BIFFI TOLOMEI, Matteo
Nacque a Firenze il 19 maggio 1730, da Neri di Matteo e Francesca Mannelli del senatore Iacopo. Per parte di madre era quindi cugino di Francesco Maria Gianni, figlio di Anna Clarice Mannelli, sorella di Francesca. E al consigliere di Pietro Leopoldo B. fu sempre vicino, per rapporti di amicizia e di affari e per idee politiche ed economiche.
In realtà la sua casata era Tolomei Gucci, e così continuò a chiamarsi il fratello minore Iacopo, nato nel 1742 e morto nel 1806, che perpetuò appunto nei figli il vero cognome della famiglia. Ma già il padre del B., Neri, aveva preso il cognome di Biffi nel 1752, alla morte, avvenuta il 26 gennaio di quell'anno, del senatore Girolamo Biffi, da cui aveva ereditato la primogenitura e i numerosi possessi in Mugello, nonché a Prato, Scandicci e Firenze, della famiglia Biffi-Castellani, alla quale Neri Tolomei era imparentato per parte di madre. Anche il B. quindi, come primogenito, assunse il cognome di Biffi e ereditò dal padre il titolo di marchese di Casa-Massella, che un antenato dei Biffi, Girolamo di Ludovico Biffi, morto a Firenze nel 1691, aveva ottenuto da Filippo IV di Spagna, in riconoscimento dei servizi resi nel regno cattolico, dove aveva sposato donna Isabella Ramírez de Cargas, figlia del grande di Spagna don Diego Ramírez di Spinosa, cavaliere dell'Ordine di Alcántara.
In possesso di così considerevoli titoli nobiliari e di un cospicuo patrimonio terriero, che, oltre ai beni del Mugello, con la preferita terra del Palagio nel Comune di Scarperia, comprendeva fondi in Val di Chiana e nel Pisano, il B. si dedicò prevalentemente all'amministrazione e al miglioramento dei suoi poderi. Esplicò la sua inclinazione per gli affari e per la gestione di fondi agricoli, costituendo anche, nel 1764, in unione a Benedetto Tavanti e Alberto Buoninsegni, una Compagnia degli affari de' beni della religione di S. Stefano, che amministrò con successo le terre dell'Ordine. Proprietario illuminato e progressista, il B. apportò molte utili migliorie e innovazioni nella coltivazione delle sue terre, specie in Mugello, e pose spesso la su preparazione a servizio delle Comunità dove aveva i suoi beni, Scarperia, Scandicci, Prato, Galluzzo, Lastra a Signa, Sesto, ecc., sostenendone gli interessi e le richieste con memorie, istanze, revisioni di conti, ecc.
Nonostante gli stretti legami con Gianni e un'amichevole corrispondenza con Angelo Maria Tavanti, il B. non partecipò ad attività di governo di alto livello nell'epoca leopoldina, pur sostenendone con calore le riforme. Durante la Reggenza era stato membro dell'ormai esautorato Consiglio dei Duecento, e fu anche, nel 1752, 1756, 1764 e 1766, uno dei quattro Buonomini delle Stinche. Durante l'occupazione francese del '99 fu ancora vicino al Gianni, e le Comunità sue amiche e clienti si rivolgevano a lui come al "cittadino Matteo Biffi Tolomei" (cfr. la lettera a lui diretta il 10 maggio 1799 dal Comune di Scarperia per ottenere l'appoggio al conseguimento di un mutuo di 1000 scudi, in Arch. di Stato di Firenze, Archivio Biffi Tolomei, fasc. 183). Nelle sue carte si trovano molti scritti, riflessioni, opuscoli, fogli di giornale dell'epoca, tutti favorevoli ai Francesi e ai principi della Rivoluzione. Forse per queste sue simpatie il B. fu nominato nello stesso 1799 presidente della "Deputazione detta degli approvvigionamenti militari di Firenze", rimanendo però nella carica anche dopo la ritirata dei Francesi e l'arrivo degli Aretini e degli Austriaci. Solo nel 1802, durante il Regno d'Etruria, ascese ad un'alta carica dello Stato, venendo nominato senatore. Morì il 25 febbr. 1808. Dalla moglie Maria Margherita Mozzi, sposata il 15 giugno 1762, aveva avuto due figlie, Francesca Maddalena e Isabella Fiammetta, e un figlio, Neri, nato nel 1767 e morto a soli due anni.
