Maternità surrogata
La maternità surrogata, tuttora vietata – anche penalmente – dalla l. n. 40/2004 (a sua volta in crisi irreversibile), è nella realtà sempre più diffusa, dando luogo al cd. turismo procreativo. Le sanzioni penali sono sostanzialmente inapplicate, forse inapplicabili mentre, in ambito civile, la giurisprudenza è incerta tra prudenti aperture, specie a tutela dell’interesse del minore, comunque nato ed inserito nella famiglia “committente”, e drastici irrigidimenti, in tema di trascrivibilità di atti di nascita formati all’estero, dove la maternità surrogata è ammessa. Ulteriori fattori di incertezza – ma anche prospettive di superamento dell’assetto attuale – provengono dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Quello della maternità surrogata è un tema non nuovo per il diritto (e, prima ancora, per la biologia e la medicina), ma che presenta problematiche nuove e sempre più pressanti, sociali e giuridiche, rispetto alle quali il caveat legislativo, di cui si dirà, e certo non esclusivo del nostro paese, è ormai del tutto inadeguato.
La stessa denominazione non è univoca, in quanto è frequente il riferimento anche alla maternità di sostituzione, ovvero alla surrogazione di maternità e, specie nei media, è in uso l’espressione – impropria – utero in affitto).
Quanto ai profili definitori, basta qui ricordare – in termini estremamente generali – che la maternità surrogata si configura allorché una donna si assume l’obbligo di portare a termine la gravidanza per conto di un’altra donna, o più comunemente di una coppia (che per le più diverse ragioni non può condurla a termine: alla base può esservi una patologia di uno o di entrambi i componenti, o la condizione omosessuale della donna o della coppia richiedente) alla quale s’impegna, poi, a consegnare il bambino1.
Alla base vi è stata l’evoluzione tecnologica in materia di procreazione medicalmente assistita, cui la maternità surrogata è riconducibile come species, che ha portato al superamento dell’atavica nozione unitaria della maternità, con ricadute non solo biologiche, ma anche sociali, bioetiche e giuridiche.
Può infatti distinguersi tra madre genetica (quella cui appartiene l’ovocita fecondato), madre biologica o naturale o gestazionale (quella in cui l’embrione è stato impiantato e che ha condotto e portato a termine la gestazione), madre committente o sociale (quella che ha l’obiettivo di conseguire la responsabilità genitoriale e da cui è partito il “progetto procreativo”); quest’ultima può essere anche madre genetica nelle sole non frequenti fattispecie omologhe; se e quali diritti (potenzialmente confliggenti) competano alle stesse sul nato è oggetto, da non poco tempo, di acceso dibattito, non solo in ambito nazionale.
1.1 Il vigente divieto normativo
Il legislatore italiano – in questo, come accennato, non isolato nel panorama occidentale – ha scelto la strada del radicale divieto della maternità surrogata, penalmente sanzionato, ai sensi dell’art. 12, co. 6, l. 19.2.2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita)2.
Tanto in coerenza con la fortissima ostilità ideologica della l. n. 40/2004 verso ogni forma di procreazione medicalmente assistita (giustamente si è detto che è una legge non sulla, ma contro la procreazione assistita), al punto da prevedere espressamente il divieto della procreazione medicalmente assistita eterologa (cfr. art. 4, co. 3), cui, come detto, la maternità surrogata è pur sempre riconducibile.
In termini più generali, alla base del divieto di maternità surrogata vi è l’esigenza di tutelare lo stesso concetto “tradizionale” di maternità (mater semper certa…), a sua volta ricondotto al principio della dignità e della integrità fisica della persona umana.
Da qui il rigido rifiuto verso una tale utilizzazione della donna come mezzo per un fine, seppur in sé legittimo, quale la realizzazione della maternità.
È così frequente il richiamo all’art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo ma anche, in un’ottica sovranazionale, al «divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro», di cui all’art. 3 della Carta di Nizza.
