Abstract
È in esame il matrimonio civile introdotto in Italia dal codice civile del 1865, disciplinato dal libro I, titolo VI del codice vigente e da leggi speciali complementari, posto dalla Costituzione a fondamento della famiglia.
L’ordinamento italiano non esprime una definizione esaustiva di matrimonio. Nozione e modello di matrimonio civile si ricostruiscono pertanto dalla tradizione giuridica dell’istituto e da un insieme di fonti costituzionali, codiciali, legislative e giurisprudenziali.
Nella struttura giuridica formale, il matrimonio è negozio bilaterale formale di autonomia privata; strettamente personale per l’insostituibilità del consenso; a contenuto tipico; puro in quanto non soggetto a termini e/o condizioni (art. 108 c.c.); non patrimoniale cioè volto a tutelare interessi non economici della persona; familiare con persistenti profili pubblicistici. L’ermeneutica costituzionale (C. cost., 8.7.1971, n. 169 e C. cost., 11.12. 1973, n. 176) ha distinto il matrimonio-atto, l’atto che genera lo stato coniugale, dagli effetti che ne derivano, cioè il matrimonio-rapporto.
Nella struttura sostanziale, il matrimonio cd. civile è l’istituto interamente regolato dalle leggi dello Stato e privo di connotati confessionali (v. infra, § 2) che qualifica e disciplina le relazioni di natura affettivo/sessuale tra uomo e donna con caratteri di monogamicità, esclusività sessuale, intese a realizzare una «comunione di vita spirituale e materiale» (art. 1, l. 1.12.1970, n. 898) rispondente a principi di reciproca solidarietà e assistenza, con presupposti di continuità nel tempo a cui tendenzialmente corrispondono condizioni minime di stabilità anche nello spazio.
La dimensione sessuale distingue il matrimonio dai rapporti di natura puramente affettivo/amicale mentre l’«obbligo reciproco alla fedeltà» (art. 143 c.c.), distingue il matrimonio dalle unioni civili omosessuali non vincolate all’esclusività sessuale (art. 1, co. 11, l. 20.5.2016, n. 76).
Il paradigma diadico-eterosessuale della relazione matrimoniale, cioè tra due persone di genere diverso (monogamico e monandrico), trova tutela nell’art. 29 Cost. se interpretato alla luce delle fonti subordinate, ma il principio stesso dell’uguaglianza «morale e giuridica» dei coniugi (art. 29, co. 2 Cost.) difende soprattutto la condizione familiare della donna. Il codice parla sempre al singolare del «marito» e della «moglie» (artt. 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis c.c.) o della «donna» (art. 89 c.c.); l’art. 556 c.p. configura la bigamia come fattispecie di reato e l’art. 86 c.c. vieta il matrimonio di/con persone legate da precedente vincolo matrimoniale; la rettificazione di sesso è prevista come specifica causa di divorzio (art. 3, lett. g), l. n. 898/1970; art. 4, l. n. 14.4.1982 n. 164 e art. 31, co 6, d.lgs. 1.9.2011, n. 150) o dell’automatica instaurazione di una unione civile omosessuale (art. 1, co. 27, l. 76/2016); la giurisprudenza nega la trascrizione come matrimoni delle unioni omosessuali celebrate all’estero (C. cost., 15.4.2010, n. 138; Cass., 15.3.2012, n. 4184); la l. n. 76/2016 differenzia le coppie same sex come «specifiche formazioni sociali» ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost. dalle unioni propriamente matrimoniali dell’art. 29 Cost.