Sotto molti aspetti anticipatore della figura del "campagnolo" colto, attivo conduttore delle sue terre, che l'Ottocento toscano ci presenterà in alcuni celebri personaggi, il B. ha tuttavia nel suo stile di vita e nella sua produzione letteraria l'inconfondibile accento dell'uomo del riformismo illuministico. Nella grande stagione dell'avvento in Toscana delle "norme di libertà" sul commercio dei grani, egli collaborò attivamente col governo, dalla sua posizione di privato produttore: fra le altre, una lettera a lui indirizzata da Angelo Maria Tavanti ce lo mostra fiancheggiare discretamente il successo della libertà frumentaria, facendo arrivare dalla Val di Chiana a Firenze partite di grano per "metterne ogni mattina in piazza una quantità proporzionata al bisogno pubblico, e a prezzi discreti compatibilmente alle circostanze..." (lettera di A. Maria Tavanti a Matteo Biffi Tolomei, 10 ag. 1773, Arch. di Stato di Firenze, Archivio Biffi-Tolomei, fasc. 183). Convinto assertore dell'iniziativa privata e delle misure idonee a proteggerla e incrementarla, nella gestione dei beni dell'Ordine di S. Stefano fu intransigente custode degli interessi della proprietà, come ci rivela un suo biglietto al capitano della piazza di Monte S. Savino, in data 17 luglio 1774, per impedire che i contadini delle terre dell'Ordine continuassero a "trafugare grani e biade prima della divisione" (ibid., fasc. 221, ins. 2).
Per quanto durante la felice età leopoldina lasciasse agli amici, ormai in posti di governo, la direzione ufficiale delle operazioni "pubbliche" per l'instaurazione e lo sviluppo della libertà del commercio dei generi agricoli, già allora non solo non mancò di ispirare, come abbiamo visto, la sua attività privata ad una linea di collaborazione con la politica liberistica del governo, ma si dette a elaborare indagini e riflessioni a sostegno dei nuovi principi. Si trovano così fra le sue carte raccolte di dati statistici sulla produzione e l'estrazione di grani dalla Toscana per gli anni fra il 1771 e il 1776, dalle quali l'incremento della produzione e del commercio granario, l'abbondanza del genere per tutte le categorie di cittadini vengono fatte minuziosamente risultare (ibid., fasc. 189, ins. 1).
Sono queste indagini e meditazioni che servirono come lavori preparatori alla produzione pubblicistica cui il B. si dedicò quando, partito Leopoldo dalla Toscana, eccitati i popoli dai nemici delle riforme ai tumulti del giugno 1790 contro la libertà frumentaria ritenuta l'origine della carestia e degli alti prezzi attuali, caduto in disgrazia il Gianni, la Reggenza prima e Ferdinando III e il nuovo governo poi cominciarono a disfare la "legislazione di libertà" edificata dal granduca riformatore fra il 1767 e il 1775. La derivazione in fondo fisiocratica delle idee "frumentarie" del B. ci appare, prima e più che dagli scritti pubblicati, nei quali essa si contamina con il peculiare indirizzo toscano di protezionismo manifatturiero, in alcune riflessioni inedite del 2 ott. 1792, echeggianti anche nel titolo i celebri pamphlets dell'abate Baudeau nella Francia del 1768-70: "La vera origine dei clamori popolari non risiede nella libertà del commercio frumentario, che attualmente si combatte. Anzi, togliendosi la libertà, il popolo ne risentirà un danno grandissimo" (ibid., fasc. 189, ins. 1, cc. 60r-65r). L'abituale argomentazione in favore della libertà frumentaria, la quale favorisce la produzione e per tal via previene carestie e alti prezzi, che invece regolamenti e monopoli di Stato favoriscono, si colora qui di una caratteristica sottolineatura degli interessi del popolo consumatore e può avvalersi di un efficace dato sperimentale: i risultati