Nonostante la chiarezza della previsione normativa, il divieto di maternità surrogata è in crisi, e di fatto ampiamente aggirato, specie da coppie che – avendo (notevoli) disponibilità economiche – possono farvi ricorso all’estero (in Paesi spesso, ma non sempre, economicamente depressi), dove la maternità surrogata è ammessa.
È il cd. turismo procreativo, preoccupante anche per il rischio di sfruttamento di fascia della popolazione femminile che vive in condizioni di estremo disagio, al punto di consentire (dietro corrispettivo, talora mascherato come rimborso spese) alla propria fecondazione con materiale genetico altrui e di rinunciare a qualunque diritto sul nascituro.
Ulteriore, decisivo contributo alla crisi del divieto di maternità surrogata è dato dalla più generale ed irreversibile crisi della l. n. 40/2004.
2.1 L’agonia della l. n. 40/2004 e la fine del divieto
In poco più di un decennio la giurisprudenza – civile di merito, amministrativa, ma anche costituzionale e della Corte di Strasburgo – ha infatti progressivamente eroso i principi portanti della l. n. 40/2004, ormai ridotta ad un confuso, illeggibile (ed in buona parte inapplicabile) palinsesto3.
Per quanto qui interessa, la Consulta – meritoriamente – ha fatto cadere il divieto di procreazione medicalmente assistita eterologa, per contrasto con gli artt. 2, 3 (sotto il profilo della irragionevolezza del divieto: nell’economia della sentenza è il parametro di maggior rilievo), 31 e 32 Cost.4
La Corte costituzionale, certo, ha avuto cura di porre dei veri e propri “paletti” ad ogni possibile “apertura” alla maternità surrogata, ribadendo quindi la vigenza del divieto.
Si è trattato però di una vera e propria excusatio non petita, forse fondata su esigenze politiche, anche perché la maternità surrogata non aveva alcuna rilevanza nell’ambito delle ordinanze di rimessione.
Tuttavia l’ulteriore corso della giurisprudenza ben potrà rinvenire, proprio in C. cost. n. 162/2014, quelle aperture alla maternità surrogata (che costituisce, lo si ripete, una forma, certo “estrema”, di procreazione medicalmente assistita) inutilmente negate dalla medesima pronuncia; in tal senso appare di estrema rilevanza l’espressa affermazione (§ 6) che «il dato della provenienza genetica non costituisc[e] un imprescindibile requisito della famiglia stessa».
Grande rilievo ha poi l’affermazione (anche da parte della più recente C. cost. n. 96/2015), mai così chiara e risoluta, del diritto alla genitorialità, da soddisfare appunto anche a mezzo della procreazione medicalmente assistita eterologa.
2.2. La genitorialità come scelta
D’altro canto – a maggior ragione dopo la novellazione della disciplina della filiazione (cfr. in ultimo il d.lgs. 28.12.2013, n. 154, Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219) – la giurisprudenza, specie di merito, tende sempre più a fondare la genitorialità – e la conseguente responsabilità – su una scelta consapevole di vita, e non solo sul mero dato biologico della procreazione (o, al limite, anche in contrasto con esso): è il favor minoris (ma già l’art. 9, co. 3, l. n. 40/2004 vietava il disconoscimento dei figli nati da procreazione medicalmente assistita eterologa, pur vietata, da parte dell’uomo che vi aveva consentito).
Per altro verso, l’evoluzione dei costumi sociali ha portato all’emersione anche giuridica (pur in mancanza, allo stato, di una specifica normativa di riferimento), delle famiglie “arcobaleno”, vale a dire delle unioni omosessuali, caratterizzate dalla presenza di figli; questi possono essere “di primo letto” di uno o di entrambi i componenti (e qui le problematiche sono le stesse delle famiglie cd. ricomposte eterosessuali), ma anche nati da procreazione medicalmente assistita eterologa, nell’ambito di un comune progetto di genitorialità, e non da una precedente relazione del genitore biologico con altra persona.
