Abstract
L’analisi si concentra sui profili di rilevanza penale delle pratiche di “surrogazione di maternità”, sia alla luce del diritto vigente, sia in prospettiva de iure condendo. Punto di partenza è l’esame del delitto previsto dall’art. 12, co. 6, l. 18.2.2004, n. 40. Si affronta, poi, il tema della rilevanza penale dei fatti commessi all’estero, anche alla luce dei più recenti indirizzi giurisprudenziali.
L’espressione “maternità surrogata” indica la situazione nella quale una donna si assume l’obbligo di portare a termine una gravidanza per conto di una coppia sterile, alla quale s’impegna poi a consegnare il nascituro. In realtà, la figura della madre su commissione può dar corpo a molteplici fattispecie, a seconda del tipo di partecipazione della donna esterna alla coppia: costei può provvedere solo alla gestazione, o anche al concepimento dell’embrione, con l’apporto o meno del proprio materiale genetico; senza contare l’eventuale intervento di un donatore di gameti maschili, che contribuisca geneticamente alla formazione dell’embrione.
Ad accomunare tutte queste ipotesi è la radicale scissione tra maternità sociale, biologica e genetica, che mette in crisi il tradizionale principio secondo cui “madre” del “nascituro” è colei che lo ha “partorito”. Si tratta di fenomeno affatto nuovo, ma che lo sviluppo della scienza e della tecnica ha reso più complesso e potenzialmente diffuso.
Al di là dei risvolti medici, etici, sociali e (soprattutto) giuridici (di natura civilistica) sottesi ad una gestazione per conto terzi, il fenomeno è stato fatto oggetto anche delle attenzioni del legislatore e della giurisprudenza penali.
L’art. 12, co. 6, parte seconda, l. n. 40/2004, incrimina e punisce con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da € 600.000 a € 1.000.000 «chiunque, in qualsiasi forma, realizza organizza o pubblicizza … la surrogazione di maternità». Nel caso di condanna, al medico sarà applicabile la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione da uno a tre anni; mentre per la struttura presso cui è stata praticata la tecnica è prevista la sospensione dell’autorizzazione (art. 10 l. n. 40/2004) ad eseguire interventi di procreazione assistita e la revoca della stessa in caso di recidiva o di più violazioni dei divieti previsti dall’art. 12.
Si tratta di uno dei pochi tasselli dell’impianto repressivo della l. n. 40/2004 a non essere caduto sotto la falce lenta, ma inesorabile della giurisprudenza costituzionale.
Un recente tentativo di legittimare “laicamente” l’incriminazione in esame ne individua l’oggetto di tutela nell’esigenza di prevenire «l’instaurarsi di una situazione non pienamente giuridicizzabile e per intima vocazione esposta al rischio di contenziosi non riducibili in termini costituzionalmente compatibili» (Vallini, A., Illecito concepimento e valore del concepito, Torino, 2012, 153): la criminalizzazione della surrogazione sottenderebbe l’impossibilità per l’ordinamento di scegliere ragionevolmente tra l’attribuzione di maternità alla gestante ovvero alla committente; come provato dall’assenza di una disciplina specifica che regoli in ambito civilistico gli effetti, sul piano dei rapporti parentali, della violazione del divieto. La tesi ha il pregio di offrire giustificazione alla mancata distinzione tra forme lucrative e non lucrative di surrogazione di maternità. Pur dovendosi riconoscere la problematica composizione degli interessi in gioco, però, l’ordinamento non può astenersi dal prendere una posizione su situazioni reali, né le difficoltà in tal senso possono, da sole, giustificare una scelta di incriminazione.
