo furono fatte fotografie delle grandi nebulose diffuse di emissione (v. fig. 1). L'analisi di questi oggetti astronomici mostra che essi hanno principalmente uno spettro di righe di emissione e, sebbene in questo spettro si trovasse la serie di Balmer dell'idrogeno, all'inizio non si riuscì a identificare le due righe più luminose con una riga corrispondente di elementi conosciuti, osservata in laboratori sulla Terra. Il problema restò insoluto così a lungo che, come avvenne per la scoperta dell'elio nello spettro della cromosfera solare, fu perfino suggerito che queste righe fossero dovute a un nuovo elemento, chiamato ‛nebulio'. La soluzione fu data da I. S. Bowen nel 1928. Le righe hanno origine da un livello metastabile dell'O++. Le righe sono ‛proibite', nel senso che non possono aversi da questo livello transizioni cii dipolo elettrico. Ma alle densità estremamente basse che prevalgono nella nebulosa, la velocità di diseccitazione collisionale da questo livello è così bassa che lo ione può rimanere in questo stato abbastanza a lungo perché possa avvenire una transizione di dipolo magnetico.
Pertanto la situazione alla fine degli anni trenta era la seguente: esistevano varie prove della presenza di quantità rilevanti di materia interstellare, ma era ben difficile valutarla quantitativamente. A partire dal 1945 le nostre conoscenze sono considerevolmente aumentate, ma, come apparirà subito chiaro, restano ancora molti problemi aperti.
2. Metodi di osservazione del mezzo interstellare.
a) La riga a 21 cm dell'idrogeno.
L'atomo dell'idrogeno è costituito da un elettrone che ‛orbita' intorno a un protone. Sia l'elettrone sia il protone sono dotati di spins (v. atomo) e gli assi di tali spins possono essere orientati in modo da risultare paralleli oppure anti-paralleli. Se gli spins sono antiparalleli l'energia del sistema è leggermente minore di quella corrispondente al caso in cui gli spins siano paralleli. La differenza di energia fra questi due stati fu predetta teoricamente da Van de Hulst nel 1944 e risultò corrispondere a una lunghezza d'onda di 21 cm. L'atomo di idrogeno dal suo stato di energia più bassa, o ‛stato fondamentale', può essere portato a uno stato di energia più elevata per collisione con un elettrone; nella maggior parte dei casi una successiva collisione con un elettrone riporta l'atomo di idrogeno allo stato fondamentale, ma talvolta ciò si verifica spontaneamente e, nel corso di tale processo spontaneo, viene emesso un fotone per radiazione a 21 cm. Così ogni atomo di idrogeno neutro emette un fotone a 21 cm una volta ogni 107 anni.
Per quanto la radiazione emessa spontaneamente contenga una quantità di energia talmente piccola da non alterare il bilancio energetico del mezzo interstellare, si tratta, tuttavia, di un processo importante, giacché la maggior parte dei fotoni emessi non sono assorbiti nel loro cammino verso la Terra. In questo modo è possibile ‛vedere' nell'emissione a 21 cm anche le parti più remote della Galassia. Già nei primi anni dopo la scoperta della riga a 21 cm, avvenuta nel 1952, risultò chiaro che l'idrogeno interstellare partecipa alla rotazione galattica generale. I rilevamenti su vasta scala, effettuati prima in Olanda e poi in Australia, mostrano che l'idrogeno interstellare è concentrato in bracci a spirale. Fu così possibile, per la prima volta, individuare la struttura a spirale dell'intera Galassia. Secondo la stima attuale la densità di idrogeno neutro interstellare è di circa 1 atomo/cm3 e la sua massa totale equivale a 5•109 masse solari, cioè a circa il 5% della massa totale della Galassia.
La temperatura del gas non può essere determinata dalla riga di emissione a 21 cm, poiché il processo di emissione è indipendente dalla temperatura. Per contro, la riga di assorbimento a 21 cm dipende dalla temperatura del gas e precisamente il coefficiente di assorbimento è inversamente proporzionale a tale temperatura, cosicché le regioni per le quali si può avere assorbimento sono quelle a temperatura più bassa. In effetti l'assorbimento è stato misurato in direzione di un centinaio di sorgenti con spettro continuo entro un intervallo di frequenze (o di velocità radiali) molto ristretto; ora, se si conosce anche l'emissione a 21 cm nella medesima direzione e si suppone che il mezzo interstellare sia omogeneo, è possibile ricavare la densità media dell'idrogeno nella direzione considerata e la sua temperatura. In questo modo si sono ottenuti valori della temperatura che scendono fino a 30 °K ma, naturalmente, a causa del metodo impiegato si è condotti a scegliere di preferenza le regioni a bassa temperatura. D'altra parte, poiché sappiamo che in molte direzioni (o velocità) dove si riscontra un'apprezzabile emissione a 21 cm non vi è assorbimento, ne segue che la temperatura in tali regioni dev'essere almeno compresa fra 500 °K e 1000 °K. In conclusione la temperatura del gas neutro appare variabile entro un ampio intervallo.
b) Le righe di assorbimento nel visibile.
Abbiamo già visto nel capitolo introduttivo come fu scoperto che le righe ben marcate del Ca II osservate negli spettri delle stelle calde sono causate dall'assorbimento del mezzo interstellare. Per quanto siano state poi osservate anche altre righe di assorbimento, come, ad esempio, quelle forti dovute all'Na0 o quelle più deboli dovute al Fe0, al Ca0, al K0, al Ti+ o alle molecole CN e CH, soltanto le righe del Ca II e quelle dell'Na I sono state studiate dettagliatamente.
L'assorbimento dovuto al Ca+ e all'Na0 ha luogo in gran parte nello stesso gas che emette la radiazione H0 a 21 cm, com'è provato dal fatto che nel 75% delle righe conosciute di Ca II interstellare a ogni riga di assorbimento corrisponde una riga di emissione a 21 cm, esattamente con la stessa direzione e la stessa velocità, e resta perciò escluso che si tratti di semplici coincidenze casuali. Ciò che forse è più sorprendente è che nel 25% dei casi il Ca+ in una data direzione non ha alcuna componente corrispondente di idrogeno neutro con la sua stessa velocità e spesso nemmeno con velocità diverse ma prossime alla sua.
Un altro fatto di rilievo riguarda i valori della velocità, misurata rispetto al sistema di riferimento locale in modo da eliminare l'effetto del moto del Sole intorno al centro galattico. Quasi il 95% delle righe di Ca II con velocità inferiore a 20 km/s presenta per ogni riga anche una corrispondente componente di idrogeno neutro, mentre tra le righe che non hanno una tale componente le velocità relative sono inferiori a 20 km/s soltanto nel 50% dei casi e in alcuni casi sono invece piuttosto elevate, arrivando fino a 100 km/s.
Dall'intensità delle righe di assorbimento del Ca II e dell'Na I si può calcolare la densità media nella direzione considerata di Ca+ e di Na0; tale calcolo è immediato quando le righe sono deboli. Quando sono presenti effetti di saturazione è necessario conoscere il rapporto di doppietto (il Ca IIe l'Na I sono entrambi doppietti) con un grado di precisione che diventa molto elevato quando la saturazione è molto grande e si vuole ottenere la densità con lo stesso grado di precisione. Ciò conduce ad ampi intervalli di indeterminazione, specialmente nel caso in cui si abbiano valori elevati di Na0.
Intorno al 1950 fu notato però che, nonostante la suddetta indeterminaziope, il rapporto Na0/Ca+ varia da una nube all'altra (col termine ‛nube' indichiamo quelle frazioni di materia interstellare che danno origine a righe di assorbimento associate tutte alla stessa direzione e alla stessa velocità). Le nubi che producono righe molto forti hanno un rapporto Na0/Ca+ compreso fra 10 e 100, si trovano di solito nel piano galattico e sono sempre associate a elevate concentrazioni di idrogeno neutro. Le nubi che danno origine a righe di assorbimento più deboli presentano invece un più basso rapporto Na0/Ca+, compreso fra 0,1 e circa 3, e solo alcune di esse sono associate a idrogeno neutro, mentre per altre, specialmente quando il rapporto Na0/C+ è molto basso, non vi è traccia di idrogeno neutro.
Non si è ancora pienamente compresa la causa di questa variazione del rapporto Na0/Ca+ in nubi diverse. Alcuni studiosi pensano di poterla individuare nella variazione del rapporto di abbondanza Na/Ca, ma è chiaro che il ricorso a tale spiegazione dovrebbe essere fatto soltanto dopo che altre interpretazioni più plausibili si fossero dimostrate insostenibili. Una possibile interpretazione, per esempio, è quella proposta nel 1952 da Routly e Spitzer, secondo la quale la variazione del rapporto Na0/Ca+ potrebbe esser causata da una variazione di temperatura sufficiente, per numero di urti fra particelle, a ionizzare il sodio ma non abbastanza alta per poter ionizzare il calcio. I lavori più recenti tendono a confermare quest'ipotesi; da questi stessi lavori risulta che, per bassi valori del rapporto Na0/Ca+, si devono riscontrare sia un'alta temperatura (intorno ai 10.000 °K), sia un elevato grado di ionizzazione (superiore al 90%). Ciò spiegherebbe molto bene anche il fatto che queste nubi sono prive di idrogeno neutro osservabile.
c) Le righe di emissione nel visibile.