delle norme di libertà che hanno imperato in Toscana per venti anni. La diminuzione di libertà frumentaria affamerebbe subito un numero più grande di persone che non si pensa, che vivono sul commercio attivo e di economia, che dalla libertà illimitata ricevono la vita... La diminuzione di libertà, in qualunque forma sia, cresce le carestie, perché abbassando il prezzo negli anni abbondanti fa diminuire le semente, e perché alzando il prezzo negli anni scarsi, difficulta le sussistenze... Nel 1772 e nel 1782 la Toscana sofferse due scarsità di raccolte più forti di quella della memoranda carestia del 1766. Né disturbi, né epidemie, né imposizioni si sentirono in quelle, né il prezzo del grano montò a quell'enorme altezza... Ma perché nasce dubbio sulla libertà di commercio dei viveri dopo 25 anni di consolante esperienza? Si è visto pure in questo tempo aumento in Toscana di popolazione, di fabbricazione rustica, di semente, di coltivazione di ulivi e di viti, di seta, di lana, di bestiame e di ogni altro prodotto. Si promosse questo dubbio per pochi ladri, che complottarono nel 1790, perché ebbero tutto il comodo di mettersi insieme, non essendo stati arrestati...".
Poiché quei "ladri" erano in fondo gli amici dei ministri di Ferdinando III, l'asprezza della denunzia inedita non passò negli opuscoli stampati. Ma anche in questi, mentre, con la legge 9ott. 1792, il nuovo governo si inoltrava nella marcia a ritroso in materia di libertà frumentaria, il B. fu in grado, pur conservando per ovvi motivi l'anonimato, di intraprendere un'azione di rilievo per combattere le prevenzioni "reazionarie" di cui sembrava alimentarsi l'indirizzo antileopoldino degli attuali ministri. Si hanno così i tre volumetti: Sentimento imparziale per la Toscana sopra la seta e la lana. Si mostra come l'agricoltura e le arti si sostengono a vicenda, Italia 1791; Esame del commercio attivo toscano e dei mezzi di estenderlo per ottenere l'aumento della popolazione e della produzione, Firenze 1792; Confronto della ricchezza dei paesi che godono la libertà del commercio frumentario con quella dei paesi vincolati prendendo per esempio la Toscana,che in meno di trenta anni si è trovata in tre stati,nei vincoli antichi,nella libertà illimitata e nei vincoli nuovi, s.l. 1793 (ma Assisi, 1794); 2 ediz., con aggiunte, s.l. 1795. Naturalmente, trattandosi di scritti di opposizione alla vigente politica economica del governo, essi apparvero appunto senza il nome dell'autore; peraltro, nella lettera all'editore premessa alla seconda edizione del Confronto si dice che l'Esame del commercio attivo circolava fuori della Toscana con la seguente intestazione: Esame del commercio di prodotti e manifatture, e dei mezzi di estenderlo per ottenere l'aumento della popolazione e della produzione, dedotto dai fatti seguiti in Toscana, "di Matteo Biffi Tolomei Patrizio Fiorentino, Firenze 1792, nella stamperia di Pietro Allegrini, con approvazione". Il che fa pensare a una certa tolleranza governativa nei confronti di questo scritto che, del resto, era nato come memoria ufficialmente presentata dall'autore, il 29 genn. 1792, all'Accademia dei Georgofili, per partecipare al concorso da questa bandito sul tema: "Se in uno Stato suscettibile di aumento di popolazione e di produzione dei generi del suo territorio, sia più vantaggioso e sicuro mezzo per ottenere i sopradetti fini il dirigere la legislazione a favorire le manifatture con qualche vincolo sopra il commercio dei generi greggi, ovvero il rilasciare detti generi nell'intera e perfetta libertà di commercio naturale" (il saggio del B., pur non vincendo il concorso, ottenne l'accessit, dopo la memoria premiata, su undici concorrenti).