Un diverso orientamento individua il bene giuridico tutelato dal delitto di “surrogazione di maternità” nella «unitarietà delle figure genitoriali» e più precisamente nell’unitarietà della figura materna, non tollerando il legislatore alcuna scissione tra maternità gestazionale, biologica e sociale (così, sia pur criticamente, Dolcini, E., La procreazione medicalmente assistita: profili penalistici, in Canestrari, S.-Ferrando, G.-Mazzoni, C.-Rodotà, S.-Zatti, P., a cura di, Il governo del corpo, in Rodotà, S.-Zatti, P., diretto da, Trattato di biodiritto, II, Milano, 2011, 1552).
L’opinione più diffusa, invece, fa leva sul concetto di “dignità umana” (Pecora, S.-Vettori, F.-Cingolani, M., Il sistema sanzionatorio della legge 19 febbraio 2004, n. 40. Aspetti giuridici e medico-legali, in Riv. it. med. leg., 2006, 1084; Dova, M., Maternità surrogata e diritto penale, in Riv. med. leg., 2015, 928 ss.), talvolta declinato con riferimento alla sola “madre sostituta” o al solo “nascituro”. Con riferimento alla prima a venire in rilievo sarebbe l’interesse fondamentale a non divenire il semplice “strumento” per creare (prima) e cedere (dopo) un bambino con il quale ha inevitabilmente instaurato una relazione intima ed emotiva. L’interesse del nascituro è, invece, quello di non divenire merce di scambio e di non venire privato del legame biologico e affettivo instauratosi con la gestante, sì da comprometterne il sano sviluppo. (Mantovani, F., Procreazione medicalmente assistita e principio personalistico, in Leg. pen., 2005, 337)
Sono note le perplessità che avvolgono il concetto stesso di dignità umana come possibile oggetto di tutela penale, essendone i contenuti vaghi e indeterminati, quindi manipolabili in senso eticizzante. Per di più, è la stessa declinazione offertane nel caso di specie a mal adattarsi a una criminalizzazione generalizzata della “surrogazione di maternità”, atteso che gli interessi richiamati non vengono aggrediti alle stesso modo da ogni possibile manifestazione del fenomeno.
Anche il richiamo a un eventuale danno al sano sviluppo del bambino, in considerazione della rottura del particolare legame con la gestante, non appare supportato da un’evidenza scientifica tale da giustificare il ricorso alla sanzione penale (Consorte, F, La procreazione medicalmente assistita, in Cadoppi, A.-Canestrari, S.-Manna, A.-Papa, M., a cura di, Trattato di diritto penale. Parte speciale, VII, Torino, 2011, 234). Né si può affermare che la dissociazione tra filiazione sociale e biologica, insita nella pratica, leda l’interesse del minore alla doppia figura genitoriale (Canestrari S., Verso una disciplina penale delle tecniche di procreazione medicalmente assistita? Alla ricerca del bene giuridico tra valori ideali e opzioni ideologiche, in Fioravanti, L., a cura di, La tutela della persona. Nuove frontiere, difficili equilibri, Milano, 2001, 82). Senza considerare l’insuperabile contraddizione insita nel fondare un “divieto di concepimento” su un (presunto) interesse del suo eventuale frutto (Vallini, A., Illecito concepimento, cit., 149).
La descrizione del fatto incriminato risulta alquanto laconica. Ne deriva un evidente difetto di precisione, che, a sua volta, discende dal ricorso, per identificare l’unico elemento costitutivo della fattispecie, all’espressione “surrogazione di maternità”, che nella sua sinteticità non è in grado di dar conto della numerosità e varietà dei fenomeni a essa riconducibili. Dall’art. 12, co. 6, l. n. 40/2004 non emerge chiaramente né quale tipologia di maternità surrogata il legislatore intenda vietare (solo la surrogazione parziale, solo quella totale oppure entrambe), né cosa si intenda per “realizzazione” della medesima.
Spetta, quindi, all’interprete il compito di ricostruire gli esatti contenuti dell’incriminazione.