Continuità/stabilità del matrimonio risultano strumentali sia alla dimensione privatistica della comunione spirituale e materiale, sia ai profili pubblicistici socio-educativo-economici della famiglia. Se ne ha riscontro in varie norme ed istituti: si pensi ad esempio al regime di comunione legale (v. infra, § 4.3); ai diritti successori del coniuge; all’obbligo di fissare il luogo della residenza familiare (art. 144 c.c.) e di coabitazione (art. 143 c.c.); all’istituto della separazione e al tentativo giudiziale obbligatorio di conciliazione dei coniugi (art. 708 c.p.c.; art. 4, co. 7, l. n. 898/1970); alle forme di mobilità del lavoratore finalizzate al ricongiungimento familiare (art. 42 bis, d. lgs. 26.3. 2001, n. 151; art. 33, co. 5-6, l. 5.2.1992, n. 104).
La libertà matrimoniale, o ius connubii, cioè il diritto di sposarsi e costituire una famiglia, si presenta in tre accezioni fondamentali: in relazione ai principi di autodeterminazione, antidiscriminatorio e di uguale libertà.
a) Rispetto al principio di autodeterminazione, la libertà matrimoniale è il diritto di contrarre/non contrarre matrimonio liberi da condizionamenti esterni, anche dello Stato, chiamato a regolare tale libertà senza negarla o limitarla ingiustificatamente. La volontà matrimoniale resta così sempre revocabile fino al momento della celebrazione. Pertanto la promessa di matrimonio non può essere oggetto di esecuzione in forma specifica, cioè non obbliga il fidanzato inadempiente a contrarlo (art. 79 c.c.), ma solo alla reciproca restituzione dei doni «fatti a causa della promessa» (promessa semplice, art. 80 c.c.) o a un risarcimento del danno (promessa solenne, art. 81 c.c.); né sono consentite clausole contrattuali dirette a influenzare la volontà matrimoniale o la condizione testamentaria volta ad impedire le nozze (art. 636 c.c.). In questa accezione la libertà matrimoniale implica l’insostituibilità e l’effettività del consenso coniugale, per cui il matrimonio è valido solo con il consenso dei nubendi, e il consenso è valido se consapevole atto di cognizione e libero atto di volizione. Insostituibilità ed effettività del consenso ricevono poi tutela tramite la previsione della minore età e dell’interdizione tra le condizioni ostative al matrimonio (artt. 84-85 c.c.) e la disciplina dell’invalidità per difetto o vizio del consenso matrimoniale (v. infra, § 3.3). Il principio consensualistico è protetto anche dalla specifica tutela della buona fede/affidamento del coniuge incolpevole dell’invalidità matrimoniale a cui può essere riconosciuto o il mantenimento per un periodo non superiore a 3 anni (art. 129 c.c.), o una congrua indennità a carico del coniuge/terzo in mala fede (art. 129 bis c.c.). Anche nei casi di sostituzione/presunzione ope legis del consenso matrimoniale, il consenso si presume in quanto reso effettivo dal protrarsi della convivenza fino alla prescrizione dell’actio nullitatis. Anche nel matrimonio per procura (art. 111 c.c.) il procurator non sostituisce ma è latore (nuncius) del consenso del coniuge impossibilitato a manifestarlo personalmente.
b) Rispetto al principio antidiscriminatorio sovranazionale (art. 14 ECHR; art. 21 Carta di Nizza), e costituzionale (artt. 2-3 Cost.), la libertà matrimoniale si caratterizza o in quanto diritto aconfessionale, cioè indipendente dalla fede/appartenenza religiosa dei nubendi o, secondo la dottrina laica dei diritti umani, in quanto diritto indipendente anche dal genere dei nubendi.
Nell’accezione aconfessionale, lo ius connubii è un’implicazione specifica del matrimonio civile rispetto ai requisiti confessionali di accessibilità ai matrimoni religiosi e risponde direttamente al principio sovranazionale e costituzionale di libertà matrimoniale (art. 12 ECHR, art. 9 Carta di Nizza, art. 29 Cost.) e al principio supremo di laicità dell’ordinamento statuale (C. cost. 12.4.1989, n. 203); più indirettamente, al principio di libertà religiosa (art. 9 ECHR; art. 10 Carta di Nizza, art. 19 Cost.) nella misura in cui esso contiene anche il diritto alla non-appartenenza religiosa.