La posizione del B. sull'argomento è assai simile a quella che il Gianni aveva assunto fin dagli anni della sua prima collaborazione col governo leopoldino, fra il 1766 e il 1770: liberismo frumentario e protezionismo manifatturiero. Posizione tipicamente eclettica, ove si volesse guardare puntualmente alle tradizionali classificazioni di teoria economica: sicché il B. può nei suoi scritti trascorrere continuamente da accenti, che potrebbero apparire di acceso fisiocratismo nel combattere vincoli e regolamenti sulla produzione e il commercio del grano e del pane, ad affermazioni decisamente protezionistiche, quasi colbertiste, in materia di manifatture.
Nell'Esame del commercio attivo, conforme alla natura del quesito proposto dall'Accademia dei Georgofili, il punto di partenza era appunto la risposta affermativa al quesito circa l'opportunità dei vincoli sull'esportazione della materia greggia delle principali manifatture fiorentine (le Arti della seta e della lana) e sulla importazione dei corrispondenti manufatti esteri, per la vita stessa di industrie che facevano affidamento in primo luogo sulla qualità del prodotto e sulla possibilità del consumo interno, per reggere alla concorrenza della produzione straniera, quantitativamente soverchiante, favorita da costi minori e dal gusto della moda per le stoffe estere. Non che il B., formatosi alla scuola di tutta la polemica della "nuova scienza" economica del sec. XVIII contro gli intralci alla libertà commerciale, non conservasse il principio della intrinseca bontà di questa. Solo che il riguardo alle esigenze della produzione industriale secondo le circostanze di luogo e di tempo gli faceva apparire necessario contemperare i bisogni delle manifatture con quelle del commercio.
Il problema era per lui trovare questo punto di equilibrio fra il vantaggio dei vincoli protettivi per le manifatture nazionali e il danno da essi recato al principio del libero commercio dei prodotti agricoli, la sintesi fra protezionismo industriale e liberismo frumentario. Certo è formale la contraddizione fra le molte osservazioni in favore del divieto di esportazione di un prodotto naturale, quale la seta greggia, e le risolute professioni di fede nella libertà del commercio dei generi agricoli; ma il B. pensa di poter proporre certe linee di convergenza, riprendendo, contro il fisiocratismo outré del Paoletti dei Veri mezzi per render felici le società (Firenze 1772) o di Marco Lastri, assurto col 1770 alla direzione delle Novelle letterarie, il conciliazionismo empirico e tavolta un po' artigianale del Gianni e di Aldobrando Paolini (Della legittima libertà del commercio, Firenze 1785-86). Questi motivi di convergenza passano per il rilievo della maggior produzione degli stessi generi alimentari e della più rapida circolazione di essi e del denaro, conseguenti all'impulso delle Arti e all'accresciuto consumo dei lavoranti in esse (ibid., pp. 62-67), per sfociare in una norma generale: "Quando l'interesse individuale presente del proprietario, considerato isolato e spogliato di ogni riguardo per la società, coincide coll'interesse pubblico, si richiede non solo che sia lasciata al proprietario una libertà illimitata, ma che sia difesa dalla pubblica potestà da ogni attacco, che è sempre lesivo del pubblico e del privato egualmente. All'opposto quando l'interesse individuale presente non coincide con quello del pubblico, si richiede un regolamento; altrimenti le società non sussistono, o ne soffrono dei mali gravi" (ibid., pp. 110-111).