Si ritiene, comunque, che la disposizione si applichi alle due seguenti ipotesi: a) la situazione in cui l’aspirante madre produce l’ovocita, il quale, una volta fecondato dallo spermatozoo dell’aspirante padre, viene impiantato nell’utero di un’altra donna che fungerà esclusivamente da gestante (cd. “surrogazione di gestazione” o “locazione di utero”); b) il caso in cui l’aspirante madre demanda ad un’altra donna sia la produzione di ovociti, sia la gestazione, non fornendo alcun apporto biologico (cd. “surrogazione di concepimento e gestazione”). (Dolcini, E., La procreazione, cit., 1551; Losappio, G., Procreazione assistita, in Palazzo, F.-Paliero, C.E., a cura di, Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007, 2059; contra, Vallini, A., op.cit., 154, che ritiene la norma applicabile solo nel primo caso). È evidente che nell’ipotesi sub b la “surrogazione di maternità” s’innesta su un processo di “fecondazione eterologa”; con gli inevitabili problemi di concorso di norme che ciò poteva comportare; almeno fino alla declaratoria d’incostituzionalità del divieto di donazione di gameti esterni alla coppia (C. cost., 10.6.2004, n. 162).
Secondo una parte della dottrina la norma incriminerebbe la «realizzazione di una pratica di procreazione assistita volta a implementare un progetto di surrogazione di maternità» (Vallini, A., op.cit., 144). Questa lettura determinerebbe una duplice delimitazione dell’ambito di applicazione della disposizione: da un lato, lascia fuori i casi di surrogazione realizzata con modalità naturali; dall’altro, circoscrive la rilevanza penale del processo di sostituzione alla sola concreta esecuzione dell’accordo.
Quanto alla prima limitazione, si è obiettato che il disvalore penale dell’illecito – ammesso che esista – non sembra risiedere nel ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Non solo: la limitazione proposta determina un intervento penalistico ingiustificatamente differenziato. (Dova, M., Maternità surrogata, cit., 931). Pur trattandosi di considerazioni condivisibili, a imporre una lettura più restrittiva è, però, proprio la collocazione sistematica all’interno di un testo legislativo che fa riferimento a “pratiche di PMA”: ogni sconfinamento da tale perimetro si traduce in una applicazione analogica lesiva del principio di tassatività (Vallini, A., op.cit., 144).
Diverso è il discorso con riferimento all’individuazione del momento a partire dal quale acquisti rilevanza penale la complessa procedura che inizia con la stipulazione di un accordo e termina con la consegna del bambino alla coppia committente. Vero che il legislatore, limitandosi a stabilire un generico divieto, ha finito col mettere in un unico calderone situazioni, condotte e contributi fortemente eterogenei tra loro; determinando, per di più, una forte anticipazione dell’intervento penale. La lettura restrittiva si scontra, però, con la lettera della norma, che, da un lato, incrimina la “realizzazione” «in qualsiasi forma» (Spena, A., Una storia semplice? Surrogazioni, alterazioni, falsificazioni, in Riv. med. leg., 2015, 1549), dall’altro, equipara la “realizzazione” alla “organizzazione” e “pubblicizzazione” della “maternità surrogata”. L’organizzazione consiste nella predisposizione e nel coordinamento logistico di mezzi, materiali e risorse umane per la realizzazione efficace di un protocollo di medicina riproduttiva attuativa di un progetto di maternità surrogata. La pubblicizzazione si realizza con la promozione della pratica in modo da convincere e coinvolgere i potenziali interessati. Si tratta, in ogni caso, di condotte prodromiche alla stipula di un accordo di surrogazione (per tutti, Losappio, G., Procreazione assistita, cit., 2060. Contra, Vallini, A., op.cit., 146, secondo cui bisognerebbe leggere le nozioni di “organizzazione” e “pubblicizzazione” non come atti preparatori della “surrogazione di maternità, ma quali attività non occasionali e realizzate su larga scala, in modo da recuperare un’omogeneità di disvalore con la condotta di “realizzazione”).