La giurisprudenza5 configura ormai un vero e proprio diritto dei minori in questione – in caso di crisi della coppia – a conservare i rapporti affettivi con l’ex partner del proprio genitore biologico, in quanto “genitore sociale”, attraverso la previsione di modalità di periodici incontri (in sostanza, il cd. diritto di visita).
Il fenomeno ha avuto emersione giuridica nel diritto angloamericano: da qui il richiamo alle step families (con conseguente riferimento anche alla step mother, allo step father, allo step child).
Anche sotto tale prospettiva, evidentemente, la genitorialità vede sfumare la rilevanza del dato (solo) biologico.
2.3 La strisciante depenalizzazione del divieto
Il divieto di maternità surrogata, come detto, è sanzionato – e non in modo non lieve – penalmente: la norma concerne poi non solo l’operatore sanitario, ma anche la stessa coppia richiedente (a differenza di quella amministrativa prevista in origine dall’art. 12 l. n. 40/2004 per la violazione del divieto di procreazione medicalmente assistita).
Tale disposizione però, a quanto consta, non ha mai trovato applicazione, come del resto tutte le altre contenenti fattispecie sanzionatorie, ad ulteriore conferma del fallimento della l. n. 40/2004.
La giurisprudenza penale ha preferito infatti richiamare altre, più generali, disposizioni penali, in primo luogo il grave reato di alterazione di stato, di cui all’art. 567, co. 2, c.p., ovvero a quello di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull’identità o su qualità personali proprie o di altri, ex art. 495 c.p.
Nondimeno l’esito dei giudizi penali, in genere, è favorevole alla coppia richiedente, pur se alla stregua di variegate argomentazioni.
Meritano un richiamo due ancora recenti decisioni del Tribunale di Milano, entrambe concernenti coppie “genitoriali” di imputati che si erano avvalse delle tecniche di maternità surrogata all’estero, in Paesi ove è consentita o almeno tollerata (rispettivamente in Ucraina e in India) e dove gli atti di nascita riportano, quali genitori del neonato, quelli che hanno stipulato accordi di maternità surrogata, e non quelli biologici (soprattutto non indicano come madre la donna che ha condotto e portato a termine la gravidanza; in entrambe le vicende decise dai giudici milanesi il marito era anche il padre biologico, provenendo invece l’ovocita da una terza donna donante).
Tali atti di nascita, accompagnati dal modulo presentato alle autorità diplomatiche italiane per l’individuazione del comune competente, e nel quale i dichiaranti si presentano come genitori del bambino, sono stati poi trascritti, in entrambi i casi, presso l’ufficio di stato civile di Milano.
Da qui l’instaurazione di procedimenti penali per il reato surrichiamato, conclusi però nell’uno e nell’altro caso con pronuncia di assoluzione.
Le due decisioni – invero l’una e l’altra poco attente ai profili di diritto internazionale privato – hanno escluso il reato di alterazione di stato perché la maternità surrogata è sicuramente lecita in Ucraina (dove sono previsti dei profili negoziali, nell’ambito di un “programma” procedurale, nella specie pienamente seguìto) e quantomeno ammessa in India.
Quindi gli atti di nascita in oggetto indicavano come genitori, lecitamente secondo la lex loci, le sole coppie italiane (che avevano fatto ricorso alla maternità surrogata), pur se solo gli uomini erano anche padri biologici.
Da qui anche l’esclusione in radice del reato di cui all’art. 567, cpv., c.p., atteso che la trascrizione in Italia (che avviene d’ufficio, su trasmissione dell’autorità consolare) ha solo una funzione pubblicitaria, non certo costitutiva dell’atto di nascita, formatosi all’estero e già perfetto; d’altronde, lo stesso art. 17 d.P.R. 3.11.2000, n. 396 (sul nuovo ordinamento dello stato civile) prescrive che le dichiarazioni di nascita effettuate da cittadini italiani all’estero devono aver luogo secondo la legge straniera di riferimento6.
D’altro canto – così ridimensionando la portata dello stesso reato di alterazione di stato, con evidenti ricadute in tema di surrogazione di maternità – la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’art. 569 c.p., nella parte in cui prevede che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato, debba conseguire automaticamente la perdita della potestà genitoriale, precludendo così al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore7.