Strettamente legata più che a un filone d'idee puramente teoriche all'esperienza e all'impegno pratici del B., questa posizione si ribadirà sostanzialmente, ma con una maggiore accentuazione dell'apologia della libertà frumentaria, nel Confronto della ricchezza dei paesi..., quando il B. riterrà di dover sostenere una decisa battaglia in nome dei principi di governo leopoldini, sulla linea dell'amico Gianni, contro l'impulsivo e caotico revirement vincolistico e regolamentare del ministero di Ferdinando III. Di fronte alla nuova politica, lo spirito della libertà frumentaria, che aveva animato tante pagine lucide e ardenti degli "economisti" del Settecento, ha, nel volumetto del B., come un estremo sussulto di vigore polemico, precorritore degli entusiami liberisti del secolo seguente, proprio mentre il contrasto stesso di rivoluzione e reazione va preparando ovunque il trionfo di calmieri,maxima, proibizioni e vincoli. Nell'autunno del '92, scrive il futuro senatore, "invece d'illuminarsi il popolo su queste verità, gl'interessati contro la libertà,ed i poco conoscitori, lo stabilivano nella sua falsa opinione" (cfr. Confronto della ricchezza dei paesi, 1795, p. 13). E queste verità sono naturalmente quelle della eccellenza della libertà frumentaria, fondata sul valore della libera iniziativa individuale, ad assicurare l'approvvigionamento delle popolazioni contro carestie e monopoli. In quest'ultima battaglia per la libertà frumentaria di un uomo che non aveva certo sposato integralmente le idee fisiocratiche, gli spunti più vitali di queste - fini di interesse privato, coperti con l'ostentazione del bene pubblico, nei regolamenti e nel funzionamento degli uffici di Abbondanza, magazzini pubblici, ecc.; fecondità degli alti prezzi nello stimolare la produzione a beneficio degli stessi lavoratori delle industrie, che vedranno crescere i propri salari e avranno maggiori sussistenze a disposizione; benessere economico generale raggiunto da quei paesi che, come la Toscana leopoldina, avevano adottato le norme di libertà" (ibid., pp. 73, 83, 98 s.) si congiungevano con il tentativo di approfondire certi fenomeni economici e certi errori dell'opinione pubblica che eran sembrati andare a rafforzare le posizioni dei sostenitori del regime regolamentare.
In conclusione - e proprio qui vien forse a consistere la maggiore originalità del B. come economista - la risoluta denunzia dei danni delle proibizioni in materia frumentaria si combina con uno sforzo di spiegazione della crisi di deficiente produzione e di alti prezzi, che negli anni '90 sommerse nel malcontento popolare, oltre che nella volontà reazionaria della maggioranza del governo, la legislazione liberistica leopoldina. E ancora una volta le proprie idee circa le manifatture sembrano al B., anziché contrastare, porgere appoggio ai suoi principi di libertà del commercio agricolo, integrando, in quella spiegazione, gli elementi di condanna del ritorno al vincolismo annonario con quelli relativi agli errori nella politica manifatturiera.
"Nel 1790 mancarono al popolo artigiano della Toscana molte occupazioni, che barattavano generi in sussistenze, e si combinò che le vicende d'Europa avevano dato un alzamento straordinario ai prezzi delle derrate... e fu persuaso il popolo che l'alto prezzo dei viveri dipendesse dal passaggio, che facevano in altri paesi" (ibid., p. 142).
Di qui, il rinnovato sistema di proibizioni in materia frumentaria e l'ulteriore ristagno delle manifatture nazionali, a beneficio di quelle estere, proprio mentre si sarebbe dovuto al contrario stimolare la produzione agricola con la libertà e soccorrere quella delle manifatture con un ben congegnato sistema di premi, di tariffe e di divieti.
Questa nutrita presa di posizione a difesa della legislazione liberistica leopoldina, contro l'orientamento reazionario del governo ferdinandeo, valse al B. consensi e persecuzioni. Già il 19 maggio 1791 il Fabbroni, principale vessillifero della resistenza e della controffensiva liberistica che, oltre il primo periodo di Ferdinando III, si prolungherà nell'epoca napoleonica e agli inizi della restaurazione, gli aveva scritto una lettera che concludeva denunziando "la distorsione più strana", con cui in virtù di "una fantasia stravagante, si trae argomento contro la libertà da quei fatti stessi che dovrebbero corroborarla" (Arch. di Stato di Firenze,Archivio Biffi-Tolomei, fasc. 189, ins. 2, c. 116r). In quegli anni, che dovettero poi sfociare nell'ambigua situazione politica e nella economia, condizionata dalle guerre napoleoniche, del Regno d'Etruria, il B. fu sempre in contatto con quel gruppo di riformatori, toscani e no, che tennero fede ai principi di libertà agricola messi di moda dalla "nuova scienza" dell'età dei lumi: Gianni, Fabbroni, Scrofani, Francesco Digny, Giovanni De Coureil, Giovanni Castinelli, Alessandro Taglialagamba, ecc.
