Matta ibn Yunus, Abu Bisr
Traduttore e commentatore di Aristotele, cristiano nestoriano siriaco (m. Baghdad 940). Attivo prima negli ambienti scolastici siriaci (Dayr Qunnā) e poi nella capitale califfale, Baghdad, dove avrebbe fondato la scuola aristotelica, M. ibn Y. si impegnò, assieme ad al-Fārā΄bī (➔), nella diffusione della logica aristotelica, della cui universalità fu convinto sostenitore. Nella sua attività di commentatore di logica e di traduttore (rese in arabo versioni siriache precedenti) va ravvisata l’attuazione di un vero e proprio programma metodologico per lo studio del pensiero aristotelico: con M. ibn Y. il mondo arabo acquista un Aristotele più completo (Analitici secondi, Poetica, Elenchi sofistici, De caelo; Generazione e corruzione; Meteorologica, libro lambda della Metafisica), arricchito inoltre dai commenti o dalle «note» (ta’līqāt) di Alessandro di Afrodisiade (di cui M. ibn Y. traduce anche il De providentia), di Temistio e di Olimpiodoro. Solo tre traduzioni sono rimaste (Analitici secondi; Metafisica; Poetica). Sul profilo dottrinale, vanno sottolineati almeno due aspetti. In primo luogo, la sua concezione della Natura quale forza immanente del movimento del mondo, che fu oggetto di critica da parte di Avicenna. In secondo luogo, il celebre dibattito attorno ai meriti della logica e della grammatica e ai reciproci rapporti tra le discipline, dibattito che oppose M. ibn Y. al teologo e grammatico musulmano Abū Sa‛īd al-Sīrāfī (m. 979). M. ibn Y. e i suoi seguaci difesero il primato della logica aristotelica, scienza straniera rispetto al nucleo delle scienze arabo-islamiche fondate sul Corano, nella convinzione che essa fosse lo strumento principe (l’organon, appunto), per accedere alla distinzione tra vero e falso (e dunque tra bene e male), e perciò al sapere come tale. Sul versante opposto, i difensori della grammatica sostenevano invece che strumento essenziale, non solo per l’esegesi dei testi, ma per la stessa distinzione di verità e falsità, fosse la grammatica, sistema di norme inscindibile dalla lingua (e quindi dall’arabo). Il confronto interessò il tema del valore assegnato al linguaggio. Chi nella logica aristotelica vedeva rispecchiata la struttura stessa della razionalità umana considerava la varietà delle lingue come espressione di un livello secondario o successivo rispetto a quello universale della logica; chi invece ravvisava nella logica aristotelica solo una funzione della lingua greca, sosteneva il primato della grammatica e riteneva che la razionalità umana si esprimesse essenzialmente nel linguaggio e che ogni volta si incanalasse in una diversa forma linguistica (le formule della logica aristotelica presentavano del resto spesso il problema della loro traduzione in un corretto arabo classico).