Nell’accezione di genere proposta dalla dottrina maggioritaria dei diritti umani a partire dall’art. 12 ECHR e art. 9 Carta di Nizza, la libertà matrimoniale si configura più esattamente come diritto ad una vita familiare in relazione agli art. 8 ECHR e art. 7 Carta di Nizza, propria dei partner in quanto tali senza esplicite o implicite condizioni riguardo al sesso/alla sessualità degli stessi e azionabile ai fini del riconoscimento della relazione affettiva in quanto tale, cioè a prescindere dal carattere eterosessuale o omosessuale della stessa.
c) Infine, rispetto al principio di uguale libertà, l’art. 31 Cost. costruisce la libertà matrimoniale anche in termini di libertà matrimoniale effettiva impegnando lo Stato a rimuovere disuguaglianze materiali che potrebbero pregiudicarne l’esercizio tramite «misure economiche e altre provvidenze» di tutela/promozione della famiglia.
La presenza o l’assenza delle condizioni tipizzate dagli artt. 84 ss. c.c. impedisce ai nubendi e all’ufficiale di stato civile di celebrare validamente il matrimonio. Gli impedimenti sono assoluti se privano della capacità matrimoniale quale che sia la persona che si intende sposare; relativi, se impediscono di sposare una persona determinata; dispensabili se possono essere rimossi dall’autorità giudiziaria e indispensabili in caso contrario; incidenti sulla validità o sulla regolarità del matrimonio. Sono impedimenti assoluti:
a) età (art. 84 c.c.): non è ammesso al matrimonio chi non ha compiuto 18 anni. L’impedimento è dispensabile dal Tribunale per minorenni che può autorizzare il matrimonio del sedicenne quando ne accerta la maturità psicofisica e la gravità delle ragioni per anticipare il matrimonio.
b) interdizione (art. 85 c.c.): diversamente dall’inabilitato, non può contrarre matrimonio l’interdetto per infermità di mente, ritenuto totalmente incapace di intendere e di volere.
c) libertà di stato (art. 86 c.c.): il reato di bigamia (art. 556, co. 1 c.p.) implica il divieto di contrarre matrimonio quando sussiste un precedente vincolo matrimoniale non ancora annullato o sciolto.
d) divieto temporaneo di nuove nozze (art. 89 c.c.): la donna che sia già stata sposata non può risposarsi nei 300 giorni successivi alla cessazione del precedente matrimonio. Il divieto evita incertezze sulla paternità del figlio nato dopo il primo matrimonio che altrimenti potrebbe presumersi figlio del primo marito (art. 232 co. 1), ma anche del secondo (art. 233 c.c.). Il divieto non sussiste in caso di separazione triennale dei coniugi, non consumazione o nullità del matrimonio per incapacità a generare; è dispensabile se sono esclusi una gravidanza in corso o la convivenza nei 300 giorni precedenti la fine del primo matrimonio; cade il giorno in cui termina lo stato di gravidanza per nascita/aborto.
Sono invece impedimenti relativi:
e) parentela, affinità, adozione (art. 87 c.c.): non possono contrarre matrimonio persone legate tra loro da vincoli di consanguineità (in linea retta e collaterale di terzo grado), di affinità (in linea retta e collaterale fino al secondo grado), di adozione. L’impedimento è dispensabile: il tribunale può autorizzare il matrimonio tra zio/a e nipote, affini in linea collaterale di secondo grado, affini dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo.
f) delitto (art. 88 c.c.): non possono contrarre matrimonio due persone delle quali l’una sia stata condannata per omicidio tentato o consumato ai danni del coniuge dell’altra. L’impedimento, che l’istituto del divorzio ha reso poco verosimile, vuole evitare che l’omicidio del coniuge sia visto come un mezzo per far riacquisire lo stato libero alla persona che si vorrebbe sposare.