Nel periodo della più aspra reazione ferdinandea, quando la "Repubblica della virtù e del terrore" sembrava minacciare i troni d'Europa, il B. rischiò di pagare di persona il suo passato illuministico e le sue inclinazioni novatrici, a seguito del processo di lesa maestà intentatogli nel 1794 per la pubblicazione del suo Confronto della ricchezza. Ma il 10 genn. 1795 il Supremo Tribunale di Giustizia dichiarò non esservi "luogo a procedere", forse anche sulla considerazione che Ferdinando III accennava a volgersi di nuovo alla libertà frumentaria, come poi in effetti fece, sia pure con ben definiti limiti, con la legge 17 ag. 1795. E nonostante che il presidente del Buon Governo, Giuseppe Giusti, che aveva denunziato l'autore, protestasse contro la sua assoluzione, con nota al granduca del 27 genn. 1795, presentando il B. come portavoce degli interessi dei grandi proprietari terrieri e insistendo che a proprio parere "l'operato del Tolomei e dei suoi aderenti" doveva considerarsi tutt'altro che "indifferente" per il prestigio della maestà sovrana (Arch. di Stato di Firenze,Segreteria di Gabinetto, filza 157, ins. 13), il B. non fu più disturbato. Anzi, profittando del ritorno liberistico dell'agosto 1795, ribadì le sue convinzioni in uno scritto pubblicato, se pur sempre anonimo: Lettera di un Toscano al giornalista di Napoli sopra alcune relazioni circaallo stato economico della Toscana accennate dal sig. Duca di Cantalupo nel suo libro intitolato: Annona o sia piano economico di pubblica sussistenza, Napoli 1795. Poi, manovrando con l'abituale senso pratico e con la vigile cura dei propri interessi che gli fu propria, il B. poté superare senza danni i sussulti dell'occupazione francese, della prima restaurazione e delle successive sistemazioni date alla Toscana dalla politica napoleonica, ponendo sempre al vertice delle sue preoccupazioni la buona gestione e lo sviluppo produttivo dei suoi possessi (come ci mostrano vari documenti dei primi dell'Ottocento, relativi a costruzione di edifici di culto e a migliorie agricole nella prediletta tenuta del Palagio: cfr. Ibid.,Arch. Biffi-Tolomei, fasc. 222, ins. 11), conseguendo la dignità senatoria dal nuovo re d'Etruria, nel 1802, e terminando tranquillamente la sua esistenza nella Toscana, divenuta dipartimento dell'impero napoleonico.
Bibl.: Forse per l'anonimo che coperse i suoi scritti, come anche per lo scarso rilievo "pubblico" della sua persona, la bibliografia sul B. può dirsi quasi inesistente. Lo stesso P. Custodi nella sua grande raccolta,Scrittori classici italiani di economia politica, Milano 1804, non ha pubblicato alcun testo di lui.
Tre documenti del processo a carico del B. sono pubblicati in Scritti di pubblica economia del conte Vittorio Fossombroni, a cura di A. Morena, I, Arezzo 1896, pp. 62-76. Cfr. poi A. Morena,Le riforme e le dottrine economiche in Toscana, in Rass. naz., XXX(1886), pp. 488 ss.; XXXI (1889), pp. 112-152; A. Anzilotti,M. B. T. e la libertà economica in Toscana, in La libertà economica, XIII(1915), pp. 240-252; R. Mori, Il mov. reaz. in Toscana alle riforme leopoldine nel 1790, in Arch. stor. ital., C(1942), pp. 53-94; Id., Aspirazioni costituz. nel pensiero politico toscano del settecento,ibid., CI(1943), pp. 31-61; F. Diaz, F. M. Gianni. Dalla burocrazia alla politica sotto Pietro Leopoldo di Toscana, Milano-Napoli 1966, pp. 363-365, 403-407.