Ai fini dell’integrazione della fattispecie non si richiede, infine, alcuna finalità lucrativa. Non deve trarre in inganno l’accostamento con la commercializzazione di gameti e di embrioni. Il dato letterale non avalla alcuna lettura restrittiva in tal senso.
La selezione dei possibili soggetti attivi del delitto è condizionata dalla accezione più o meno ampia che si attribuisce al concetto di “realizzazione di surrogazione di maternità”.
Dall’accoglimento di una nozione restrittiva discende che il solo possibile autore è il medico che realizzi l’intervento nella prospettiva di una successiva cessione del figlio ai committenti. Tutti gli altri soggetti coinvolti assumeranno, eventualmente, il ruolo di concorrenti (Vallini, A., op.cit., 144).
Se, invece,– come sembra imporre un’interpretazione letterale e sistematica – si ricostruisce in termini più estesi il concetto di realizzazione, la norma troverà applicazione a tutti i soggetti coinvolti: l’eventuale donatore esterno alla coppia, la coppia stessa, la madre portante, il medico, oltre a quanti pongano in essere le attività prodromiche ad interventi del tipo di quello vietato.
Del resto, l’inserimento tra i soggetti attivi della madre gestazionale e della coppia di genitori biologici si ricava anche dalla lettura dell’art. 12, co. 8, l. n. 40/2004, che non include la “surrogazione di maternità” nei casi per i quali stabilisce la non punibilità per l’uomo o la donna cui siano applicate le pratiche di procreazione medicalmente assistita. Al netto delle imprecisioni della formula utilizzata dal legislatore (chi sono l’uomo o la donna cui sono applicate le pratiche?; in argomento, Losappio, G., op. cit., 2060), sembra chiara la ratio ad essa sottesa. Discusso è semmai se rispondano direttamente ex art.12, co. 8 (Spena, A., Una storia semplice?, cit., 1553) ovvero a titolo di concorso di persone nel reato materialmente commesso dal medico (Dolcini, E., La procreazione, cit., 1553).
Un discorso a parte merita la “madre sostituta”, il cui inserimento tra i possibili soggetti attivi – desumibile dall’impianto complessivo della disciplina – determina una palese contraddizione con la pretesa oggettività giuridica del reato, atteso che potenziale autrice del reato diventa quella che ne viene identificata come vittima.
Ovviamente la responsabilità del medico presuppone la sua conoscenza dell’accordo tra le parti circa la sorte del nascituro. Se, per esempio, la prestatrice d’utero e il padre committente si presentano presso una struttura sanitaria come coppia che chiede la fecondazione omologa e poi la donna si presenti altrove per il parto usufruendo della possibilità di non farsi nominare nell’atto di nascita, in modo che poi il bambino sia riconosciuto dal committente, egli non risponderà del delitto per difetto di dolo.
Il carattere assoluto del divieto di surrogazione di maternità ha indotto molte coppie italiane, affette da infertilità e/o impossibilità di gestazione, a fare ricorso a tale pratica in Paesi nei quali la stessa risulti lecita e regolamentata.
La giurisprudenza si è, quindi, dovuta confrontare con i profili di rilevanza penale nascenti da questa forma di “turismo procreativo”.
In linea di massima, non sembrano esservi ostacoli all’applicazione dell’art. 12, co. 6, l. n. 40/2004 a fatti posti in essere in tutto o in parte fuori dal territorio italiano.
L’art. 9 c.p. subordina la punibilità dei delitti comuni commessi dai cittadini all’estero a due condizioni esplicitamente richiamate: a) che gli autori della violazione si trovino nel territorio italiano al momento del giudizio (presupposto che di norma si verifica in quanto la coppia che fa ricorso al cd. “turismo procreativo” è generalmente intenzionata a condurre in Italia la propria vita familiare); b) per i reati puniti con la reclusione inferiore nel minimo a tre anni, la richiesta del Ministro della Giustizia (condizione di procedibilità che – per quanto di non frequente ricorrenza – si è avuta nel caso deciso da Cass. pen., 10.3.2016, n. 13525, in Dir. pen. e processo, 2016, 1085 ss., con nota di Madeo, A., La Cassazione interviene sulla rilevanza penale della surrogazione di maternità).
