AYMERICH, Matteo
Nato a Bordils (Aragona) il 27 febbr. 1715, entrò nella Compagnia di Gesù il 27 sett. 1733, nel noviziato di Tarragona, avendo già fatti studi di filosofia e teologia.
Completati gli studi e ordinato sacerdote, il 15 ag. 1748 fece la professione solenne dei quattro voti. Dopo il noviziato, insegnò per parecchi anni lettere nel collegio di Tarragona, passò poi all'insegnamento della filosofia, di cui era "maestro" (licenziato), nell'università di Cervera, e vi rimase fino al 1747, allorché fu addetto per un biennio ai ministeri sacerdotali. Nel 1749 fu chiamato alla cattedra di teologia, nella quale era dottore, e di Sacra Scrittura dell'università di Barcellona, ricoprendo contemporaneamente la carica di rettore del collegio Cordelles o dei nobili. Nell'aprile 1760 ritornò a Cervera come rettore di quella università e vi rimase finché il 17 marzo 1763 fu nominato rettore e cancelliere dell'università di Gandia. Nel 1767 si trasferì a Madrid per curare l'edizione dell'Idatii episcopi chronicon di G. M. Garzon e della Historia geográfica y natural de Cataluña di P. Gil, che egli aveva tradotta dal catalano in castigliano e arricchita notevolmente in modo da farne quasi un'opera propria. La sopraggiunta deportazione dei gesuiti spagnoli in Italia nel maggio 1767 lasciò le due opere inedite: la prima fu stampata a Bruxelles nel 1845 da P. F. X. Ram, la seconda da J. Iglésies a Barcellona nel 1949.
Non ammessi nello Stato pontificio, i gesuiti spagnoli furono sbarcati, com'è noto, in Corsica, ove rimasero finché la isola, l'anno seguente, fu ceduta alla Francia, la quale espulse quegli ospiti indesiderati, che vennero ricevuti allora in territorio pontificio. L'A. durante l'anno di permanenza in Corsica, a Bonifacio, si occupò in attività diverse, partecipando a una specie di accademia letteraria, istituita fra i suoi discepoli. Una volta su suolo italiano si stabilì a Ferrara, ove fu anche superiore della comunità religiosa spagnola e ove morì nel 1799.
Dai confratelli spagnoli, che ci hanno lasciato notizie di lui, l'A. fu giudicato molto favorevolmente sia come religioso sia come studioso. Le relazioni triennali inviate d'ufficio al generale lo giudicano uomo di ottime doti intellettuali e morali, adatto allo studio, all'insegnamento e alla direzione, meno alla predicazione. Difatti, per lunghi anni fu superiore e professore apprezzato, nonché "castigatissimae latinitatis sectator", secondo Girolamo Lagomarsini, e fra i più eruditi del suo tempo, secondo l'Uriarte e Lecina. Formatosi egli stesso all'università di Cervera, quando vi divenne professore di filosofia si propose di superare l'insegnamento tradizionale sostituendo le parti ritenute inutili con una tematica più vitale in relazione con le scienze naturali. Volle elevare, inoltre, il livello umanistico del linguaggio scolastico e instaurare un metodo più scientifico di studio e di ricerca. Formò anche un gruppo di giovani che potesse continuare i suoi orientamenti metodologici. Né il suo lavoro fu vano, anche se l'espulsione prima e la soppressione poi della Compagnia di Gesù colpì mortalmente la scuola di Cervera. Pure, Baldassarre Masdeu sparse in Italia, a Piacenza, quel seme che attraverso il canonico V. B. Buzzetti dette inizio alla ripresa della neoscolastica, mentre sui testi degli antichi professori di Cervera si formò nei primi decenni del sec. XIX il noto sacerdote apologista spagnolo Giacomo Balmes.
Le idee dell'A. sono contenute principalmente nel Systema antiquo-novum iesuiticae philosophiae del 1747 e nelle Prolusiones philosophicae del 1756, che tanta impressione fecero al loro apparire e tanta reazione suscitarono nella stessa università cerverina.