1. Nebulose diffuse. - Questi oggetti astronomici, che sono già stati citati nell'introduzione (v. fig. 1), hanno un intenso spettro di righe e un debole spettro continuo. Le righe più intense sono quelle di O+, O++, N++, S+ e quelle di ricombinazione di H e He. Gli spettri sono quelli tipici di un gas in cui gli elementi che hanno un potenziale di ionizzazione inferiore a 20-30 eV (H, He, O, N, S e Ne) sono quasi completamente ionizzati. Sono presenti anche righe di altri elementi, ma sono più deboli. Le righè sono causate da eccitazione di ioni per urti con elettroni e dalla successiva transizione spontanea degli ioni a un livello di energia più bassa. Se gli urti determinano l'eccitazione di ioni a due diversi livelli di energia, possiamo utilizzare il rapporto tra le relative righe osservate per determinare il rapporto fra i tempi di collisione associati ai due livelli d'energia. Poiché il tempo di collisione varia rapidamente con la temperatura, diventa possibile in questa maniera misurare la temperatura e si trova che per la maggior parte delle nebulose diffuse conosciute il suo valore è dell'ordine di 7•103 °K con un incertezza di circa 2•103 °K. Va precisato che, all'interno di una nebulosa, la temperatura ha probabilmente una piccola variazione dal centro alla periferia.
La densità delle nebulose diffuse si può ottenere dalle righe di ricombinazione dell'idrogeno e ha un valore medio di circa 20 elettroni per cm3. Vi sono valori della densità che si scostano fortemente da quello medio, come, per esempio, nel caso della nebulosa di Orione, le cui parti centrali hanno una densità superiore a 1.000 elettroni per cm3. La massa contenuta in una nebulosa diffusa varia tra 1.000 e 50.000 masse solari e, poiché vi sono circa 3.000 nebulose nella nostra galassia, vi è in questa forma una massa totale pari a ben 3•107 masse solari.
Che cos'è che causa la ionizzazione? Per rispondere a questa domanda si può cominciare con l'osservare che in ogni nebulosa diffusa è presente almeno una stella calda del tipo O. Queste stelle hanno una temperatura compresa fra 30.000 °K e 60.000 °K, sufficiente a produrre la ionizzazione osservata. In effetti le nebulose diffuse appaiono essere ‛limitate dalla radiazione', nel senso che la materia si estende molto oltre il bordo osservato della nebulosa, là dove la radiazione ionizzante non è più sufficiente a produrre ulteriore ionizzazione.
Ciò potrebbe portare a concludere che la relazione tra la presenza di materia e le stelle calde sia casuale. Tuttavia, come vedremo in seguito, vi sono fatti che mostrano come la relazione tra stelle calde e materia interstellare abbia un carattere universale, nel senso che il processo di formazione delle stelle è tuttora in corso e avviene a partire proprio dalla materia allo stato gassoso.
2. Nebulose di riflessione. - Le nebulose di questo tipo, molto luminose, sono sempre associate a una stella brillante e hanno uno spettro che è quasi identico a quello della stella. Questo fatto può essere interpretato semplicemente ammettendo che si tratti di materia disposta in modo casuale nelle vicinanze di una stella brillante e che rifletta la luce di quella stella. Tale riflessione dev'essere però dovuta a particelle abbastanza grandi rispetto alle dimensioni atomiche, per poter riprodurre così accuratamente lo spettro stellare senza introdurvi quelle caratteristiche che sono tipiche degli atomi e delle molecole.
Inoltre questa luce riflessa ha una componente blu più intensa di quella della luce stellare originaria e ciò significa che le particelle materiali che causano la riflessione devono diffrangere più luce blu che luce rossa.
Poiché la diffrazione è massima quando la luce diffratta ha lunghezza d'onda all'incirca pari alla dimensione lineare della particella diffrangente, si può, in base alla lunghezza d'onda della luce blu, fare una stima approssimativa della dimensione lineare media di queste particelle, che risulta essere di 5•10-5 cm. Tali particelle, della cui natura ci occuperemo in questo articolo, si chiamano solitamente ‛granelli interstellari' o anche ‛polvere interstellare'.
3. Emissione di fondo. - Misurazioni effettuate recentemente indicano la probabile presenza di un'emissione molto debole sia nella direzione del piano galattico che nella direzione dello spazio a esso esterno. Si tratta di un'emissione appena al di sotto della soglia attuale di ricezione e che viene di solito rilevata nelle righe di ricombinazione dell'idrogeno. Per quanto lo spettro di tale emissione possa essere analogo a quello delle nebulose diffuse, le regioni che la generano non sono certamente analoghe alle nebulose diffuse descritte precedentemente. È plausibile che tale emissione di fondo sarà oggetto di molte ricerche e osservazioni nei prossimi anni.
d) Emissione (e assorbimento) a radiofrequenza.
1. Emissione nel continuo (termica). - Un elettrone in moto in un campo elettrico dovuto a particelle cariche positivamente può passare da un'orbita a un'altra di energia diversa e, conseguentemente, liberare l'energia in eccesso sotto forma di radiazione. Questo fenomeno si chiama emissione per transizioni tra stati non legati e, insieme al fenomeno corrispondente di assorbimento, riveste particolare importanza per l'osservazione del mezzo interstellare.
Le nebulose diffuse sono forti sorgenti di emissione a radiofrequenza per transizioni tra stati non legati e ciò è importante almeno per due motivi. Il primo è che la radioemissione, non essendo normalmente influenzata da assorbimento e avendo lo stesso andamento delle righe della radiazione dell'idrogeno nella parte visibile dello spettro, per quanto riguarda densità e temperatura, può essere utilizzata per fare predizioni proprio su tali righe di radiazione dell'idrogeno; il confronto fra la predizione così ottenuta e le righe dell'idrogeno effettivamente osservate consente di ricavare l'assorbimento interstellare nella parte visibile dello spettro. Il secondo motivo dell'importanza dell'emissione a radiofrequenza è che essa consente di ‛vedere' le nebulose diffuse, o altre regioni parzialmente o interamente ionizzate, per le quali l'assorbimento nella parte visibile dello spettro è troppo forte. Le regioni centrali della nostra galassia, per esempio, sono chiaramente osservabili in radioemissione, la maggior parte della quale è del tipo sopra descritto, ma non nel visibile, soggetto ad assorbimento totale.
Ma, a parte queste particolari regioni ionizzate, questo tipo di emissione termica dovrebbe potersi osservare anche nel mezzo interstellare parzialmente ionizzato. In proposito non sono ancora state fatte osservazioni conclusive, poiché tale emissione è notevolmente più debole dell'emissione non termica (o emissione di sincrotrone) di cui parleremo più avanti.
L'emissione termica mantiene un valore pressoché costante man mano che ci si sposta verso frequenze più elevate, mentre l'emissione non termica decresce rapidamente al crescere della frequenza: così ci si può aspettare che l'emissione termica del mezzo interstellare possa diventare osservabile a frequenze molto alte.
2. Assorbimento nel continuo. - Al di sotto dei 100 MHz, e particolarmente al di sotto dei 10 MHz, l'assorbimento dovuto a transizioni tra stati non legati diventa rilevante. Ciò che rende importante lo studio particolareggiato di questo assorbimento è il fatto che esso è probabilmente causato dal mezzo interstellare ordinario. D'altra parte, tale studio è reso difficile dal fatto che anche l'atmosfera terrestre comincia a essere opaca al di sotto dei 100 MHz e si deve quindi ricorrere a osservazioni effettuate al di fuori dell'atmosfera mediante satelliti. L'informazione che si può ottenere da queste misure è una funzione del tipo ne2Te-3/2 Δl, dove ne è la densità di elettroni, Te la temperatura elettronica e Δl la distanza percorsa in direzione radiale. In questo modo le misure di assorbimento devono essere necessariamente associate a misure di altre grandezze fisiche per poter essere interpretabili.
3. Righe di ricombinazione radio. - Un numero apprezzabile di ricombinazioni tra un elettrone e uno ione positivo conduce a uno stato legato di energia molto alta. Quando ha luogo una tale ricombinazione, esiste una buona probabilità che essa conduca a uno stato di alto momento angolare, dal quale l'atomo può decadere spontaneamente soltanto variando di un'unità i numeri quantici n e l. Si tratta perciò di salti di energia molto piccoli che corrispondono quasi sempre a radiofrequenze. Le righe solitamente osservate sono quelle dovute all'idrogeno e all'elio, per quanto, com'è stato proposto recentemente, sembra che un'altra riga possa essere identificata come dovuta al carbonio ionizzato.