A ben vedere, però, la condanna risulta condizionata dalla soluzione data alla questione del rilievo implicito del requisito della cd. “doppia incriminazione”, in forza del quale non può essere assoggettato alla legge penale italiana il cittadino che commette all’estero un fatto preveduto come reato dalla legge italiana, ma considerato penalmente irrilevante dall’ordinamento dello Stato estero in cui si commette il fatto. Sul punto, dottrina e giurisprudenza sono percorse da orientamenti contrastanti, tanto in via generale, quanto in relazione al caso in oggetto (per la tesi affermativa, Dolcini, E., Surrogazione di maternità all’estero: alterazione di stato ex art. 567 comma 2 c.p.? Riflessioni a margine di un volume di Flamigni e Mori, in Notizie di Politeia, 2014, 82; per quella contraria Spena, A., op.cit., 1559).
La Corte di cassazione, occupatasi del tema, non ha preso posizione tra i due orientamenti, ritenendo sussistente un errore inevitabile sull’art. 9 c.p., in quanto la coppia avrebbe agito all’estero nella convinzione che per la punibilità ex art. 12, co. 6, l. n. 40/2004 sarebbe stata necessaria la previsione come reato della maternità surrogata anche nel locus commissi delicti (Cass. pen. n. 13525/2016). L’effetto concreto non è dissimile da quello che si ottiene applicando il criterio della “doppia incriminazione”.
Si tratta, in ogni caso, di un profilo di palese criticità. La valutazione giuridica della “maternità per sostituzione”, infatti, varia da ordinamento a ordinamento: dalla completa liceità al divieto assoluto penalmente sanzionato, passando da un’innumerevole serie di varianti e gradazioni relativi a modalità e limiti di accesso alla pratica (Per un quadro delle diverse opzioni, Vallini, A., op.cit., 140 ss.; Dova, M., op. cit., 920 ss.). Ne deriva che ogni difficoltà ermeneutica che investa l’art. 12, co. 6, l. n. 40/2004 si ripercuoterà sulla sua eventuale applicazione a fatti commessi fuori dal territorio italiano: vuoi nella misura in cui la disciplina interna debba essere confrontata con quella dello Stato estero per valutare il requisito della cd. “doppia incriminazione”, vuoi come possibile fonte di un errore inevitabile sul precetto.
A fronte di una pressoché assoluta irrilevanza prasseologica dell’art. 12, co. 6, l. n. 40/2004, la giurisprudenza ha provato a percorrere strade alternative. La norma venuta maggiormente in rilievo è proprio quella dell’art. 567, co. 2, c.p., che punisce, con la reclusione da 3 a 10 anni (così come stabilito da C. cost., 21.9.2016, n. 236), la falsità, avente l’effetto di alterare lo stato civile di una persona, compiuta al momento della formazione dell’atto di nascita.
Già prima dell’entrata in vigore della l. n. 40/2004, tale reato era ritenuto applicabile nel caso in cui la donna committente avesse denunciato come proprio il figlio partorito in realtà dalla madre surrogata.
Il tema è riemerso, di recente, in relazione a fatti commessi all’estero.
Un dato va evidenziato: l’applicazione delle citate disposizioni comporta l’irrogazione di un trattamento sanzionatorio più severo di quello previsto dalla norma incriminatrice della maternità surrogata; con l’effetto, invero paradossale, di punire più severamente il fatto commesso all’estero, rispetto al medesimo realizzato in Italia (Lo sottolinea Dolcini, E., Surrogazione, cit., 85). Paradosso solo in parte mitigato dalla constatazione che nella seconda ipotesi il delitto di surrogazione di maternità è destinato a concorrere con quello di alterazione di stato.