La celebrazione del matrimonio dev’essere preceduta dalla pubblicazione «fatta a cura dell’ufficiale di stato civile» (art. 93 c.c., art. 50 d.p.r., 3.11.2000, n. 396). Con la pubblicazione si portano a conoscenza della collettività le nozze che stanno per celebrarsi consentendo di far rilevare impedimenti alla celebrazione. Come forma di pubblicità-notizia, la pubblicazione consiste nell’affissione della richiesta di matrimonio per 8 giorni alla porta della casa comunale del luogo di residenza di ciascuno dei due nubendi (artt. 53 e 55 d.p.r. 396/2000). Il tribunale può autorizzare la riduzione del termine per ‘gravi motivi’ (art. 100 c.c.) e l’omissione per ‘cause gravissime’. La celebrazione può aver luogo anche senza pubblicazione in casi di imminente pericolo di vita di uno dei coniugi (art. 101 c.c.). La pubblicazione è richiesta congiuntamente dai nubendi (o da loro incaricato) all’ufficiale di stato civile del luogo di residenza comune o di uno di essi (art. 96 c.c.). I nubendi dichiarano generalità, libertà di stato e assenza di impedimenti. L’ufficiale di stato civile deve verificare l’esattezza di tali dichiarazioni (art. 51, d.p.r. n. 396/2000). Se non vengono accertati impedimenti o sollevate opposizioni, i nubendi sono ammessi alla celebrazione da effettuarsi decorsi 3 giorni dal termine di pubblicazione (art. 57 d.p.r. n. 396/2000) ed entro 180 giorni, altrimenti la pubblicazione va ripetuta perché «come non avvenuta» (art. 99 c.c.). La celebrazione può svolgersi in un Comune diverso dal quello di pubblicazione purché l’ufficiale di stato civile del luogo di pubblicazione ne faccia richiesta all’ufficiale di stato civile del luogo prescelto dai coniugi (art. 109 c.c.). Il matrimonio è celebrato dall’ufficiale di stato civile, il sindaco o un suo delegato, nella casa comunale, alla presenza di due testimoni. L’ufficiale di stato civile riceve le dichiarazioni degli sposi di volersi prendere in marito e in moglie; quindi li dichiara uniti in matrimonio; richiama i coniugi ai reciproci diritti e doveri dando lettura degli artt. 143, 144 e 147 c.c.; redige l’atto di matrimonio registrando l’eventuale dichiarazione dei coniugi circa la scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni (art. 162, co. 2, c.c.).
Quando invece emergono impedimenti o vizi di documentazione l’ufficiale di stato civile non può procedere alla pubblicazione ed è tenuto a rilasciare un certificato con i motivi del rifiuto, impugnabile al Tribunale del luogo dove i nubendi hanno fatto richiesta.
Hanno facoltà di opporsi giudizialmente alla celebrazione i soggetti indicati dall’art. 102 c.c. Il pubblico ministero è invece sempre obbligato a proporre opposizione quando sia/venga a conoscenza di impedimenti.
L’opposizione può essere proposta dopo il termine di pubblicazione purché prima della celebrazione (art. 60 d.p.r. n. 396/2000) con ricorso al presidente del tribunale del luogo dove è stata eseguita la pubblicazione. Il tribunale decide con decreto motivato, sentite le parti ed acquisiti gli elementi del caso (art. 59 d.p.r. n. 396/2000). Se l’opposizione risulta infondata, i nubendi possono chiedere la condanna dell’opponente al risarcimento del danno, tranne quando l’opponente è il genitore o il pubblico ministero. Ma anche quest’ultimo può essere condannato al risarcimento se ha agito con colpa grave (l. 13.05.1988, n. 177). È invece soggetto a sanzione amministrativa il pubblico ufficiale che procede ugualmente alla celebrazione consapevole di un impedimento o nonostante un provvedimento di sospensione (art. 136 c.c.).