Le righe dell'idrogeno sono importanti per i seguenti motivi: a) le nebulose diffuse, e quindi anche i bracci della spirale in cui esse sono localizzate, possono essere individuate a grandi distanze dal Sole; b) combinando i dati relativi alle righe con quelli dello spettro continuo di uno stesso oggetto astronomico si possono ricavare le temperature elettroniche del gas che produce tali emissioni. Ciò è reso possibile dal fatto che l'emissione dl righe e quella nel continuo, mentre hanno la stessa dipendenza dalla densità del gas, hanno invece una dipendenza dalla temperatura alquanto diversa; c) le righe a radiofrequenza originate dal mezzo interstellare sono state a tutt'oggi osservate da un gran numero di astronomi. Per queste righe sono disponibili i grafici dell'intensità in funzione della velocità e si può fare un confronto con il corrispondente grafico per la riga a 21 cm. I risultati di questi confronti mostrano sempre un accordo che, per quanto non perfetto, è certamente sorprendente.
4. Righe di emissione da molecole. - La prima riga a radiofrequenza dovuta a molecole è stata quella del radicale OH. Negli ultimi cinque anni il numero di tali righe radio osservate ha superato la ventina e certamente quest'elenco è destinato ad accrescersi. Alcune di queste righe hanno origine in regioni molto piccole (di dimensioni lineari più piccole di 3•1014 cm) e altre in regioni molto più grandi (1020 cm). Tuttavia il nostro attuale grado di comprensione, sia per quanto riguarda la formazione ditali molecole sia per quanto riguarda le condizioni astrofisiche in cui vengono emesse queste righe, è ancora molto scarso, cosicché queste osservazioni non possono ancora essere utilizzate completamente.
e) Raggi cosmici.
Col termine tradizionale di ‛raggi cosmici' si designano in generale le particelle di alta energia che si osservano provenire in maniera isotropa dallo spazio interstellare. Le energie più alte rilevate sono di 1021 eV per particella, ma esiste solo un numero relativamente piccolo di tali particelle. Al decrescere dell'energia il numero di particelle cresce come una potenza con esponente compreso fra 2 e 3. Nel caso dei protoni, per esempio, il grafico cresce sempre più lentamente al di sotto di 1010 eV e raggiunge un massimo fra 109 eV e 108 eV. Ancor oggi non è chiaro se questo massimo osservato sia reale. Infatti gli effetti dei campi magnetici associati al mezzo interplanetario cominciano a essere apprezzabili e diventano sempre più rilevanti sulle particelle dotate di energia minore di 109 eV. Si può calcolare la deviazione e il cambiamento di energia che una tale particella subisce quando essa entra nel sistema solare e, in base a tali calcoli, vi sono predizioni teoriche secondo le quali il numero effettivo di particelle nel mezzo interstellare con energia di 3•107 eV dovrebbe essere da 100 a 1.000 volte più grande del numero osservato immediatamente al di sopra dell'atmosfera terrestre per tale livello di energia. Tuttavia, per il momento, è purtroppo impossibile stabilire con precisione la densità dei raggi cosmici di bassa energia nel mezzo interstellare. È molto probabile che i raggi cosmici di bassa energia, proprio in virtù della loro grande quantità, costituiscano un'importante fonte di energia, forse addirittura la più importante di tutte, ma, d'altra parte, non siamo in grado di stabilire fino a che punto continui ad aumentare il numero di raggi cosmici che viene osservato quando si procede verso le più basse energie, poiché la sezione d'urto aumenta anch'essa al decrescere dell'energia. In ogni caso, per energie comprese tra 107 eV e 106 eV, il mezzo interstellare assorbe tutti i raggi cosmici prodotti a grande distanza dal nostro sistema solare.
Esiste anche una componente elettronica dei raggi cosmici, sebbene il numero di particelle corrispondenti sia molto minore (circa l'1%) della componente protonica (anche se lo spettro di energia è un po' più ripido per i protoni che per gli elettroni a energie superiori a 1010 eV per nucleone). La componente elettronica è importante perché interagisce con i campi magnetici che esistono nella Galassia e perde energia nell'emissione che normalmente è definita ‛di sincrotrone' o ‛Bremsstrahlung magnetica'. Questa emissione è rilevante specialmente nella parte a grandi lunghezze d'onda dello spettro a radiofrequenza, dove è molto più intensa della radiazione termica ‛generale' discussa in precedenza. Quindi si possono ottenere informazioni sulla presenza di elettroni di alta energia e di un campo magnetico nello spazio interstellare dall'intensità della radiazione di sincrotrone.
f) Campi magnetici.
Vi sono anche altre prove dell'esistenza di un campo magnetico. In primo luogo la radiazione radio polarizzata proveniente da sorgenti extragalattiche ruota il proprio piano di polarizzazione nel passaggio attraverso il mezzo interstellare; questo effetto è dovuto alla rotazione di Faraday. In secondo luogo è stato osservato l'effetto Zeeman sulla riga a 21 cm. In terzo luogo la luce stellare è polarizzata mentre passa attraverso il mezzo interstellare. Tuttavia il quadro generale del campo magnetico non è ancora del tutto chiaro anche se sembra vi sia qualche tipo di ordine su larga scala. I valori del campo magnetico in queste regioni ‛ordinate' sono probabilmente compresi tra 3•10-6 e 3•10-5 gauss.
g) Assorbimento interstellare.
Come è stato già ricordato nell'introduzione, la misura dell'assorbimento è stato il primo metodo per rivelare il mezzo interstellare. Abbiamo anche visto quali fossero gli argomenti proposti da Trumpler per dimostrare la presenza di un materiale assorbente. Ora un'altra dimostrazione può essere data dal conteggio delle galassie lontane dalla nostra. Se si suppone che la distribuzione delle galassie nell'universo sia uniforme e che non vi sia assorbimento, allora il numero di galassie più luminose di una data magnitudine, contato per grado quadro nel cielo, dev'essere costante e, inoltre, tale numero deve variare con la magnitudine in modo prevedibile. Queste ipotesi sono verificate per tutte le direzioni che corrispondono a un'alta latitudine galattica, mentre a latitudini inferiori il numero di galassie è minore di quello previsto ed è addirittura nullo sull'equatore galattico e nelle sue vicinanze; questa regione è chiamata ‛zona di annullamento'. Ciò è chiaramente dovuto al fatto che l'assorbimento è massimo nel piano galattico ed è minimo nella direzione dei poli galattici.
Una caratteristica interessante della zona di annullamento è la sua struttura irregolare sui due lati del piano galattico. In alcuni punti non è alta più di 3° dal piano, mentre ad altre longitudini raggiunge i 25° dal piano. Ciò si spiega con la distribuzione molto irregolare del materiale assorbente, com'è stato confermato da altre misurazioni.
La proprietà meglio studiata del materiale assorbente è la dipendenza dell'assorbimento dalla frequenza, o lunghezza d'onda, alla quale è misurato. In termini astronomici questo fenomeno viene chiamato ‛estinzione selettiva' o ‛arrossamento', perché l'assorbimento è molto più forte nella regione blu dello spettro, così che gli oggetti per cui si verifica un forte assorbimento appaiono rossi. Nella regione del visibile dello spettro l'assorbimento è all'incirca inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda. È in sostanza la stessa caratteristica mostrata dal materiale delle ‛nebulose di riflessione' discusse in precedenza; presumibilmente il materiale è la stessa ‛polvere', con dimensioni dell'ordine di 5•10-5 cm.
L'assorbimento è stato recentemente studiato a lunghezze d'onda molto corte, nell'ultravioletto, grazie alle osservazione fatte dai satelliti terrestri artificiali, che operano sopra l'atmosfera. Si è trovato che l'assorbimento continua ad aumentare man mano che la lunghezza d'onda si accorcia. È stata trovata una caratteristica particolarmente interessante verso i 2.200 Å. L'assorbimento mostra un picco inaspettato in questa regione, qualcosa come una riga molto larga: la larghezza è dell'ordine di 100 Å. Un tale picco sarà molto importante per identificare il materiale che causa l'assorbimento.
Nello spettro del visibile sono state rivelate altre strutture ‛diffuse' di assorbimento, la più pronunciata delle quali si trova alla lunghezza d'onda di 4.430 Å; sono quasi certamente caratteristiche causate dallo stesso mezzo che causa l'assorbimento generale. Nessuno dei tentativi fatti per identificare queste peculiarità ha portato a spiegazioni generalmente accettate.
Un dato importante di informazione per l'interpretazione di ciò che esattamente costituisce un ‛granello interstellare' o una particella di ‛polvere' può essere la polarizzazione della luce assorbita. Che questa polarizzazione sia prodotta nel mezzo interstellare è dimostrato dal fatto che stelle o gruppi di stelle vicini mostrano un piano di polarizzazione molto vicino e ciò indica che la polarizzazione non ha luogo nella stella. La variazione della polarizzazione con la lunghezza d'onda è ancora troppo poco conosciuta, ma può essere un parametro molto importante.
h) Misura di dispersione sulle pulsar.