Una vera e propria depenalizzazione della maternità surrogata è stata invece (provocatoriamente) compiuta dal Tribunale di Varese8, relativa ad una coppia italiana che aveva fatto ricorso, in Ucraina, alla maternità surrogata, da cui erano nati due bambini. L’atto di nascita ucraino, dal quale i due risultavano essere tout court genitori dei bambini, era stato regolarmente trascritto nel registro di stato civile del comune di residenza (è una vicenda rapportabile a quella decisa da Trib. Milano, 15.10.2013, cit.).
Il giudice ha ritenuto che, nella fattispecie, fosse stata integrata – ma solo astrattamente – la fattispecie del reato di cui all’art. 495 c.p.; nondimeno ha mandato assolti gli imputati.
Dirimente, al riguardo, è il richiamo a C. eur. dir. uomo, 26.6.2014 (su cui infra, § 2.5). Tale sentenza (ed altra contestuale, pressoché corrispondente nel contenuto giuridico), secondo il giudice lombardo, hanno reso irrilevante il metodo di concepimento della prole, quale presupposto per il riconoscimento della maternità e paternità, sicché la surrichiamata richiesta di trascrizione, pur non conforme al vero, è però inidonea a vulnerare l’interesse legalmente tutelato, la veridicità dell’attestazione, e costituisce un falso innocuo, non punibile.
2.4 Le incertezze della giurisprudenza civile e minorile
Più variegata – e sovente meno favorevole alle coppie richiedenti – è la giurisprudenza civile e minorile che si è occupata della maternità surrogata, in primo luogo – e si tratta del risvolto civilistico della problematica affrontata dai giudici penali – sotto il profilo della declaratoria di efficacia in Italia di provvedimenti o atti stranieri che riconoscano la liceità, con le ovvie conseguenze in tema di status del figlio, di fattispecie riconducibili alla maternità surrogata medesima.
Non mancano, al riguardo, provvedimenti favorevoli, alla stregua del principio della tutela dell’interesse superiore del minore, quale sancito dalle convenzioni internazionali e dai regolamenti comunitari in materia, questi ultimi anche in tema di diritto alla libera circolazione delle persone dell’Unione europea9.
Prevale però un orientamento più prudente, se non decisamente contrario, alla trascrizione di tali atti, per contrarietà all’ordine pubblico, ai sensi del combinato disposto degli artt. 15 ss. d.P.R. n. 396/2000, e dell’art. 16 l. 31.5.1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), portando però, in concreto, a situazioni incresciose quando non insostenibili10.
Ne consegue anche la declaratoria di adottabilità dei minori nati da maternità surrogata11.
Tale rigoroso orientamento ha conseguito l’autorevole avallo dell’unica sentenza della Suprema Corte che ha avuto occasione di pronunciarsi in materia di maternità surrogata, ed anzi tout court di procreazione medicalmente assistita12.
Tale pronuncia, smentisce radicalmente le (pur caute) aperture della giurisprudenza di merito sopra richiamata (specie penale) al riconoscimento in Italia di atti di nascita formati in Paesi dove la maternità surrogata è ammessa e che attestano la genitorialità della coppia committente.
La pronuncia infatti assume che il divieto di maternità surrogata è di ordine pubblico, anche internazionale, sicché non può riconoscersi efficacia in Italia all’atto di nascita di un bambino, formato all’estero, che ne indica quali genitori una coppia italiana, che, in realtà, aveva ivi fatto ricorso alla suddetta tecnica procreativa, con conseguente declaratoria di adottabilità del bambino medesimo.