L’inesistenza del matrimonio, categoria dommatica estranea al Codice, è imputata ad anormalità che snaturano l’istituto privandolo dei requisiti giuridici minimi tradizionalmente ravvisati nella celebrazione, nella volontà, nella diversità di sesso. Recentemente, tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto la diversità di sesso «radicalmente superata» come «presupposto indispensabile» e «‘naturalistico’ della stessa ‘esistenza’ del matrimonio» (Cass. 15.3.2012, n. 4184) propendendo per la nullità del matrimonio omosessuale. Successivamente, però, la l. 20.5.2016, n. 76 ha ribadito la distinzione tra unioni eterosessuali propriamente matrimoniali e unioni omosessuali non matrimoniali, in quanto «civili».
Quanto alle invalidità matrimoniali, la rubrica degli artt. 117-129 bis c.c. dedicata alla «nullità» non distingue tra nullità e annullabilità, categorie forse inappropriate al fenomeno dell’invalidità matrimoniale. D’altra parte il matrimonio invalido, contratto in violazione della disciplina degli impedimenti o per difetto/vizio del consenso, produce comunque effetti che vengono retroattivamente meno solo con la pronuncia di annullamento/nullità, fatti salvi, fino alla pronuncia, gli effetti del matrimonio putativo (contratto senza conoscerne i vizi), o quello in cui il consenso «è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi» (art. 128 c.c.).
Ai sensi dell’art. 117 c.c. si ritiene nullo e impugnabile da chiunque ne abbia un interesse legittimo e attuale, il matrimonio contratto: a) dalla persona già sposata senza aver prima riacquisito lo stato libero con il divorzio (cfr. art. 86 c.c.) o con una pronuncia, anche successiva, che annulla il primo matrimonio; b) nonostante rapporti di parentela, affinità, adozione, affiliazione (art. 87 c.c.). Ma se l’impedimento era dispensabile si tratterebbe di annullabilità; c) in seguito a delitto tentato o consumato a danno del precedente coniuge (cfr. art. 88 c.c).
Si parla invece di annullabilità per il matrimonio: a) del minore (cfr. art. 84 c.c). L’invalidità si sana dopo un anno dal raggiungimento della maggiore età; l’impugnazione dei genitori e del pubblico ministero dev’essere respinta se c’è concepimento/procreazione, se il minore è diventato maggiorenne o se il giudice ne accerta la volontà di mantenere il vincolo coniugale. b) dell’interdetto (cfr. art. 119 c.c.). Legittimati all’azione sono l’interdetto stesso, il tutore, il pubblico ministero e chiunque ne abbia un interesse legittimo. L’azione si prescrive se la coabitazione si è protratta per un anno dopo la revoca dell’interdizione; c) dell’incapace di intendere e di volere (art. 120 c.c.). L’azione può essere proposta dal coniuge colpito da incapacità prima che decorra un anno dal pieno recupero delle facoltà mentali e indipendentemente dalle cause e/o dal carattere permanente/transitorio dell’incapacità;
Sono riconducibili all’annullabilità anche i vizi del consenso: d) violenza (art. 122 c.c.). La violenza deve aver determinato il consenso e far temere una persona sensata di esporre ad una male ingiusto e notevole sé e/o i propri congiunti e/o beni tenuto conto anche dell’età, del sesso e della condizione personale (cfr. art. 1435 c.c.); e) timore (122 c.c.). Perché sia causa di invalidità il timore incusso allo sposo deve risultare di eccezionale gravità e derivare da cause esterne allo sposo; f) errore sull’identità della persona e su qualità personali (art. 122 c.c.). L’errore sulle qualità deve aver determinato il consenso e ricadere su qualità tipizzate dal Codice: malattia fisica o psichica e/o anomalia o deviazione sessuale tali da impedire la vita coniugale; condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a 5 anni; dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; condanna per delitti concernenti la prostituzione non inferiore a 2 anni; gravidanza cagionata da persona diversa dal soggetto caduto in errore; g) simulazione (art. 123 c.c.). È l’accordo di celebrare il matrimonio senza assumersene i conseguenti diritti e doveri escludendo di dar vita ad una reale comunione spirituale e materiale.