Le pulsar sono oggetti che emettono impulsi molto netti di radiazione elettromagnetica, osservabili specialmente nella regione radio dello spettro. Si può misurare accuratamente il tempo di arrivo di questi impulsi, che risulta variare con la frequenza. Ciò è dovuto al fatto che nella parte radio dello spettro l'indice di rifrazione di un gas di elettroni varia con la frequenza, cosicché varia anche la velocità di propagazione delle onde radio. Dalla misura del ritardo nel tempo di arrivo in funzione della frequenza si ottiene il valore della densità di elettroni nel gas interstellare moltiplicato per la lunghezza del cammino percorso dal segnale.
Sfortunatamente in generale non si conosce la lunghezza del cammino, cioè la distanza della pulsar. Vi sono tuttavia parecchi casi in cui si conosce la distanza della pulsar: tutti questi casi, relativi a oggetti collocati vicino al piano galattico, danno un valore medio della densità elettronica pari a ne≃4•10-2/cm3. Se la dispersione ha luogo in una regione più piccola, la densità degli elettroni è proporzionalmente maggiore.
3. Nubi, associazioni e mezzo tra le nubi.
a) Nubi.
Le osservazioni della riga a 21 cm mostrano che l'idrogeno neutro è concentrato quasi completamente nei bracci della spirale. Ciò è vero anche per le nebulose diffuse e, come vedremo in un capitolo successivo, probabilmente la maggior parte della materia si trova nella struttura a spirale. Tuttavia nei rami della spirale esiste una struttura su scala minore che è facilmente visibile nelle fotografie dirette (v. figg. 1, 2 e 3). Le strutture più fini sono filamenti di emissione lunghi meno di 0,03 anni luce e i ‛globuli' (v. fig. 1), che possono avere dimensioni minime dell'ordine di 0,1 anni luce, ma forse sono 10 o più volte maggiori. Si osservano anche strutture più grandi, nella forma di nebulose scure estese e di regioni di idrogeno a 21 cm. Queste strutture più grandi sono chiamate comunemente ‛nubi' e hanno dimensioni comprese tra 10 e 100 anni luce.
Alcune di queste nubi sono anche responsabili delle righe di assorbimento interstellare precedentemente discusse. Dalla larghezza di queste righe di assorbimento si può dedurre che la dispersione di velocità in una nube è spesso minore di 1 km/s; ciò indica che le nubi costituiscono effettivamente un'entità fisica. Le masse delle nubi variano, probabilmente, nell'intervallo tra 100 e 30.000 masse solari.
b) Associazioni.
Nella discussione sulle nebulose diffuse si è ricordato che esse sono probabilmente parti normali del mezzo interstellare nel quale è immersa una stella calda che causa la ionizzazione. Alcuni fatti lasciano supporre che la relazione sia più stretta e sembra, addirittura, che queste stelle si siano formate e stiano formandosi dentro e dalla materia interstellare. In primo luogo queste stelle calde sono tutte concentrate nei rami della spirale, cioè hanno la stessa distribuzione spaziale del materiale interstellare. Queste stelle emettono una quantità talmente elevata di energia che devono per forza essere molto giovani: non più vecchie di 106 o 107 anni. In secondo luogo la loro velocità radiale è circa la stessa del materiale nel quale sono immerse. Infine, osservando la regione circostante, si riscontra spesso che queste stelle calde costituiscono dei sistemi multipli, che talvolta arrivano ad avere addirittura un centinaio di componenti distribuite entro un anno luce dalla stella più luminosa e più calda. Tutte queste stelle devono essersi formate molto recentemente e quasi contemporaneamente.
Questi gruppi di stelle sono chiamati associazioni OB. Si sono trovate associazioni del genere anche senza alcuna nebulosa diffusa e, in questi casi, le dimensioni delle associazioni sono maggiori, dell'ordine di 100 anni luce o più. Queste associazioni sono presumibilmente più vecchie di quelle abbinate alle nebulose diffuse. Infatti, in questo caso, il caldo materiale ionizzato della nebulosa si è espanso e ha formato un mezzo così tenue da non essere più visibile e, dopo breve tempo, i moti non ordinati delle stelle del piccolo gruppo hanno determinato un'espansione dell'associazione di stelle. Una dispersione delle velocità di 3 km/s dà in 107 anni le dimensioni maggiori di cui sopra. Questo porta alla conseguenza che i gruppi di piccole dimensioni ancora immersi nelle nebulose sono sostanzialmente più giovani, forse non hanno più di 105 anni. Una tale età è dimostrata dalla dinamica della stessa nebulosa. Per esempio si sono trovati alti gradienti di densità nelle nebulose di Orione: questi gradienti non potrebbero esistere per periodi molto maggiori di 104 anni.
c) Mezzo tra le nubi.
L'esistenza di ‛nubi' era conosciuta più di trent'anni fa. Le prime questioni sollevate al riguardo furono: 1) in qual modo sono tenute insieme come unità distinte? 2) c'è del materiale tra le nubi?
È possibile che vi sia una connessione tra questi due problemi, nel senso che potrebbe esistere fra le nubi un mezzo alla stessa pressione delle nubi. In tal caso l'equilibrio tra le pressioni che ne risulterebbe potrebbe rispondere alla questione della stabilità di una nube. L'unica prova positiva è ottenuta da misure sulla riga a 21 cm dell'idrogeno neutro, le cui componenti larghe possono essere interpretate come dovute a un mezzo diffuso a temperatura maggiore, ma possono essere interpretate anche come dovute a nubi a temperatura più alta. Tuttavia la dimostrazione di un mezzo tra le nubi è incerta. Il fatto che sia così difficile vedere un tale mezzo significa che la densità degli elettroni deve essere minore di 3•10-2/cm3; la densità dell'idrogeno neutro potrebbe essere un poco più alta, ma certamente per non più di un ordine di grandezza. Affinché un tale mezzo possa essere in equilibrio di pressione con nubi di densità pari a 10 atomi/cm3 e temperatura di 100 °K, la sua temperatura dovrebbe essere almeno di 10.000 °K.
Se la dimostrazione sperimentale di un mezzo tra le nubi è carente, gli argomenti teorici sono anch'essi abbastanza incerti. Forse le nubi non sono configurazioni stabili e si formano e si espandono continuamente. Ciò significa che le loro vite medie sono limitate tra 106 e 107 anni. Le nostre conoscenze attuali non sono sufficienti per sviluppare ulteriormente questo argomento.
4. Stato fisico del mezzo interstellare.
a) Abbondanza degli elementi.
Le informazioni più precise vengono dallo studio degli spettri delle nebulose diffuse e mostrano che le abbondanze degli elementi nel mezzo interstellare sono simili a quelle del Sole (v. sole e pianeti) e delle stelle calde. L'idrogeno è di gran lunga l'elemento più abbondante, seguito dall'elio che ha un'abbondanza (numerica) di circa il 10%. Dopo l'idrogeno e l'elio soltanto altri sei elementi sono stati studiati abbastanza bene, ma le relative abbondanze sono state determinate soltanto a meno di un fattore 3. Questa scarsa precisione è davuta in primo luogo al fatto che le abbondanze sono molto sensibili alla temperatura, difficile da determinare accuratamente, e in secondo luogo al fatto che gli elementi sono presenti in parecchi stadi di ionizzazione e spesso lo stadio più importante non è osservato; di conseguenza la sua abbondanza deve essere stimata, generalmente per confronto con altri elementi aventi potenziali di ionizzazione simili.
Date queste limitazioni si può concludere solo con un largo margine di incertezza che tutte le nebulose diffuse hanno le stesse abbondanze, che sono simili a quelle del Sole.
Le righe di assorbimento interstellare dovrebbero consentirci di valutare le abbondanze nelle nubi fredde. In pratica solo pochissimi elementi sono rappresentati nelle righe studiate bene e quelli presenti sono abitualmente in uno stato di ionizzazione che rappresenta solo una piccola parte di tutta la popolazione dell'elemento. Correzioni per altri stadi di ionizzazione possono essere fatte in quei casi per cui si può determinare indipendentemente la densità degli elettroni. Si conoscono circa dieci casi del genere e tutti danno risultati in buon accordo tra loro: risulta che il rapporto tra sodio (e probabilmente potassio) e idrogeno è molto simile a quello trovato nel Sole, ma il calcio (e probabilmente il titanio) è circa 100 volte meno abbondante che nel Sole. Non è chiara la ragione di queste carenze, ma è stata suggerita l'ipotesi che il calcio (insieme con altri elementi) sia legato nei granelli interstellari. Non è stata ancora fatta una discussione teorica dettagliata di questo effetto. Si spera che questa situazione migliori nel prossimo futuro, appena saranno disponibili osservazioni nell'ultravioletto ottenute grazie ai satelliti artificiali. Le righe di assorbimento in questa regione hanno origine da un numero assai superiore di elementi e spesso rappresentano lo stadio di ionizzazione principale.
