BRUMANI, Matteo
Nacque a Cremona nel 1545. Secondo un'ipotesi del Lancetti, sarebbe stato figlio del giureconsulto Giuseppe Maria. Dopo aver compiuto gli studi giuridici a Cremona e a Mantova, si rivolse alla vita religiosa, entrando a far parte, in data imprecisabile, ma presumibilmente intorno ai venti anni, della Congregazione lateranense dei canonici regolari di s. Agostino, vestendone l'abito nel convento cremonese di S. Pietro al Po. Dedicatosi alla predicazione, vi ottenne una notevole fortuna: il Mazzuchelli ricorda prediche sue a Cremona, Casale, Milano, Alba, Asti, Bologna, Pavia e Mantova.
Eletto dapprima abate del suo monastero cremonese (presumibilmente intorno al 1580), partecipò al capitolo generale dell'Ordine, tenutosi a Roma, e ne risultò eletto visitatore generale. Godette anche buona fama di teologo e in tale veste, secondo i suoi biografi, avrebbe assistito il duca di Mantova Guglielmo Gonzaga.
Pare probabile, tuttavia, che il duca facesse appello piuttosto alla sua competenza di canonista: sono ricordate, infatti, due opere sue di diritto canonico, peraltro rimaste manoscritte e andate, a quanto pare, perdute, De matrimoniorum validitate et invaliditate,iure praxique inducta e De ecclesiasticorum reditum iuribus et origine. È verosimile che ambedue questi scritti fossero richiesti al B. da Guglielmo Gonzaga; presumibilmente il primo fu un contributo alle discussioni intorno all'annullamento del matrimonio di Vincenzo Gonzaga, erede del ducato, con Margherita Farnese, matrimonio effettivamente sciolto nel 1583, sicché lo scritto del B. dovrebbe essere stato composto in quell'anno o in quello precedente; il secondo scritto, probabilmente dello stesso periodo, potrebbe essere stato un parere giuridico in merito alle vertenze giurisdizionali insorte tra il duca Guglielmo e la Santa Sede in seguito alla politica di intervento nella vita religiosa dello Stato lombardo promossa da Gregorio XIII.
Due pingui pensioni, l'una di 100 ducati sulle rendite della chiesa parrocchiale di Mantova, e l'altra di 200 ducati dall'erario ducale, dimostrano comunque che i servigi prestati dal B. alla corte gonzaghesca erano effettivamente apprezzati e non rimanevano senza premio.
Il successore di Guglielmo, Vincenzo, si servì ancora più largamente dell'opera del B., affidandogli importanti compiti diplomatici. La prima missione del B. fu a Milano, nel 1586, presso il governatore generale Carlo d'Aragona, duca di Terranova. Non sono noti i termini dell'incarico affidato al frate cremonese, ma si può presumere che esso fosse in rapporto col fallito tentativo sabaudo di impadronirsi del castello e della città di Casale attraverso una congiura di un gruppo di militari della guarnigione gonzaghesca capeggiati dal colonnello Agostino Suzarini.
Al principio del 1587 il duca Vincenzo inviò il B. a Roma, in qualità di oratore a Sisto V, e il 4 marzo di quell'anno, a istanza dello stesso duca, il pontefice creò il B. vescovo in partibus di Nicomedia, dichiarandolo suffraganeo del vescovo di Mantova. Secondo il Lancetti avrebbe esercitato di fatto, col consenso del papa, compiti di ausiliare del vescovo mantovano Alessandro Andreasi sin dal settembre dell'anno precedente, assumendo l'amministrazione della diocesi durante l'assenza dello stesso Andreasi, allora "nunzio fuori d'Italia". Ma di questa missione del vescovo mantovano non si ha conferma.
Il B. rimase stabilmente alla corte romana, come rappresentante mantovano, durante il pontificato di Sisto V e poi durante quelli brevissimi dei suoi immediati successori, Urbano VII, Gregorio XIV e Innocenzo IX.