È infine irregolare il matrimonio contratto in violazione del divieto temporaneo di nuove nozze o per omissione delle pubblicazioni (art. 135 c.c.). L’irregolarità comporta una sanzione pecuniaria a carico dell’ufficiale di stato civile ed eventualmente dei coniugi.
In conformità al principio costituzionale dell’«uguaglianza morale e giuridica dei coniugi» (art. 29, co. 2, Cost.) la riforma del diritto di famiglia del 1970 ha sancito che i diritti del marito e della moglie sono gli «stessi» e i doveri i «medesimi». Residua qualche disposizione di matrice patriarcale, come l’art. 143 bis c.c., secondo cui è la moglie ad aggiungere al proprio il cognome del marito mantenendolo durante lo stato vedovile «fino a che passi a nuove nozze». Ai sensi dell’art. 143, co. 2-3, c.c. entrambi i coniugi sono tenuti:
a) alla fedeltà, cioè all’esclusività sessuale e ad evitare con persone diverse dal coniuge rapporti sentimentali che per intensità e caratteristiche sono propri del rapporto coniugale.
b) all’assistenza morale e materiale. Assistenza morale è il sostegno morale, e psicologico in senso stretto, il rispetto della personalità e dell’autodeterminazione del coniuge. Assistenza materiale è l’apporto fattivo, ed economico in senso stretto, necessario alle esigenze del coniuge.
c) alla collaborazione «nell’interesse della famiglia», concordando indirizzo, tenore e decisioni di vita familiare, tra cui il luogo di residenza familiare, secondo le comuni esigenze e quelle «preminenti» della famiglia (art. 144 c.c.). I coniugi possono rivolgersi all’autorità giudiziaria per conciliare un eventuale contrasto o per dirimerlo se riguarda «affari essenziali» (art. 145 c.c.).
d) alla coabitazione, cioè ad una convivenza stabile nell’abitazione adibita a residenza familiare. Pertanto viola il dovere della coabitazione e perde il diritto all’assistenza morale/materiale il coniuge che senza giusta causa abbandona la casa familiare. È giusta causa di allontanamento la domanda di separazione/annullamento/scioglimento del matrimonio (art. 146 c.c.).
e) alla contribuzione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia «in proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo». Sul piano economico, il dovere di contribuzione va commisurato ai redditi come al patrimonio personale; rispetto alla capacità di lavoro, equiparando lavoro professionale e casalingo. Per la mancata contribuzione il coniuge può essere condannato alla corresponsione di somme di denaro nei limiti del suo dovere contributivo.
I doveri coniugali non sono in genere suscettibili di esecuzione forzata. Tuttavia se l’inadempimento «rende intollerabile la prosecuzione della vita familiare» e/o reca pregiudizio «grave» all’educazione dei figli può determinare: l’attribuzione giudiziale di responsabilità del fallimento coniugale (addebito della separazione, art. 151 c.c.) o il risarcimento del danno cagionato al coniuge incolpevole, anche non patrimoniale. Se vi è grave pregiudizio all’integrità fisica/morale o alla libertà dell’altro il giudice può disporre l’allontanamento temporaneo coattivo del coniuge responsabile dalla casa familiare (artt. 342 bis e ter c.c.).