Recentemente, grazie soprattutto al satellite Copernico, si sono rese disponibili osservazioni sulle righe di assorbimento interstellare. Queste osservazioni non sono semplici da interpretare, come si pensava in precedenza. Ciò è dovuto principalmente a forti effetti di saturazione in molte righe e a una risoluzione spettrale insufficiente. Ma il quadro generale che emerge è che molti elementi hanno abbondanze simili o identiche a quelle del Sole (per es. il carbonio, l'ossigeno, l'azoto, lo zolfo), mentre alcuni altri hanno abbondanze inferiori (per es. il magnesio, il silicio e, in particolar modo, il ferro), ma non tanto inferiori come il calcio. Questi ultimi elementi, tuttavia, non sono sempre carenti e in qualche nube, specialmente in quelle con alta velocità, essi hanno la stessa abbondanza solare, o anche maggiore. Sembra plausibile la spiegazione precedentemente avanzata, secondo cui alcuni elementi sarebbero qualche volta legati in grani. Sono ora disponibili sufficienti informazioni su cui basare una discussione più dettagliata sulla formazione dei grani; si è già cominciato avanzando l'ipotesi che la carenza sia correlata con la temperatura di condensazione dell'elemento fuori dello stato gassoso.
Queste stesse osservazioni nell'ultravioletto hanno inoltre mostrato che nel mezzo interstellare è presente anche idrogeno molecolare. Generalmente è presente in piccole quantità: solo una molecola di H2 su un milione di atomi di H. Tuttavia alcune nubi ne mostrano una quantità considerevolmente maggiore e in un caso c'è approssimativamente tanto idrogeno molecolare quanto idrogeno atomico. Gli studi sull'eccitazione dell'idrogeno molecolare sono destinati ad aggiungere informazioni importanti sul mezzo interstellare.
Si hanno anche prove indirette dell'esistenza di grandi quantità di idrogeno molecolare nelle parti più interne e soprattutto al centro della nostra galassia. Queste prove derivano dalle osservazioni di diverse righe molecolari. In primo luogo l'eccitazione di alcune di queste righe indica la presenza di alte densità e queste alte densità possono essere prodotte da idrogeno molecolare. L'idrogeno neutro, a differenza di quello ionizzato, non è presente in quantità sufficiente. In secondo luogo in vaste regioni è stata rilevata la presenza di molecole di CO. Dal momento che sia il carbonio sia l'ossigeno hanno sempre un'abbondanza pari a circa un millesimo di quella dell'idrogeno, ci si aspetterebbe la presenza di molto idrogeno in queste regioni, anche se non sotto forma di idrogeno neutro e, probabilmente, neppure sotto forma di idrogeno ionizzato; perciò vale la pena di tentare di osservare l'idrogeno molecolare in queste regioni.
b) Sorgenti di energia e ionizzazione.
L'energia può essere trasferita al mezzo interstellare attraverso i seguenti processi: 1) assorbimento di radiazione stellare; 2) interazione con i raggi cosmici; 3) eventi esplosivi nelle stelle, per esempio supernove.
Li considereremo uno per volta. L'assorbimento della radiazione stellare deve essere ulteriormente suddiviso secondo l'intervallo delle lunghezze d'onda. A lunghezze d'onda maggiori del limite della serie di Lyman (912 Å) la radiazione può essenzialmente penetrare liberamente attraverso il mezzo interstellare. Il suo effetto è di ionizzare gli elementi con un potenziale di ionizzazione inferiore a quello dell'idrogeno, dei quali i più abbondanti sono il carbonio, il silicio, il magnesio e il ferro. L'elettrone libero porta via l'energia in eccesso rispetto a quella necessaria a ionizzare l'elemento. Questa energia in eccesso si ripartisce a sua volta rapidamente tra le altre particelle. Sostanzialmente vengono ionizzati tutti gli elementi e l'abbondanza di questi elementi determina il grado di ionizzazione del gas. Se si suppone che l'abbondanza di ciascun elemento sia pari a quella presente nel Sole, si ha ne≃6•10-4nH.
A lunghezze d'onda minori del limite di Lyman è disponibile una grande quantità di energia proveniente dalle stelle calde, ma questa energia è assorbita dall'idrogeno in vicinanza della stella e non è generalmente presente nel mezzo interstellare. In altri termini l'idrogeno vicino alla stella calda sarà completamente ionizzato (nebulose diffuse). Inoltre l'energia può essere convertita in energia cinetica del materiale nella regione ionizzata. Eventuali fronti di ionizzazione causeranno accelerazione di parte del materiale (il cosiddetto ‛effetto razzo'). Così sebbene gli effetti della radiazione con lunghezze d'onda inferiori al limite di Lyman possano essere sentiti indirettamente nelle zone lontane dalla stella calda, l'effetto diretto è sentito solo nella regione totalmente ionizzata.
Quanto detto sopra non vale, invece, per i fotoni di altissima energia, compresa tra 0,1 e 1 keV (λ = da 10 a 100 Å). I raggi X molli possono penetrare fino a regioni piuttosto lontane dalla loro sorgente. Attualmente sembra improbabile che ci sia una radiazione di raggi X molli sufficiente per avere un effetto sostanziale sul mezzo interstellare. Le misure mostrano che a energie maggiori di 1keV il flusso è insufficiente. A energie più basse esso aumenta considerevolmente, ma a 0,2 keV, l'energia più bassa alla quale sono state fatte misure, il flusso provoca solo effetti molto localizzati. Niente lascia prevedere che tali effetti continuino a sussistere a energie minori: in questo intervallo di lunghezza d'onda calcoli della radiazione delle stelle calde, basati su modelli di atmosfera, non lo prevedono.
Attualmente non sappiamo quale sia l'effetto dei raggi cosmici sul mezzo interstellare, in quanto il numero dei raggi cosmici aumenta verso le energie inferiori come una potenza con esponente pari circa a 2 o poco maggiore di 2. In altri termini i raggi cosmici di energia più bassa sono i più importanti (è certo che energie superiori a 1 GeV non hanno in sostanza alcun effetto sul mezzo interstellare). L'effetto dei raggi cosmici di bassa energia è accentuato dal fatto che anche il coefficiente di assorbimento degli atomi del gas interstellare aumenta verso le energie più basse. Il problema è che misurare l'intensità dei raggi cosmici al di sotto di 1 GeV è molto difficile ed è quasi impossibile al di sotto di 50 MeV, per l'effetto del mezzo interplanetario. Il fatto che nel mezzo interplanetario esistano campi magnetici piuttosto intricati e che essi deflettano i raggi cosmici in arrivo in modo tale che molti di questi ultimi non giungono mai nelle vicinanze della Terra è noto da più di 25 anni. Recentemente si è visto che il problema è ancora più complicato: l'interazione con il mezzo interplanetario, infatti, cambia l'energia dei raggi cosmici, così che i pochi raggi cosmici a bassa energia che raggiungono le vicinanze della Terra non forniscono alcuna informazione circa la loro intensità nel mezzo interstellare.
Sono state tentate varie estrapolazioni sull'intensità dei raggi cosmici nella regione di energie fra 10 e 50 MeV. Per quanto, per le ragioni sopra esposte, tali estrapolazioni possano risultare inattendibili addirittura per un fattore 100, sembra comunque probabile che i raggi cosmici abbiano un ruolo importante come sorgente di energia e di ionizzazione del mezzo interstellare.
L'effetto dei raggi cosmici sull'equilibrio di ionizzazione è abbastanza diverso da quello della radiazione. La radiazione determina una ionizzazione quasi completa nelle vicinanze di una stella calda e non ha effetto lontano dalla stella. Aumentando il flusso di radiazione aumenta soltanto la distanza a cui si estende la regione di ionizzazione quasi totale. D'altra parte, i raggi cosmici causano una ionizzazione parziale del mezzo interstellare e la frazione di ionizzazione dipende direttamente dal flusso dei raggi cosmici. Quindi, se l'intensità dei raggi cosmici è alta, la ionizzazione può variare tra i valori 6•10-4 e 1, limiti stabiliti dal campo di radiazione. Pertanto, se potessimo determinare il grado di ionizzazione nel mezzo interstellare, saremmo anche in grado di ricavare qualche informazione circa la intensità dei raggi cosmici.
L'effetto sul mezzo interstellare di eventi esplosivi nelle stelle è stato discusso nel paragrafo precedente. Sembra che l'immissione di energia, di entità non ancora ben nota, possa avere un effetto considerevole.
c) Perdita di energia e temperatura di equilibrio.
La perdita di energia avviene attraverso l'eccitazione collisionale (generalmente provocata da un elettrone) di un atomo, ione o molecola, seguita da una transizione radiativa spontanea verso lo stato fondamentale. L'idrogeno e l'elio, nonostante la loro grandissima abbondanza, non sono importanti, in generale: alle basse temperature non sono importanti perché il livello eccitato più basso è ancora così alto che il numero di elettroni con energia sufficiente per eccitarli è trascurabile; d'altra parte, nelle regioni di alta temperatura l'idrogeno e l'elio sono, di norma, ionizzati.