Tanto alla stregua di una rigorosa definizione dell’ordine pubblico internazionale (ostativa alla declaratoria di efficacia dell’atto straniero, ai sensi dell’art. 65 l. n. 218/1995), tema raramente approfondito dalla giurisprudenza di merito in materia. La Suprema Corte ha così rilevato che questo – quale limite all’ingresso di norme e provvedimenti stranieri – a tutela della coerenza dell’ordinamento comprende non solo i valori condivisi dalla comunità internazionale, ma anche i principi ed i valori esclusivamente interni, ma irrinunciabili: e tale sarebbe appunto il caso del divieto (penalmente sanzionato) di maternità surrogata.
Nella specie, il bambino non era figlio biologico né dell’uomo né della donna italiana, il che si pone in contrasto anche con la legge dell’Ucraina, paese ove era stato stipulato il contratto di surrogazione, era avvenuta la nascita ed era stato formato l’atto di nascita.
La conseguenza è che è ora confermata anche la pronuncia di adottabilità del bambino: Cass. n. 24001/2014 ribadisce infatti che i ricorrenti non ne sono, e non ne sono mai stati, i genitori.
Il divieto di maternità surrogata poi è stato collegato all’affermazione, di cui all’art. 269, co. 3, c.c., secondo cui la madre è la donna che partorisce: tale assetto normativo non sarebbe poi incostituzionale, né contrario all’interesse del minore, tutelato anche da norme sovranazionali, perché volto alla tutela, da un lato, della gestante, dall’altro dell’istituto stesso dell’adozione, con cui la maternità surrogata sarebbe in contrasto.
Né Cass. n. 24001/14 reputa che la decisione adottata si ponga in contrasto con le due recenti “sentenze gemelle” della Corte di Strasburgo, sopra richiamate, offrendone però una interpretazione molto restrittiva, ed anzi, francamente, erronea.
2.5 L’intervento dirompente della C. eur. dir. uomo
In tale assetto tanto variegato, si è inserita, per il momento non con specifico riferimento all’Italia13, la Corte europea dei diritti dell’uomo che – sostanzialmente (e con non poche ambiguità) – ha aperto alla maternità surrogata, sia pure alla stregua dell’interesse del minore.
Si tratta delle più volte richiamate sentenze gemelle14, secondo cui il divieto di maternità surrogata, vigente nell’ordinamento francese, pur non costituendo una violazione del diritto della coppia genitoriale al rispetto della vita privata, si risolve in una violazione del diritto dei figli, nati con questa tecnica procreativa, al rispetto della loro vita familiare e si pone pertanto in contrasto con l’art. 8 della Convenzione.
Si noti che nell’ordinamento francese la maternità surrogata (procréation/gestation pour le compte d’autrui) è vietata dall’art. 167 Code civil, secondo cui «ogni convenzione sulla maternità surrogata è nulla».
Nel caso di specie si trattava di due bambine nate in California, Stato USA che consente la maternità surrogata
La Corte europea, da un lato, ha riconosciuto che, quanto alla maternità surrogata, gli ordinamenti degli Stati aderenti al Consiglio d’Europa sono profondamente diversificati, sicché va loro riconosciuto un margine di apprezzamento ampio, che però – quando è in gioco la filiazione – si restringe, perché è in gioco un aspetto essenziale della identità delle persone.
Da qui la necessità di distinguere il diritto della coppia genitoriale al rispetto della loro vita familiare, da un lato, e quello delle minori al rispetto della loro vita privata (nozione molto più ampia), dall’altro.
Quanto ai primi – che erano poi consapevoli della illiceità, nel loro paese, della maternità surrogata – la Corte ha osservato che gli ostacoli e le difficoltà pratiche che essi possono incontrare nella loro vita familiare, in assenza del riconoscimento del legame genitoriale stabilito all’estero, non supera i limiti imposti dall’art. 8 CEDU.
Ciò pur se la Corte, non senza intima contraddizione, osserva che la famiglia in oggetto – evidentemente comprensiva delle figlie – vive difficoltà e complicazioni concrete, maggiori di quelle cui vanno incontro le altre famiglie, i cui figli non sono nati in esecuzione di contratti di maternità surrogata. Il riferimento è alle formalità da compiere in occasione di certi avvenimenti della vita; i genitori, non disponendo di documenti di stato di famiglia francesi, si vedono di volta in volta costretti a produrre gli atti di nascita americani, non trascritti, accompagnati da una traduzione giurata; e ciò ogni volta che l’accesso ad un diritto o ad un servizio richiedano la prova della filiazione. È il caso, ad esempio, dell’iscrizione delle figlie alla sicurezza sociale, alla mensa scolastica o del deposito di domande di sussidi familiari.