Il solo episodio di qualche rilievo che investisse direttamente i rapporti tra Mantova e la Santa Sede, nel periodo in cui il B. rappresentò diplomaticamente il ducato, fu, nel 1590, la richiesta da parte del pontefice di una esplicita adesione della corte gonzaghesca allo schieramento antispagnolo che il papa intendeva promuovere come replica alle pressioni ed alle minacce di Filippo II era infatti il momento della grave crisi dei rapporti tra Sisto V e il monarca spagnolo provocata dalle innovazioni possibiliste portate dal papa alla sua politica francese, con le significative aperture verso Enrico di Navarra. In particolare il papa - a quanto riferiva il B. al duca Vincenzo il 12 marzo 1590 - consigliava che lo stesso duca "stasse più vigilante del passato nel stato di Monferrato contro di Savoia, perché passando queste cose tra Sua Santità et Spagna et per conseguente Savoia non può più ragionevolmente assicurar tanto Vostra Altezza et farla riposare sopra se stesso come facea per il passato et che però ogni prudente vigilanza sarà degna di Vostra Altezza" (Pastor, X, pp. 620 s.). Il sensibile miglioramento dei rapporti tra il papa e la Spagna, seguito al ritiro dell'ambasciatore spagnolo Olivares, fece cadere il proposito pontificio di un esplicito appello alla fedeltà cattolica dei principi italiani.
Ma al di là di questo fugace impegno diretto, il B. assolse meritoriamente i suoi compiti diplomatici con un'opera assidua e perspicace di osservatore delle vicende politiche romane, informandone puntualmente la corte gonzaghesca con dispacci che sono rimasti tra le fonti diplomatiche più importanti del periodo e come tali sono state ampiamente studiate ed utilizzate. L'attendibilità e la ricchezza delle informazioni di cui il B. poteva disporre dipendeva, oltre che dalla sua indubbia abilità, anche dalla grande confidenza che gli manifestavano il cardinale di Montalto, Alessandro Peretti, pronipote del pontefice, e lo stesso Sisto V: in più occasioni il B. poté infatti fondare le sue relazioni sulle dichiarazioni fattegli direttamente dall'uno e dall'altro di questi personaggi.
Così, per esempio, nell'agosto del 1588 (non del 1585, come vuole il Pastor), allorché il papa, deprecando le guerre di Giulio II e di Paolo IV "come senza fondamento iuditioso", eprimeva il desiderio di una "qualche guerra contro nemici delle fede", affermando però che avrebbe visto più volentieri un decisivo impegno della Spagna contro i corsari barbareschi, che non la vagheggiata spedizione contro l'Inghilterra, sia perché quest'ultima appariva "più difficile", sia perché "non è tanto dannosa Inghilterra alle anime christiane, come che non vi praticano se non volontariamente, come Alghieri che va depredando sempre i nostri mari" (ibid., p. 610).
La testimonianza del B. è però soprattutto rilevante per le vicende della politica francese di Sisto V, seguite giorno per giorno con raro acume e con padronanza sicura del composito e sfuggente mondo politico curiale, insorto in contrasti drammatici - talvolta espliciti e più spesso sotterranei - quando il papa cominciò a considerare apertamente la possibilità e l'opportunità di assolvere Enrico di Navarra dalle censure canoniche e di riconoscerne l'ascesa al trono di Francia.
Nel settembre del 1590 Torquato Tasso, allora a Roma, si era rivolto al B. perché lo raccomandasse al duca di Mantova per un qualche modesto sussidio. Il B. in effetti ragguagliò Vincenzo Gonzaga sui penosi frangenti in cui versava a Roma, a causa delle sue stranezze, "questo semiuomo", e il duca replicò invitando il Tasso a recarsi a Mantova. Accettato l'invito, il Tasso scrisse ancora, ripetutamente, al B., perché gli ottenesse il favore della corte romana, ma non risulta che i loro rapporti si approfondissero maggiormente.
Confermato rappresentante gonzaghesco dopo le elezioni di Urbano VII, Gregorio XIV e Innocenzo IX (e su ciascuno dei relativi conclavi i suoi dispacci sono ancora tra le fonti più importanti), il B. venne eletto da quest'ultimo pontefice al vescovato di Melfi, il 13 nov. del 1591, probabilmente ancora su istanza del duca di Mantova. Ad una sua partecipazione al capitolo dell'Ordine si riferisce presumibilmente una Oratio habita in dieta Romae congregata dum ad Episcopalem cathedram translatus officia suae fidei curaeque commissa resignavit, che è citata tra i suoi manoscritti dispersi: non è possibile stabilire, tuttavia, quali "officia" gli fossero in quella data affidati.
Trasferitosi a Melfi, pare che qui la sua principale iniziativa fosse l'ampliamento del palazzo vescovile.
Morì a Melfi il 19 ag. 1594.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, GliScrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2157 s.; F. Arisi, Cremona literata, II, Parmae 1706, pp. 434 s.; V. Lancetti, Biografia cremonese, II, Milano 1820, pp. 566-568; A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma 1895, pp. 666, 672, 674 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, X, Roma 1928, ad Indicem;G. Gabrieli, Bibliografia di Puglia, in Japigia, IV (1933), p. 307; G. van Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Monasterii 1923, pp. 241, 257.