Quindi la perdita di energia avviene tramite gli elementi meno abbondanti e dipende dalle abbondanze, dall'energia del livello eccitato più basso e dallo stato di ionizzazione. A temperature inferiori a 100 °K, C° e C+ sono gli ioni più importanti che determinano la perdita di energia. Man mano che la temperatura aumenta divengono importanti ioni diversi. Possiamo dunque calcolare la temperatura per diverse sorgenti di energia.
1. Regione H I, si considera come unica sorgente di energia la radiazione delle stelle. La temperatura è indipendente dalla densità, dal momento che sia la popolazione degli atomi neutri che assorbono energia (proporzionale all'immissione di energia), sia il tasso di perdita dell'energia variano con il quadrato della densità. La temperatura di equilibrio è di 15 °K con un'incertezza di un fattore 2; si tratta di un valore certamente inferiore a quello osservato nelle regioni H I, che varia tra 50 °K e 200 °K.
2. Regione H 1, sono considerati come sorgente di energia anche i raggi cosmici. La temperatura dipende dalla densità, dal momento che l'energia fornita è direttamente proporzionale alla densità, mentre l'energia perduta varia con il quadrato della densità. Quindi sono previste temperature minori per le regioni a densità maggiore. La temperatura dipende inoltre dal flusso della radiazione cosmica, che è poco conosciuto, come abbiamo già detto. Tuttavia, per ottenere una temperatura di equilibrio maggiore di 100 °K, dobbiamo avere un flusso di raggi cosmici piuttosto alto nella regione a densità minore di 1 atomo/cm3.
L'esplosione delle supernove e, in minor misura, lo scoppio delle nove sono altre sorgenti di energia. Non è chiaro se il materiale di queste esplosioni, che ha inizialmente un'energia dell'ordine di grandezza di quella dei raggi cosmici di bassa energia, interagisca direttamente con le regioni H I o se siano importanti processi magnetoidrodinamici intermedi. Nella fig. 3 sono mostrati i resti di un'esplosione di supernova nel Cigno, avvenuta circa 50.000 anni fa. Il materiale luminoso emittente ha una massa che è probabilmente molte volte più grande di quella espulsa dalla supernova: questo indica che almeno una parte della materia espulsa ha interagito con il mezzo interstellare circostante.
3. Regione H 11, sorgente di energia: radiazione dalle stelle. La temperatura è indipendente dalla densità, come detto sopra. Il campo di radiazione vicino alle stelle calde è così forte che la radiazione cosmica ha un effetto trascurabile. La temperatura prevista è compresa tra 4.000 0K e 10.000 °K, in accordo con le osservazioni. Tuttavia il valore teorico è troppo incerto per essere usato nella determinazione delle abbondanze, che dipendono fortemente dalla temperatura.
d) Instabilità termica e sue conseguenze.
Consideriamo un gas a densità molto bassa (n~10-2/cm3) riscaldato da radiazione cosmica. La temperatura di equilibrio può essere alta (~104 °K) se il flusso dei raggi cosmici è alto. Se comprimiamo un po' questo gas, esso si raffredderà e raggiungerà un'altra temperatura di equilibrio. Se questa diminuzione della temperatura, insieme con l'aumento della densità (causato dalla compressione), produce una pressione superiore a quella originaria, il gas è stabile termicamente. Tuttavia, se il raffreddamento è forte, la temperatura di equilibrio sarà tanto più bassa della temperatura originale che la pressione totale diminuirà nonostante l'aumento della densità provocato dalla compressione. In un caso del genere il gas è termicamente instabile, dal momento che la pressione esterna maggiore farà continuare il processo fino al raggiungimento di una fase stabile, che avrà una temperatura molto minore (102 °K) e una densità molto maggiore (~1 atomo/cm3). I valori effettivi dipendono dalle abbondanze, dallo stato di ionizzazione e dal flusso dei raggi cosmici e sono attualmente molto incerti. Anche l'esistenza stessa di tale meccanismo dipende da questi fattori, ma, ammesso che esso esista, non è affatto detto che sia importante. Può anche darsi che la scala dei tempi sia troppo lunga per rendere importante il processo. Tuttavia si tratta pur sempre di un meccanismo plausibile per produrre basse temperature, alte densità e nubi nel mezzo interstellare.
5. Origine della materia interstellare.
Si sa che certi tipi di stelle perdono massa sotto forma di gas che fluisce verso l'esterno. Quantità di massa particolarmente grandi sono perse da stelle estremamente luminose; le supergiganti molto calde e molto fredde sono le più studiate in proposito. Altre stelle che contribuiscono con una ragguardevole quantità di massa alla formazione del mezzo interstellare sono le nebulose planetarie. Le quantità dovute alle supernove sono inferiori di un ordine di grandezza, sebbene l'energia della materia sia circa uguale a quella che viene dalle supergiganti calde. Complessivamente l'immissione totale di massa da queste sorgenti nella nostra galassia è di circa una massa solare per anno, sebbene questa quantità sia abbastanza incerta. È ancora più difficile determinare se questo gettito di massa nel mezzo interstellare abbia subito variazioni nel tempo. È interessante notare che, se non vi sono variazioni nel tempo, il mezzo interstellare può essere rinnovato ogni 3•109 anni, cioè in un periodo di poco inferiore all'età della nostra galassia.
Ora, la migliore stima della velocità di formazione delle stelle (presumibilmente dal materiale interstellare) corrisponde, approssimativamente, al suddetto valore di una massa solare per anno. Perciò possiamo dedurre che attualmente c'è sì un equilibrio nella quantità di materia interstellare, ma si tratta di un equilibrio dinamico in cui la rimozione di materiale dal mezzo interstellare, dovuta alla formazione di stelle, è bilanciata dall'immissione di materiale dalle stelle. Le osservazioni sulle quali è basata questa conclusione sono state compiute prevalentemente entro un raggio pari a 1 o 2 kpc dal Sole, il che può limitare la generalità della conclusione stessa.
6. Distribuzione e moto su larga scala del mezzo nella nostra galassia.
a) Distribuzione generale del gas e curva di rotazione.
La distribuzione generale dell'idrogeno atomico è stata determinata principalmente attraverso le osservazioni della riga a 21 cm. (v. sopra, cap. 2, È a). Poiché la Galassia nel suo complesso non ruota rigidamente ma gira più rapidamente a distanze piccole dal suo centro, il profilo della velocità, ottenuto da osservazioni sulla riga a 21 cm dell'idrogeno in una certa direzione, ci dà, in linea di principio, la possibilità di determinare la distribuzione in densità dell'idrogeno in quella direzione. Naturalmente, bisogna conoscere prima di tutto la velocità di rotazione Θc a differenti distanze R dal centro.
La velocità di rotazione è stata determinata nella maniera seguente. Per quel che riguarda le distanze che risultano inferiori a quella del Sole dal centro della Galassia, R0, per la quale si è adottato il valore standard di 10 kpc (1 kpc = 1.000 pc = 3.262 anni luce), la velocità di rotazione può essere determinata direttamente dallo stesso profilo della velocità della riga a 21 cm. Come indicato nella fig. 4, essa è correlata direttamente al massimo della velocità osservata in una certa direzione. Se la velocità angolare aumenta al diminuire di R, un semplice calcolo mostra che nella direzione SP (il Sole si trova in S e il centro in C) la velocità più alta di allontanamento da S si avrà nel punto D, dove la retta SP passa più vicino al centro. Conoscendo la velocità di rotazione in S, possiamo allora trovare, in linea di principio, la velocità di rotazione alla distanza CD, attraverso il valore massimo della velocità osservata in questa direzione. Per trovare la curva di rotazione per distanze maggiori di R0 bisogna usare altri dati, relativi a distanze e moti di stelle, di cui non ci occuperemo nel presente articolo. La curva di rotazione che è usata in generale è mostrata nella fig. 5.
Poiché gli effetti di pressione sono trascurabili su larga scala, la velocità di rotazione a ogni distanza R e la corrispondente accelerazione centrifuga Θ²c/R danno immediatamente la forza gravitazionale esercitata dal sistema galattico. Dunque i dati concernenti la rotazione determinano il campo gravitazionale globale. Sotto alcune ipotesi specifiche si possono anche derivare modelli per la distribuzione della densità di massa nella Galassia.
Questi dati sono stati ampiamente usati nell'interpretazione dei fenomeni cinematici osservati nella Galassia, compresi quelli connessi con la struttura a spirale (v. sotto).
b) Disco galattico e bracci della spirale.
Una volta che sia nota la curva di rotazione si può, sempre in linea di principio, derivare dai profili delle righe la distribuzione di densità dell'idrogeno atomico nell'intero sistema galattico. Uno di questi profili, corrispondente a un' osservazione nella direzione SQ della fig. 4 è mostrato nella fig. 6. Vi si notano tre massimi locali, che indicano regioni in cui la densità del gas è alta e che corrispondono alle zone ombreggiate della fig. 4.