Ben diversa è comunque la posizione delle figlie, quanto al rispetto della loro vita privata, atteso che le due minori versano in uno stato di incertezza giuridica (potendosi anche dubitare dell’acquisto della cittadinanza francese).
La Corte ha ritenuto allora che una tale indeterminazione incida negativamente sulla definizione della loro identità.
Né mancano pesanti ricadute anche sotto il profilo successorio (che pure incidono sull’identità personale): ad esempio, il mancato riconoscimento della filiazione stabilita all’estero comporta che i figli nati in esecuzione di un contratto di maternità surrogata non possono ereditare dai genitori (a meno che non siano stati istituiti quali legatari; i diritti successori, inoltre, sono calcolati come se il figlio fosse un terzo), sia con riferimento alla madre che al padre d’intention (pur se questi, nella specie, è anche padre biologico).
In altri termini gli effetti del non riconoscimento della filiazione rispetto ai figli concepiti con pratiche di maternità surrogata non si limitano alla situazione dei genitori, di per sé sicuramente sanzionabili, in quanto essi solo hanno scelto le modalità di procreazione contestate dalle autorità francesi.
Tali effetti si ripercuotono anche sugli stessi figli (certo non meritevoli di sanzione per colpe dei genitori): da qui la lesione del loro diritto al rispetto della vita privata, alla stregua del quale ciascuno può stabilire la sostanza della propria identità, compresa la propria filiazione.
Ne segue il riconoscimento della violazione del diritto delle minori al rispetto della loro vita privata.
Tanto, beninteso, con riferimento a tutti i figli nati da maternità surrogata; le sentenze gemelle, infatti, reputano sì che una tale analisi è tanto più vera («prend un relief particulier») allorché uno dei genitori committenti è anche genitore biologico (come nei casi di specie, ove gli embrioni erano stati formati con i gameti del marito), ma senza ovviamente escludere (ne risentirebbe la stessa coerenza della motivazione) i figli nati da maternità surrogata eterologa (quindi con materiale genetico estraneo ad entrambi i committenti), sia stato lecito o meno – se ne desume – il contratto di surrogazione (alla stregua della legge locale applicabile)15.
Tale è, l’assetto attuale, nel nostro paese, della maternità surrogata.
L’incertezza, lo si è visto, regna sovrana: ad un divieto assoluto, e formalmente indiscusso (ma non mancano – nel mondo politico, con riflessi sui media – proposte, non meglio precisate, di un “rafforzamento” del divieto), corrisponde una prassi molto diversa, che desta il comprensibile sconcerto dell’opinione pubblica.
Il turismo procreativo è una realtà, rispetto alla quale la sanzione penale si rivela vana (e poco più che simbolica, quando applicata). Da qui anche, odiose, discriminazioni censitarie tra cittadini pur accumunati dal desiderio di avere un figlio, ad ogni costo.
Ciò non toglie che chi “torna” in Italia con un bambino nato all’estero da maternità surrogata corre il serio rischio di vederselo sottrarre (anche a distanza di anni), con l’apertura di un procedimento di adottabilità (ciò però specie se non sono state rispettate neanche le norme del paese straniero di riferimento), o quantomeno di doversi sottoporre ad una snervante trafila giudiziaria per conseguire la trascrizione dell’atto di nascita straniero (con esiti diversi ed anche opposti secondo l’ufficio giudiziario adito; la giurisprudenza di merito in materia è del tutto frammentata).
L’unica prospettiva seria, evidentemente, è quella di una rimeditazione del divieto stesso di maternità surrogata, almeno temperandone l’assolutezza, come d’altronde sta avvenendo, dopo le sentenze gemelle, in Francia.