Come genitori, marito e moglie hanno pari diritti e doveri anche nei confronti dei figli, ora accomunati da un unico status giuridico senza più distinzione tra figli legittimi e naturali (l. 10.12.2012, n. 219; art. 87 c.c., art. 315 c.c.). Inoltre il d.lgs. 28.12.2103, n. 154 ha sostituito, senza definirla, la responsabilità genitoriale alla vecchia potestà (art. 165 c.c.). Così diritti e doveri dei coniugi verso la prole si trovano oggi annunciati agli artt. 143-148 c.c. e poi dettagliati nelle regole sulla responsabilità genitoriale (artt. 315-337 octies) con un richiamo/rinvio dei novellati artt. 147 e 148 c.c. agli artt. 315 bis e 316 bis c.c. La responsabilità genitoriale è attribuita ad entrambi i coniugi-genitori che devono esercitarla «di comune accordo» e «tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio» (art. 316 c.c.). I genitori concordano la residenza abituale del minore. La responsabilità genitoriale dei figli nati fuori dal matrimonio è del genitore/dei genitori che hanno riconosciuto il figlio. In caso di contrasto «su questioni di particolare importanza» ciascun genitore può ricorrere al giudice che «suggerisce le determinazioni che ritiene più utili» e se il contrasto permane assegna il «potere di decisione» al genitore ritenuto «più idoneo a curare l’interesse del figlio».
Sono obblighi dei genitori: a) mantenere; b) istruire; c) educare; d) assistere moralmente i figli (art. 147 c.c.; artt. 315 bis, 316 bis e 337 ter c.c.). A questi obblighi l’art. 315 bis c.c. (e 337 ter c.c.) aggiunge quello d) di consentire al figlio di «crescere in famiglia; e di e) «mantenere rapporti significativi con i parenti» (anche art. 317 bis e 337 ter c.c.) e infine l’obbligo f) dell’ascolto del «figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento» (anche artt. 316 e 336 bis c.c). Il concorso dei coniugi-genitori nel mantenimento dei figli deve intendersi proporzionato «alle rispettive sostanze» e alla «capacità di lavoro professionale e casalingo» (art. 316 bis c.c.). La responsabilità genitoriale si esprime poi anche nel diritto di «rappresentanza» dei figli «nati e nascituri» fino «alla maggiore età o all’emancipazione» e di «amministrazione» dei loro beni (art. 320 c.c.); di usufrutto dei beni del figlio (art. 324 c.c.) con relativi obblighi dell’usufruttuario (art. 325 c.c.); nei provvedimenti giudiziali a tutela dei figli: decadenza dalla responsabilità genitoriale (art. 330 c.c.) e reintegro (art. 332 c.c.), rimozione dall’amministrazione (art. 334 c.c.) e riammissione (art. 335 c.c.), allontanamento del genitore (art. 333 c.c.); e infine nelle norme sulla responsabilità genitoriale in caso di scioglimento/nullità/annullamento del matrimonio (art. 337 bis ss. c.c.: affidamento del figlio ad un solo genitore, assegnazione della casa familiare, ecc.).
Il matrimonio richiede che i coniugi provvedano patrimonialmente ai bisogni della famiglia. A tal fine l’art. 159 c.c. distingue i rapporti patrimoniali intraconiugali in: a) regime legale, cioè il regime di comunione dei beni applicato per legge in mancanza di un accordo dei coniugi, e b) regimi convenzionali, nati da un accordo tra coniugi: la separazione dei beni, il fondo patrimoniale e la comunione convenzionale.