Quando i profili di riga presi lungo varie direzioni sono messi a confronto, ne derivano due risultati. In primo luogo le zone di alta densità sono localizzate in direzioni prossime al piano galattico. (Si ricordi, a questo proposito, che il Sole è situato vicino al piano galattico, o piano centrale del disco costituente la Galassia, a distanza considerevole dall'asse di rotazione di questa e che anche le nubi di gas interstellare sono fortemente concentrate sul piano galattico). In secondo luogo le regioni di alta densità trovate in diverse direzioni (o longitudini galattiche) su questo piano sono allineate lungo ‛bracci' che possono essere seguiti più o meno con continuità per gran parte della Galassia. Questi bracci sono della stessa natura dei bracci di spirale visti in buona parte delle galassie esterne.
La fig. 7 mostra una delle prime raffigurazioni della distribuzione dell'idrogeno nella nostra galassia, ricavata dalle osservazioni della riga a 21 cm. Le ombreggiature rappresentano differenti densità. Al tempo in cui fu disegnata questa mappa le osservazioni nell'emisfero meridionale erano meno complete di quelle nell'emisfero settentrionale; ciò spiega la differenza tra il lato sinistro e quello destro della mappa. La posizione del Sole è designata dalla lettera S, quella del centro della Galassia da C. Ci sono due settori vuoti, con apertura di circa 30°, che partono dal Sole: essi corrispondono a regioni in cui gli effetti della rotazione differenziale della Galassia sono troppo piccoli perché si possa risolvere la distribuzione spaziale degli atomi di idrogeno dalla distribuzione delle loro velocità radiali (cioè lungo la direzione di osservazione): a queste longitudini i massimi locali dovuti ai vari bracci della spirale si sovrappongono. Questa circostanza, tra le altre, rende impossibile seguire i bracci della spirale lungo l'intero sistema. La difficoltà principale deriva dal fatto che, sebbene nella maggior parte della Galassia le nubi di gas si muovano lungo orbite ‛approssimativamente' circolari intorno al centro, i loro moti in realtà mostrano piccole deviazioni dal modello circolare. Queste deviazioni hanno in parte un carattere sistematico che è collegato alla struttura a spirale e che non può essere chiarito senza un'analisi della dinamica di questa struttura. Negli ultimi anni si sono fatti grandi progressi nella teoria della struttura a spirale, ma i parametri numerici sono ancora troppo incerti per predire il campo di velocità con sufficiente precisione. Per ottenere una mappa attendibile della struttura a spirale della nostra galassia si devono combinare i dati della riga a 21 cm con i dati sulla distribuzione spaziale di altre classi di oggetti che popolano i bracci della spirale, come le regioni H II e le supergiganti giovani. La fig. 8 mostra la struttura trovata per le regioni H II che sono intrinsecamente luminose. Per la difficoltà di avere dati su regioni che emettono molto lontano da noi, la figura è incompleta nella parte al di là del centro. Per confronto sono mostrate nelle figg. 9 e 10 due galassie a spirale ben note. Naturalmente è molto più facile studiare la struttura a spirale di queste galassie esterne, che ci appaiono sotto un angolo piuttosto grande. Ma è necessario porre attenzione al fatto che anche in questi casi - per i quali siamo collocati in un punto di osservazione molto più favorevole di quanto non lo siamo, invece, per determinare la struttura della nostra galassia - è difficile tracciare la configurazione su grande scala senza ambiguità. Ciò è dovuto all'inerente irregolarità di quasi tutti i rami di spirale.
c) Il problema della persistenza su tempi lunghi dei bracci della spirale.
Se le stelle e il gas che compongono i bracci della spirale restassero indefinitamente in questi bracci, le spirali nel corso del tempo si avvolgerebbero in una configurazione molto stretta e praticamente circolare (in tutte le galassie infatti la velocità angolare di rotazione è maggiore nelle regioni interne che non in quelle esterne), oppure tutte le configurazioni a spirale avrebbero dovuto essere molto aperte nel passato. L'aumento della velocità angolare col decrescere della distanza dal centro è tale che, nella maggioranza dei casi, le forme a spirale che vediamo oggi non potrebbero essere più vecchie di 100 o 200 milioni di anni, mentre l'età delle galassie in questione è circa cento volte superiore. Dal momento che la quasi totalità delle galassie a forma di disco mostra una struttura a spirale, si dovrebbe concludere che all'interno di ogni galassia si formino nuove strutture a spirale a intervalli relativamente brevi. Non si conosce un meccanismo plausibile per cui ciò debba accadere.
Il dilemma è stato risolto dalla teoria delle onde della struttura a spirale. Secondo questa teoria, la struttura a spirale è dovuta a un'onda di compressione che viaggia attorno alla galassia. L'onda ha la configurazione di una spirale a due rami e ruota con la stessa velocità angolare a tutte le distanze dal centro, proprio come un corpo rigido. Nella maggior parte della galassia la rotazione dell'onda è più lenta di quella globale della galassia, così che il gas e le stelle sorpassano continuamente l'onda stessa. Quando il gas la supera, esso viene compresso dall'onda (ed è tale compressione che contribuisce a sua volta al sostentamento dell'onda). La compressione del gas porta alla nascita delle stelle. Le stelle giovani di massa maggiore hanno temperatura alta e grande luminosità e ionizzano il gas circostante. Le brillanti nebulose di emissione che così si formano costituiscono il grosso dei bracci della spirale che accompagnano l'onda di compressione. Il processo può continuare per un lungo periodo: nuovo gas entra continuamente nell'onda a spirale, portando alla continua formazione di stelle giovani. In questo modo le caratteristiche della spirale possono persistere per tempi abbastanza lunghi.
Riguardo all'origine delle onde, l'integrazione numerica dei moti in sistemi contenenti molte stelle ha mostrato che una struttura con due rami di spirale simmetrici risulta essere il modello naturale nel quale evolve una galassia a forma di disco. Sebbene la teoria sull'origine e la persistenza delle onde a spirale sia complicata e ancora lontana dall'essere completa, esiste attualmente un sufficiente numero di prove a sostegno ditale teoria perché possa essere ampiamente accettata.
Va notato che, a quanto risulta, il gas interstellare svolge un ruolo essenziale nel processo.
d) Rami in espansione.
Nella regione interna della Galassia si verificano fenomeni inattesi. A circa 3 kpc dal centro c'è un ‛ramo' esteso che, invece di muoversi in un'orbita approssimativamente circolare attorno al centro, ha una componente radiale uscente alla velocità di circa 50 km/s. Questo cosiddetto ‛ramo a 3 kpc', che è indicato schematicamente nella fig. 7, contiene una massa gassosa pari a circa 40 milioni di volte la massa del Sole. Masse di gas dello stesso ordine di grandezza, situate dalla parte opposta rispetto al centro, si allontanano dal centro a velocità anche maggiori (135 km/s per la struttura principale). Tanto il ramo a 3 kpc quanto quello in espansione con velocità di 135 km/s sono situati sul piano galattico. Esistono tuttavia altre configurazioni nella regione centrale, giacenti a distanze considerevoli da questo piano, che presentano deviazioni simili dal moto circolare. Sono stati suggeriti due differenti meccanismi per spiegare queste deviazioni. Secondo una prima ipotesi esse sarebbero correlate al fenomeno della spirale e sarebbero parte di un'onda di ampiezza molto maggiore di quella dei rami ordinari della spirale. In base a questa teoria la grande ampiezza sarebbe dovuta a un fenomeno di ‛risonanza' tra due componenti del moto, che si verificherebbe a pochi kpc dal centro. In questo caso, al moto rivolto verso l'esterno nella direzione del Sole e in quella opposta dovrebbe corrispondere un moto rivolto verso il centro in direzioni perpendicolari alle precedenti. Questi moti verso l'interno non possono essere osservati dalla nostra posizione.
Questo modello presenta un serio inconveniente: esso non offre una spiegazione plausibile per le configurazioni in ‛espansione' situate fuori del piano galattico.
Una spiegazione alternativa è che i moti verso l'esterno siano dovuti all'espulsione di gas dal nucleo galattico. L'ipotesi non è così improbabile come può sembrare a prima vista. Esistono molte prove che l'espulsione di nubi di gas dai nuclei di grandi galassie sia un fenomeno piuttosto comune. Anche nella nostra galassia si verificano parecchi fenomeni difficilmente spiegabili in altra maniera, come per esempio le nubi molecolari nel disco nella regione del nucleo della Galassia (che discuteremo nel capitolo seguente) e qualcuna delle strutture di idrogeno neutro che sono fortemente inclinate sul piano galattico.
La conclusione è che i processi di espulsione devono essere presenti nella regione del nucleo; ma resta aperto il problema se essi siano responsabili di ‛tutte' le deviazioni su larga scala dal moto circolare o se per le più grandi configurazioni, come il ramo a 3kpc, la deviazione possa essere invece connessa con la struttura a spirale.
e) Il disco nella regione del nucleo e le sue nubi molecolari.
All'interno della zona dei rami in espansione il gas mostra di nuovo un regime differente. Osservazioni sulla riga a 21 cm indicano che entro un raggio di 800 pc l'idrogeno atomico è concentrato in un disco sottile in rotazione, con solo piccoli moti interni e poca o punta espansione. La velocità di rotazione del cosiddetto ‛disco nucleare' ha permesso agli astronomi di determinare il campo gravitazionale e la distribuzione di massa vicino al centro: questi dati hanno acquistato un significato speciale in connessione con i fenomeni di espulsione.