Tuttavia, una volta lasciata la cattedra, l'A. personalmente abbandonò il programma di rinnovamento della scolastica, per occuparsi in prevalenza di studi umanistici. Fu in questo campo che in Italia ebbe fieri avversari il Tiraboschi e il Vannetti. Quest'ultimo, strenuo purista e classicista, rimproverava all'A. la pretesa di ritenere la latinità dei Vangeli e dei Santi Padri pari se non superiore ai classici e scriveva al Tiraboschi: "A dirvi il vero l'ab. Aymerich è uno scrittore stravagante, stucchevole per troppa verbosità, pedantesco assai volte, ragionator infelice, franco di penna, ma inesatto, barboso e da aggiungersi allo stuolo dei brodosi scolastici". E il Tiraboschi rispondeva: "Voi l'avete tremendamente contro quel povero Aymerich che non ha finalmente altra colpa che quella di esser pazzo senza saperlo". Dal Vannetti fu aspramente criticata l'opera pseudonima dell'A.: Q. Moderati Censorini de vita et morte linguae latinae paradoxa philologica;l'A. rispose con la Relazione autentica dell'accaduto in Parnasso,sempre con pseudonimo. Molto stimate però furono le due opere dell'A.: Specimen veteris romanae literaturae deperditae e Novum lexicon historicum et criticum antiquae romanae literaturae deperditae.
Tra le opere dell'A. si ricordano: Oración fúnebre en las exequias... al... obispo de Avila...,Cervera 1743 (quel vescovo era stato il primo cancelliere dell'università); Systema antiquo-novum iesuiticae philosophiae,Cervera 1747; Prolusiones philosophicae,Barcellona 1756; Nomina et acta episcoporum barcinonensium, Barcellona 1760; Q. Moderati Censorini de vita...,e la Relazione autentica, giàcitate, Ferrara 1780; e parimente lo Specimen e il Novum lexicon, Ferrara 1784 l'una e Bassano 1787 l'altra; Opuscula nonnulla historica et critica,Bassano 1787 (discorsi e altri studi). Un elenco completo e particolareggiato dei suoi scritti in Sommervogel e specialmente in Uriarte e Uriarte-Lecina.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivum Romanum. S. I., Collez. "Aragonia",13 (ms.), f. 412 v.; 14 (ms.), ff. 32, 103 v., 133, 166, 220, 262, 302 v. 344; 15 (ms.), f 486; 16 (a stampa), pp. 29, 50 (catalogo del 1754); pp. 10, 59 (cat. del 1755); pp. 4, 51 (cat. del 1756); pp. 4, 57 (cat. del 1757); 17 (pure a stampa), pp. 14, 57 (cat. del 1765); pp. 19, 59 (cat. del 1766); 18 (ms.), f. 5; Operum scriptorum aragoniensium olim e S. I. in Italiam deportatorum index editus in lucem a I. Fontio,s. l. né d. [ma 1802], pp. 4 s; Ch. Sommervogek, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus,I, Bruxelles-Paris 1890, coll. 712-714; XII, Toulouse 1930, col. 934; V. Cian, L'immigrazione dei Gesuiti spagnoli letterati in Italia, in Mem. d. R. Accad. d. Scienze di Torino, s. 2, XLV (1894-95), pp. 33 s. dell'estr.; J. E. De Uriarte, Catálogo razonado de obras anónimas y seudónimas de autores de la Compañia de Jesús..., II, Madrid 1904, pp. 58-69, 133 s., 225; III, ibid. 1906, pp. 194, 243, 453; IV, ibid. 1914, pp. 334, 372; G. Cavazzuti-F. Pasini, Carteggio fra G. Tiraboschi e Cl. Vannetti (1776-93), Modena 1912, pp. 76, 78, 81, 83, 103, 104, 106, 108, 113, 142; J. E. De Uriarte y M. Lecina, Biblioteca de escritores d. l. C. d. J...,Madrid 1925, I, 1, pp. 387-392; J. March, I gesuiti a Ferrara dopo la soppressione della compagnia di Gesù,in La Civiltà cattolica, 1939, I, p.248; M. Batllori, Jesuitas mallorquines en Italia (1767-1814), Palma de Mallorca 1942, pp. 12, 21, 29, 30, 32, Id., Francisco Gustà apologista y critico, Barcelona 1942, pp. 35, 44; Id., La irrupción de jesuitas españoles en Italia diechochesca, in Razón y Fe,1942, vol. 126, pp. 117, 120, 129, Id., Baltasar Masdeu y el neoescolasticismo italiano,Barcelona 1944, pp. 41, 43, 45, 53, 65 (estr. da Analecta sacra Tarraconensia,XV [1942], XVI [1943]; M. Batllori-J. Iglésies, Mateu Aymerich S. I. (1715-1799) i la seva "Historia geográfica y natural de Cataluña",in Archivum historicum Soc. Iesu, XXII(1953), pp. 596-597; M. Batllori, La literatura hispano-italiana del setecientos, in Historia general de las literaturas hispánicas, IV, 1,Barcelona 1956, pp. 6, 15; Id., Balmes i Casanovas, Barcelona 1959, pp. 20 ss., 25 s., 34 s., 39, 47, 49.