D’altronde l’esigenza di tutelare – in concreto – i minori comunque nati, e (ben) inseriti nelle famiglie “committenti”, non può portare a conclusioni diverse.
Si tratta, certo, di superare ostacoli soprattutto culturali (la contrattualizzazione della filiazione), ma anche di prevenire – in una prospettiva pubblicistica – lo sfruttamento di soggetti deboli (le gestanti, i figli stessi): peraltro, in prospettiva, una tale apertura è l’unico rimedio al caos interpretativo e al turismo procreativo (questo sì incontrollabile e pericoloso per tutti i soggetti coinvolti).
1 Cfr. Lorenzetti, A., Maternità surrogata, in Dig. civ., Aggiornamento, VI, Torino, 2011, 617. Per ulteriori riferimenti dottrinali adde, a quelli contenuti nelle note ai provvedimenti richiamati in prosieguo, Tonolo, S., La trascrizione degli atti di nascita derivanti da maternità surrogata: ordine pubblico ed interesse del minore, in Riv. dir. intern. priv. proc., 2014, I, 81; Di Masi, M., Maternità surrogata, dal contratto allo “status”, in Riv. crit. dir. priv., 2014, 615.
2 Anteriormente alla l. n. 40/2004 la maternità surrogata era stataammessa da Trib.Roma, 17.2.2000, in Foro it., 2000, I, 972.
3 Cfr., per una ricostruzione, e per ulteriori riferimenti, le mie osservazioni a C. cost., 5.6.2015, n. 96, in Foro it., 2015, I, 2254.
4 C. cost., 10.6.2014, n. 162; i riferimenti alla perdurante vigenza del divieto di maternità surrogata sono contenuti nel § 9; cfr in particolare le mie osservazioni, in Foro it., 2014, I, 2324.
5 Trib. Palermo, 15.4.2015, in Foro it., 2015, I, 1780, riformata da App. Palermo, 31.8.2015, inedita, che ha rimesso alla Consulta la questione sulla legittimità costituzionale dell’art. 337 ter c.c. nella parte in cui non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore mantenere rapporti con il genitore “sociale” ex partner del genitore biologico.
6 Trib. Milano, 8.4.2014, e Trib. Milano, 15.10.2013, in Foro it., 2014, II, 371. Entrambe le sentenze hanno però ritenuto, ma in astratto, e con decisioni opposte nel merito, che la condotta delle due coppie successiva alla formazione dell’atto di nascita, vale a dire la dichiarazione – resa all’autorità italiana – circa la maternità della donna, integrasse il reato, meno grave, di cui all’art. 495 c.p. Cfr., per l’esclusione di ogni ipotesi criminosa, Trib. Trieste, 6.6.20134.10.2013, reperibile on line sul sito www.dirittoegiustizia.it. Il reato di alterazione di stato è invece stato riscontrato – ma a fronte di una maternità surrogata avvenuta illegalmente anche secondo la l. ucraina – da Trib. Brescia, 26.11.2013, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 412, con osservazioni di R. Chieppa, relativa alla stessa vicenda di cui a Cass. n. 24001/2014 (v. infra, § 2.4).
7 C. cost., 23.2.2012, n. 31, in Foro it., 2012, I, 1992, nonché – con riferimento al reato di soppressione di stato – C. cost., 23.1.2013, n. 7, ivi, 2014, I, 1402.