Si è stimato che la massa dell'idrogeno atomico nel disco sia pari a 4 milioni di volte la massa del Sole. La massa ‛totale' entro gli 800 pc è di circa 1,1•1010 masse solari ed è costituita praticamente per intero da stelle.
Il disco nucleare contiene una moltitudine di piccole nubi dense. La maggior parte di esse ha bassa temperatura e il gas è prevalentemente allo stato molecolare.
La molecola di gran lunga più abbondante è H2, ma la sua abbondanza non può essere direttamente rilevata se non da satelliti. La molecola più comunemente ‛osservabile' è CO (monossido di carbonio); la sua radiazione alla lunghezza d'onda di 2,6 mm ha fornito un gran numero di informazioni dettagliate sulla regione del nucleo. Dati importanti sono stati ottenuti analogamente da altre molecole abbondanti che emettono o assorbono a lunghezze d'onda radio, in particolare OH (idrossile) e HCHO (formaldeide). Molte nubi molecolari hanno masse piuttosto grandi, fino a circa un milione di masse solari. La loro massa totale nella regione interna del disco sembra sia pari a circa 50 milioni di masse solari, cioè a circa 10 volte la massa dell'idrogeno atomico nell'intero disco nucleare.
La particolarità più notevole delle nubi molecolari è che molte di esse hanno componenti elevate della velocità nelle direzioni radiali. Sembra che tali nubi siano state espulse dal centro, ma non si sa in base a quale meccanismo. Per le loro alte densità probabilmente esse possono muoversi praticamente senza ostacoli attraverso il gas, molto meno denso, del disco ruotante diidrogeno atomico; tuttavia la loro relazione con questo disco è ancora completamente da chiarire.
Per il forte assorbimento nel disco galattico la regione del nucleo non può essere osservata otticamente; però, oltre che alle lunghezze d'onda radio, può essere esplorata nell'infrarosso e per mezzo dei raggi X. Da queste osservazioni non si è ancora ricavato un modello definitivo.
f) Gas a grandi distanze dal piano galattico.
Il campo gravitazionale della Galassia tende a concentrare il gas interstellare vicino al piano galattico, dove infatti è situata, come abbiamo visto, la maggior parte del gas. Alcune nubi di gas si trovano tuttavia a distanze considerevoli, fino a parecchi kpc, dal piano. Esse devono essere state espulse nel corso di eventi violenti verificatisi nel disco di gas. Il più importante tra questi eventi è lo scoppio delle supernove.
Queste esplosioni producono un alone sottile e irregolare intorno al disco galattico. Oltre a questo alone sono stati osservati a grandi latitudini galattiche vasti complessi di nubi di gas che si muovono ad alte velocità (fino a 250 km/s) ‛verso' il disco galattico. Queste nubi, dette ‛ad alta velocità', sono probabilmente costituite da gas che cade nel sistema galattico dall'esterno. Può essere che il processo che ha dato origine alla Galassia a partire dal mezzo gassoso che riempie l'universo non sia terminato del tutto e che ancora un po' di gas continui ad aggiungersi alla Galassia. Nella collisione con le nubi dell'alone le nubi ad alta velocità sono dapprima riscaldate a temperature molto alte; durante il rapido raffreddamento successivo, l'idrogeno ionizzato si ricombina e si può osservare attraverso la riga a 21 cm. Si è stimato che la quantità totale di gas che in questo modo si immette nella Galassia sia pari a una massa solare all'anno.
g) Incurvatura delle parti esterne del disco.
Fino a circa 10 kpc dal centro il disco di gas è abbastanza piatto. I punti di massima densità non deviano mai più di 75 pc dal piano galattico medio, tranne che in poche piccole regioni. L'estrema precisione con cui il gas si è sistemato in un disco così piatto è in evidente contrasto con la scarsa uniformità con cui è distribuito nel piano.
A distanze maggiori dal centro lo strato di gas non coincide più con il piano galattico, ma risulta incurvato rispetto a esso, verso il polo Nord galattico da un lato e verso il polo Sud galattico dall'altro. L'effetto è illustrato nella fig. 11, in cui è mostrata la sezione con un piano che passa per il centro ed è perpendicolare alla direzione che unisce il centro al Sole. In ascissa sono state messe le distanze dal centro, in ordinata le deviazioni dal piano galattico.
La causa di questa incurvatura delle parti esterne dello strato di gas è ancora sconosciuta. Distorsioni della stessa natura sono state trovate in altre galassie a spirale.
7. Il nucleo galattico.
È stato ipotizzato che i moti espansionali discussi precedentemente derivino da un oggetto peculiare situato nel centro galattico. Sebbene alcuni dei moti di espansione possano essere dovuti a esplosioni di supernove, certi indizi fanno supporre che qualcosa di ancora più potente, come per esempio, un buco nero di grande massa, sia responsabile dei fenomeni osservati.
L'idea che i nuclei di galassie possano contenere oggetti peculiari di grande massa è stata fortemente stimolata da osservazioni su altre galassie, in particolare sulle galassie di Seyfert e sulle radiogalassie. Le prime hanno nuclei luminosi simili a stelle con righe di emissione molto larghe. Osservazioni spettroscopiche mostrano che nubi di gas ionizzato sono espulse con intermittenza a velocità dell'ordine di 100 km/s e maggiori. Tali nubi potrebbero dare luogo alle configurazioni in espansione del tipo di quelle osservate nella nostra galassia, dopo aver spazzato via il gas a riposo dalle regioni circostanti il nucleo.
Le radiogalassie sono caratterizzate da enormi regioni che emettono radiazione di sincrotrone (v. sopra, cap. 2). Queste regioni si estendono a distanze dell'ordine di centinaia e in taluni casi anche di parecchie migliaia di kpc, oltre le dimensioni del sistema visibile otticamente. Le particelle di alta energia che emettono radiazione di sincrotrone devono essere state originate in gran parte nel nucleo della galassia genitrice. La loro energia complessiva è così alta che, almeno nel caso delle radiogalassie più potenti, è improbabile che possa essere stata prodotta da normale energia nucleare. Il solo modo conosciuto secondo cui una data massa può produrre energia in maggior quantità è per annichilazione totale o parziale, quale può aver luogo nelle immediate vicinanze di un buco nero. L'energia in questo caso è, in ultima analisi, fornita dalla gravitazione.
Nei nuclei delle radiogalassie, in particolare dei cosiddetti quasar, si verificano spesso enormi processi esplosivi.
Evidentemente è di grande importanza lo studio dei fenomeni che avvengono nelle vicinanze del nucleo della nostra galassia, perché la sua relativa vicinanza permette l'osservazione di dettagli che non sono osservabili in altre galassie.
Oltre a dati sui moti espansionali descritti, si possono ottenere delle stime relative alla massa del nucleo e alle sue dimensioni. Per quanto riguarda le dimensioni, recenti osservazioni con interferometri molto grandi, a lunghezze d'onda dell'ordine del centimetro, hanno indicato che esiste un nucleo, che emette radiazione di sincrotrone o radiazione dovuta a effetto Compton inverso, con un diametro inferiore a circa 1/1.000 di secondo di grado, pari a 10 volte la distanza tra la Terra e il Sole.
8. Gas intergalattico.
La questione di quanto gas non condensato in galassie esista nell'universo è di notevole importanza. Sfortunatamente i dati disponibili sono scarsi e non permettono conclusioni definitive.
In alcuni piccoli gruppi vicini di galassie si sono osservate estese nubi di idrogeno atomico che circondano i membri principali di questi gruppi. Tuttavia su scala cosmica, come pure negli ammassi più grandi, l'idrogeno atomico deve essere estremamente scarso, come si deduce dalla mancanza di assorbimento della riga a 21 cm. Per quanto esteso sia, il gas intergalattico deve essere ad alta temperatura e fortemente ionizzato. Che tale gas sia indubbiamente presente è mostrato dalla struttura delle radiogalassie, le cui protuberanze radio sembrano esser confinate dalla pressione esterna. Questo fatto è particolarmente evidente nelle galassie dette ‛testa-coda', che si incontrano frequentemente negli ammassi di galassie. Le code sono formate dalla pressione del ‛vento' intergalattico prodotto dal moto delle radiogalassie attraverso il gas intergalattico del gruppo; sono necessarie densità del gas dell'ordine di 10-28 g/cm3, cioè dello stesso ordine di grandezza della densità media dovuta alle sole galassie.
Su basi più generali, connesse con la formazione degli ammassi e dei gruppi di galassie, si è concluso che la densità del gas intergalattico nell'universo non è probabilmente maggiore della densità media dovuta alle galassie.
Un limite superiore alla densità del gas è posto dall'intensità del fondo generale di radiazione X.
(I capitoli 1-5 sono di S.R. Pottasch; i capitoli 6-8 sono di J. H. Oort).
Bibliografia.
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