Il regime legale della comunione dei beni (artt. 177-197 c.c.) è stato introdotto in luogo del precedente regime legale di separazione dalla riforma del diritto di famiglia. A norma degli artt. 177-178 c.c. ricadono nella comunione: gli acquisti effettuati dai coniugi «insieme o separatamente» durante il matrimonio; i frutti dei beni e i proventi dell’attività di ciascun coniuge che al momento della scioglimento della comunione non siano stati ancora percepiti e/o consumati; le aziende se costituite e gestite da entrambi i coniugi dopo il matrimonio; soltanto i loro utili se gestite, ma non costituite da entrambi; gli incrementi e i beni destinati all’esercizio dell’impresa anche se costituita prima del matrimonio che ancora sussistono al momento dello scioglimento dell’impresa. Restano esclusi dalla comunione e quindi personali i ben tipizzati dall’art. 179 c.c. tra i quali: i beni di cui il coniuge era proprietario prima del matrimonio, di uso strettamente personale/professionale; acquisiti per successione o donazione; mobili e immobili trascritti acquistati durante il matrimonio quando l’esclusione risulta dall’atto. L’amministrazione dei beni in comunione spetta ad entrambi i coniugi: disgiuntamente l’ordinaria, congiuntamente la straordinaria (art. 180 c.c.). Con il patrimonio comune i coniugi fanno fronte alle spese e alle obbligazioni contratte, anche separatamente, per il mantenimento e nell’interesse della famiglia, per l’istruzione/educazione dei figli; a tutte le obbligazioni contratte congiuntamente; e agli oneri gravanti sui beni in comunione al momento dell’acquisto e di amministrazione degli stessi (art. 186 c.c.). I coniugi sono tenuti a rimborsare alla comunione quanto prelevato per fini diversi e possono chiedere la restituzione di quanto impiegato del patrimonio personale «in spese ed investimenti del patrimonio comune» (art. 192 c.c.). I creditori particolari dei coniugi possono soddisfarsi sul patrimonio comune e quelli della comunione sul patrimonio personale dei coniugi ai sensi degli artt. 189-190 c.c.
Quanto ai regimi convenzionali, in caso di separazione dei beni ciascun coniuge è titolare esclusivo, amministratore e usufruttuario dei beni acquistati precedentemente o successivamente alla celebrazione del matrimonio (art. 215 e art. 217 c.c.). La prova della titolarità è data «con ogni mezzo» altrimenti i beni si presumono in comunione per quote uguali (art. 219 c.c.).
Diversamente dalla comunione, il fondo patrimoniale (artt. 167-171 c.c.) è costituito da beni vincolati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Il fondo patrimoniale si costituisce tramite il conferimento di beni immobili, mobili registrati e titoli di credito, prima o durante il matrimonio (art. 167 c.c.). Se non è diversamente stabilito dall’atto, i beni conferiti nel fondo non possono essere alienati/vincolati senza il consenso di entrambi i coniugi e non senza anche l’autorizzazione del Tribunale se vi sono figli minori (art. 169 c.c.).
Si parla infine di comunione convenzionale quando i coniugi stabiliscono di dare vita ad un regime di contitolarità dei beni, analogo alla comunione legale, ma con caratteristiche peculiari (artt. 210-211 c.c.).
Artt. 8, 9, 12, 14 ECHR; artt. 7, 9, 10, 21 Carta di Nizza; artt. 2, 3, 19, 29, 30, 31 Cost.; artt. 79-230, 315-342, 636 c.c.; art. 708 c.p.c.; art. 556 c.p.; art. 708; l. 1.12.1970, n. 898; l. 19.5.1975, n. 151; l. 14.4.1982, n. 164; l. 13.05.1988, n. 177; l. 5.2.1992, n. 104; d.p.r., 3.11.2000, n. 396; d. lgs. 26.3. 2001, n. 151; d.lgs. 1.9.2011, n. 150; l. 10.12.2012, n. 219; d.lgs. 28.12.2103, n. 154.
Auletta, T., Diritto di famiglia, III ed., Torino, 2016; Comporti, M., Matrimonio, in Bessone, M., a cura di, Istituzioni di diritto privato, XIX ed., Torino, 2012; Bonilini, G., diretto da, Trattato di diritto di famiglia, I, Famiglia e matrimonio, Milano, 2016; Bonilini, G., Manuale di diritto di famiglia, VII ed., Milano, 2016; Ferrando, G. – Fortino, M. – Ruscello, F., diretto da, Famiglia e Matrimonio – Relazioni familiari – Matrimonio – Famiglia di fatto , in Tratt. dir. fam. Zatti, 2011; Ferrando, G., Il matrimonio, in Tratt. dir. civ. comm. Schlesinger, II ed., Milano, 2015; Ferrando, G., a cura di, Il Matrimonio, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 2017.
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