Il modello comportamentale è quasi sempre lo stesso. La coppia committente, dopo essersi recata in un Paese in cui è possibile fare ricorso – dietro pagamento di un corrispettivo – alla maternità surrogata gestazionale (ad es. India, Ucraina o Russia), ottiene, in conformità alla lex loci, un certificato di nascita che riconosce il legame genitoriale con il bambino nato da maternità surrogata. Successivamente la coppia fa rientro in Italia e fa riconoscere il certificato dalla competente autorità di stato civile, senza fare cenno alle modalità concrete del concepimento e della nascita.
Dopo alcune decisioni di merito dagli esiti contrastanti (sulle quali, Trinchera, T., Profili di responsabilità penale in caso di surrogazione di maternità all’estero: tra alterazione di stato e false dichiarazioni a pubblico ufficiale su qualità personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 418 ss.; Dova, M., op. cit., 932 ss.; Spena, A., op. cit., 1546 ss.; Dolcini, E., Surrogazione, cit., 82 ss.), la questione è approdata alla Corte di cassazione (Cass. pen. n. 13525/2016), secondo cui il reato deve essere escluso nel caso di attestazione di genitorialità da parte della coppia davanti all’ufficiale di stato civile dello Stato estero al momento della formazione dell’atto e in conformità al diritto ivi vigente. La successiva condotta con la quale i genitori chiedono la trasmissione dell’atto di nascita in Italia per ottenerne l’attribuzione di efficacia nel nostro Paese è estranea alla tipicità dell’art. 567, co. 2, c.p.
Alla luce delle argomentazioni di tale pronuncia, appare evidente come il contrasto di posizioni emerso nella giurisprudenza di merito fosse, a ben guardare, più apparente che reale: il diverso esito delle varie pronunce, infatti, altro non era che il riflesso di diverse situazioni concrete.
Il reato era stato escluso, in presenza di un atto di nascita formato nello Stato estero nel pieno rispetto della sua legislazione, che, a fronte di un regolare accordo tra le parti, impone di indicare come madre quella “sociale” e non la gestante (Trib. Milano, 14.4.2014, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 413, e Trib. Varese, 8.10.2014, in www.penalecontemporaneo.it, 17.12.2014). Viceversa, si era ritenuto integrato il delitto dell’art. 567, co. 2, c.p. in un’ipotesi in cui la surrogazione di maternità era stata realizzata con donazione di ovocita, pratica quest’ultima non conforme alla legge del Paese (l’Ucraina) ove il bambino era nato. Tale ordinamento ammette la donazione di ovocita con conseguente fecondazione eterologa, come pure l’impianto di un embrione concepito con il materiale genetico di una coppia legalmente sposata nell’utero di una donna diversa dalla madre biologica, ma non consente il contestuale ricorso ad entrambe le pratiche: da qui la condanna degli “apparenti” genitori – che aveva peraltro pure omesso di stipulare il regolare contratto in conformità alla legge ucraina – per il delitto di «Alterazione di stato» (Trib. Brescia, 26.11.2013, in www.penalecontemporaneo.it, 17.3.2014).
In breve: sono le diverse situazioni di fatto a condizionare i diversi esiti dei procedimenti giudiziari; all’applicazione dell’art. 567, co. 2, c.p. si può giunger solo nel caso di inosservanza delle condizioni dettate dalla legge straniera per l’accesso e l’esecuzione della pratica di surrogazione di maternità e per la formazione dell’atto di nascita. Difficoltà applicative possono, comunque, emergere per la difficoltà di ricostruire la disciplina straniera e, quindi, valutare la regolare formazione dell’atto di nascita; ma, gravando sulla pubblica accusa l’onere di provare la sussistenza di ogni elemento costitutivo del reato, in caso di dubbio sulla regolarità della procedura seguita non potrà che pervenirsi a un esito assolutorio.