8 Trib. Varese, 8.10.2014, in Foro it., 2015, II, 54.
9 App. Bari, 13.2.2009, in Famiglia e minori, 2009, fasc. 5, 50; in Fam. dir., 2010, 251; in Giur. mer., 2010, 349, che ha riconosciuto efficaci in Italia, ai sensi degli artt. 64, 65 e 67 l. n. 218/95, due parental order emessi dal giudice del Regno Unito che dichiarano la filiazione di due minori nei confronti della madre italiana e del padre inglese, partoriti a seguito di un contratto di maternità surrogata e conviventi dalla nascita con i genitori suddetti. Sulla trascrivibilità in Italia degli atti di nascita stranieri (nella specie, degli USA) di minori concepiti a mezzo di procreazione medicalmente assistita eterologa (il riferimento alla maternità surrogata è solo indiretto), cfr. anche Trib. Napoli, 14.7.2011, in Foro it., 2012, I, 3349, ove in particolare è sviluppato il tema della contrarietà all’ordine pubblico internazionale. Per una singolarissima fattispecie di maternità surrogata eterologa frutto però di un errore medico, uno scambio di embrioni, cfr. Trib. Roma, 8.8.2014, ivi, 2014, I, 2934.
10 Cfr. Trib. Forlì, 25.10.2011, in Dir. fam., 2013, 532, di opposizione al rifiuto di trascrizione, da parte dell’ufficiale di stato civile del comune romagnolo, per contrarietà con l’ordine pubblico dell’atto di nascita indiano di due gemelli nati da maternità surrogata eterologa, richiesta dalla coppia italiana che vi figurava quali genitori (si tratta di una fattispecie corrispondente a quella esaminata da Trib. Milano, 8.4.2014, cit.). Il Tribunale ha differenziato la posizione del marito da quella della moglie, osservando che il principio di tutela della maternità, di cui all’art. 31, co. 2, Cost., non può prescindere da un legame di tipo naturale tra madre e figlio, dato dalla gestazione. Ne segue la contrarietà della maternità surrogata all’ordine pubblico, ai principi costituzionali in materia di tutela della maternità e anche alla normativa ordinaria in tema di procreazione medicalmente assistita: il Tribunale, pertanto, ha dichiarato solo parzialmente illegittimo il rifiuto di trascrizione degli atti di nascita dei due bambini opposto dall’ufficiale dello stato civile; più precisamente, la trascrizione è stata ordinata solo con riferimento al marito, che ha «diritto di essere riconosciuto padre» (essendolo biologicamente), mentre è stata rigettata la domanda di trascrizione degli stessi atti di nascita «nella parte in cui individuano come madre dei minori» la ricorrente.
11 Contra, Trib. min. Milano, 6.9.2012, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 712, nell’ambito di un procedimento per la pronuncia dello stato di abbandono e conseguente declaratoria dello stato di adottabilità; nella specie, si trattava appunto di una minore nata all’estero attraverso la pratica della maternità surrogata. Il giudice minorile ha dichiarato il non luogo a provvedere sullo stato di adottabilità, avendo escluso qualunque pregiudizio per la minore.
12 Cass., 11.11.2014, n. 24001, in Foro it., 2014, I, 3408, con mie osservazioni critiche, nonché in Minori giustizia, 2015, 221, con osservazioni di A. Figone.
13 Cfr. però C. eur. dir. uomo, 27.1.2015, P. c. Italia, in Foro it., 2015, IV, 117, di condanna dell’Italia ai sensi dell’art. 8 CEDU, in ragione dell’ allontanamento di un minore dalla coppia coniugale con la quale vive, e che era nato da maternità surrogata all’estero (senza però avere alcun legame genetico con l’uno e l’altro componente della coppia).
14 C. eur. dir. uomo, 26.6.2014, Mennesson c. Francia, in Foro it., 2014, IV, 561; l’altra sentenza, F.L. e M.L. c. Francia, pronunciata in pari data, è inedita, ma – per quanto qui interessa – corrisponde alla prima.
15 Qui si annida l’errore di lettura di Cass. n. 24001/2014 che, nonostante il chiarissimo disposto delle sentenze della Corte europea, reputa che le stesse avrebbero lasciato, in materia, ampio margine di discrezionalità agli Stati nazionali, oltrepassato solo in caso di «difetto di riconoscimento giuridico del rapporto di filiazione tra il nato e il padre committente allorché quest’ultimo sia anche padre biologico»: solo in tale fattispecie si realizzerebbe la violazione del rispetto della vita privata del figlio, tutelato dall’art. 8 della Convenzione.