Potrebbe residuare una responsabilità penale ex art. 495, co. 2, n. 1, c.p. («Falsa dichiarazione o attestazione a pubblico ufficiale su qualità personali») in relazione alla richiesta all’ufficiale di stato civile del comune di residenza della trascrizione dell’atto di nascita, per renderlo efficace in Italia.
In tal senso si era espressa una decisione di merito, secondo cui la dichiarazione di essere genitori del bambino, omettendo di specificare le particolari circostanze del concepimento e della nascita, sottrae al patrimonio conoscitivo dell’ufficiale di stato civile italiano un elemento – il carattere surrogato della maternità – «potenzialmente valutabile ai fini del rifiuto della trascrizione, ai sensi dell’art. 18 d.P.R. 396/2000, per contrarietà all’ordine pubblico» (Trib. Milano, 8.4.2014, in Foro it., 2014, II, 371 ss.). La decisione si esponeva a valutazioni critiche. Innanzi tutto, l’evoluzione della giurisprudenza civile va nella direzione di non ritenere la surrogazione di maternità contraria all’ordine pubblico. A ciò si aggiunga che, per sottrarsi alla responsabilità penale, il padre avrebbe dovuto dichiarare il bambino come figlio della madre surrogata, in tal modo ledendo l’interesse del minore, che si sarebbe venuto a trovare in una situazione giuridicamente “claudicante”, derivante dall’attribuzione di genitorialità diverse sul piano transnazionale (lo osserva Winkler, M., Una nuova pronuncia su surrogazione di maternità all’estero e falsa dichiarazione in atti dello stato civile in una sentenza del Tribunale di Milano, in www.penalecontemporaneo.it, 27.4.2014). In realtà, anche in questo caso il rischio penale a carico dei genitori si potrebbe neutralizzare accompagnando la richiesta di trascrizione dell’atto di nascita con una dichiarazione dalla quale risulti che la nascita è avvenuta ed è stata registrata secondo quanto previsto dalla legislazione dello Stato estero; confidando poi su una valutazione di non contrarietà all’ordine pubblico supportata anche dall’orientamento che va consolidandosi nella giurisprudenza della C. eur. dir. uomo (C. eur. dir. uomo, 26.6.2014, Menasson c. Francia; C. eur. dir. uomo, 26.6.2014, Labassee c. Francia), secondo cui sarebbe contrario all’art. 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) il rifiuto opposto da uno Stato di riconoscere valore legale alla relazione tra un genitore e i suoi figli biologici nati all’estero facendo ricorso alla surrogazione di maternità.
A ogni modo, la Suprema Corte ha preso posizione anche su questo punto, affermando che il reato «presuppone una falsa dichiarazione, che non è ravvisabile se i coniugi non rivelano di essersi avvalsi della procedura di surrogazione di maternità all’interno del territorio ucraino» (Cass. pen. n. 13525/2016). Condivide la soluzione, pur ravvisando una contraddizione nelle motivazioni, Madeo, A., La Cassazione interviene, cit., 1094). Il delitto di cui all’art. 495 c.p. sarebbe ravvisabile solo in presenza di attestazioni ultronee rispetto alla mera richiesta di trascrizione, con le quali la coppia simulasse, prima e dopo la nascita, una gravidanza della donna.
Secondo una parte della dottrina, la scelta del legislatore di vietare tout court le pratiche in oggetto, in luogo di procedere «ad una loro adeguata regolamentazione capace di bilanciare i beni giuridici coinvolti, non sembra compatibile con il principio di offensività» (Consorte, F., La procreazione medicalmente assistita, cit., 234; Risicato, L., Dal “diritto di vivere” al “diritto di morire”, Torino 2008, 52; Sanfilippo, P., Dal 2004 al 2014: lo sgretolamento necessario della legge sulla procreazione medicalmente assistita, in www.penalecontemporaneo.it, 11.7.2014, 26).
L’auspicio, in prospettiva de iure condendo, è il superamento del divieto ovvero una significativa circoscrizione della sua portata. In particolare, si potrebbe: o limitare l’intervento penale alle sole «attività d’intermediazione volte a rendere possibile o a favorire l’accordo surrogatorio» (Canestrari, S., Procreazione assistita: limiti e sanzioni, in Dir. pen. e processo, 2004, 420); oppure criminalizzare i soli fenomeni di surrogazione a titolo oneroso (Moccia, S., Un infelice compromesso: il testo unificato delle proposte di legge in materia di procreazione medicalmente assistita, in Crit. dir., 1998, 250; Manna, A., Sperimentazione clinica, in Enc. dir., Aggiornamento IV, Milano, 2000, 1132; Risicato, L., Dal “diritto di vivere”, cit., 52; Consorte, F., op. cit., 236). In effetti, proprio la presenza di un corrispettivo economico, lungi dal rappresentare un semplice elemento di maggiore riprovevolezza del fatto, determina quella “reificazione” dei soggetti coinvolti (la gestante, il nascituro) che rappresenta un chiaro e indiscusso referente di tutela penale. La donna che sceglie spontaneamente e gratuitamente di disporre del proprio corpo, portando avanti una gravidanza per conto di terzi, a cui risulti legata da vincoli affettivi o solidaristici, non subisce alcuna offesa, dal momento che esercita la sua libertà di autodeterminazione, per di più nel contesto di una pratica che mantiene una connotazione squisitamente terapeutica. Nel caso, invece, di cd. “utero in affitto” la componente di sfruttamento diventa prevalente, essendo verosimile che la donna accetti di fare “merce” del proprio corpo spinta da condizioni di bisogno.
Art. 12, co. 6, l. 19.2.2004, n. 40; art. 9, 495, co. 2, n. 1, art. 567, co. 2, c.p.
Canestrari, S., Procreazione assistita: limiti e sanzioni, in Dir. pen. e processo, 2004, 416 ss.; Dolcini E., La procreazione medicalmente assistita: profili penalistici, in Canestrari, S.-Ferrando, G.-Mazzoni, C.-Rodotà, S.-Zatti, P., a cura di, Il governo del corpo, II, in Rodotà, S.-Zatti, P., diretto da, Trattato di biodiritto, Milano, 2011, 1539 ss.; Id., Surrogazione di maternità all’estero: alterazione di stato ex art. 567 comma 2 c.p.? Riflessioni a margine di un volume di Flamigni e Mori, in Notizie di Politeia, 2014, 82; Dova, M., Maternità surrogata e diritto penale, in Riv. med. leg. dir. san., 2015, 920 ss.; Losappio, G., Procreazione assistita, in Palazzo, F.-Paliero, C.E., a cura di, Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007, 2051 ss.; Madeo, A., La Cassazione interviene sulla rilevanza penale della surrogazione di maternità, in Dir. pen. e processo, 2016, 1088 ss.; Pecora, S.-Vettori, F.-Cingolani, M., Il sistema sanzionatorio della legge 19 febbraio 2004, n. 40. Aspetti giuridici e medico-legali, in Riv. it. med. leg., 2006, 1067 ss.; Risicato, L., Dal “diritto di vivere” al “diritto di morire”, Torino 2008; Spena, A., Una storia semplice? Surrogazioni, alterazioni, falsificazioni, in Riv. med. leg. dir. san., 2015, 1543 ss.; Trinchera, T., Profili di responsabilità penale in caso di surrogazione di maternità all’estero: tra alterazione di stato e false dichiarazioni a pubblico ufficiale su qualità personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 418 ss.; Vallini, A., Illecito concepimento e valore del concepito, Torino, 2012.