CANALE (Canali, de Canalis), Matteo (Mattia)
Figlio di Pietro, nacque a Ferrara nel luglio del 1443. Parecchi membri della sua famiglia furono funzionari estensi: suo fratello Bartolomeo fu, tra l'altro, podestà di Massafiscaglia, poi visconte di Mellara; suo nipote Novello fu anche lui visconte di Mellara. Il C. entrò nella carriera ecclesiastica, studiò a Ferrara ed ottenne il 16 maggio 1476 la laurea in diritto canonico. L'anno dopo era lettore nello Studio ferrarese. Era ancora a Ferrara nel 1480; ma nel 1481 lo troviamo a Napoli al servizio del vescovo di Gerona, Giovanni Moles de Margarit, oratore del re di Castiglia alla corte di Napoli. Di là il C. scriveva spesso al duca Ercole informandolo degli avvenimenti napoletani e delle notizie che a Napoli giungevano, specialmente dalla Spagna e da Roma.
La guerra tra Ferrara e Venezia, nel 1482, cagionò alla famiglia del C. la perdita di tutti i beni che si trovavano nel Polesine di Rovigo. Al rammarico per tale perdita si aggiungeva, nell'animo del C., la preoccupazione per la sorte della sua città natale e del suo principe; perciò quando, verso la fine dell'anno, il Moles tornò in Ispagna e gli propose di seguirlo e di trasferirsi colà, il C. si licenziò dal vescovo e rimase in Italia, perché - scriveva al duca Ercole - so che così potrò servire a V. E. ed anche alla casa mia che si trova disfatta".
Il C. si stabilì quindi a Roma, dove fu dapprima precettore di Matteo Cybo, nipote del papa Innocenzo VIII, e più tardi divenne cappellano e segretario del card. Giovanni de Castro, arcivescovo agrigentino. Anche a Roma egli rimase sempre in corrispondenza col duca Ercole, al quale inviava costantemente notizie degli avvenimenti politici e religiosi. Nel 1501 papa Alessandro VI lo nominò protonotario apostolico.
Morì a Roma il 4 sett. 1503. Novello Canale, suo nipote ed crede, fece porre per lui un'epigrafe commemorativa in S. Pietro in Vaticano.
Il C. fu soprattutto un oratore. Nel dicembre 1476 recitò, a nome del rettore dello Studio, dei lettori e degli scolari, un'orazione all'arcivescovo di Ravenna, Filasio Roverella, venuto in visita a Ferrara. L'anno dopo, all'apertura dello Studio, tenne in duomo, presenti Rinaldo d'Este, il vescovo di Ferrara B. della Rovere, molti dottori e scolari, l'orazione per i giuristi. In questa orazione egli, a quanto pare, disse male dei medici. Perciò pochi giorni dopo Lodovico Carbone, recitando in versi l'orazione per i medici e gli artisti, lo attaccò violentemente: "Qui carpit medicos - diceva tra l'altro - medicis, nisi fallor, egebit / Mattus Mattheus ergo stultorum maximus". Il Carbone, che era a quel tempo l'oratore più reputato di Ferrara, solito a celebrare con la sua eloquenza tutte le solennità cittadine, vedeva forse con gelosia sorgere nel C. un giovane concorrente.
Altre orazioni (per il nuovo podestà di Ferrara, per nuovi rettori dello Studio, e in altre simili occasioni) il C. pronunciò negli anni dal 1478 al 1480: e dovettero essere abbastanza apprezzate, giacché i cronisti ce ne hanno conservato memoria.
A Roma il C. si diede all'eloquenza sacra. Si ricordano l'orazione da lui pronunciata per il pontificale vaticano del venerdì santo del 1489, quella per S. Stefano, detta in presenza del papa nel 1494, e quella, anch'essa recitata davanti al pontefice, per la festa della Trinità nel 1500.
Una sola di queste orazioni ci è rimasta, quella "de passione Domini" del venerdì santo 1489 che fu l'anno stesso stampata in Roma dal Plannck. L'orazione in verità è molto mediocre e tale dovette parere anche agli ascoltatori, giacché il diarista Burckard dice che fu recitata "sine magna laude". Un'altra orazione ("pro exatione decimarum") è conservata dal ms. 2948 della Biblioteca universitaria di Bologna.
Specialmente in gioventù il C. scrisse anche dei versi latini, che si leggono in diversi manoscritti. Ci restano un epigramma per la morte di Lodovico Casella, segretario e compagno del duca Borso (1469), uno per la morte di Ursino Lanfredini (1488), altri per Francesco Lagogna e per Ermolao Barbaro. Un altro ancora, indirizzato a Vasino Gambiera, è stampato in fondo all'orazione "de passione Domini". Più importante è il poemetto in distici elegiaci (circa 520 versi) che ci è conservato nel ms. Lat. 48della Biblioteca Estense di Modena. Reca come titolo dedicatorio Divae Leonorae Estensi Pherdinandi regis filiae Herculis ducis consorti Matteus Canalis perpetuam felicitatem dicit e fu composto per celebrare le nozze di Ercole ed Eleonora (1473).
Più che per il suo valore poetico, effettivamente scarso, il poemetto è interessante come documento storico. In esso infatti vediamo già tracciata, poco più di un anno dopo che Ercole era salito al trono ducale, quella che sarà poi per più di un secolo la linea della letteratura politico-dinastica estense. Il C. infatti, dopo le solite esornazioni mitologiche (gli dei e le Grazie presenti e auspicanti alle nozze), fa una breve storia della vita del duca Ercole. Il marchese Lionello, il figlio naturale ("qui de polluto natus adulterio") al quale Niccolò III ha lasciato per testamento la Signoria a detrimento dei figli legittimi, è presentato come un funesto tiranno, che ha cacciato il piccolo Ercole in esilio. Di Borso non si fa quasi parola; solo si accenna alla sua morte in seguito alla quale la discendenza legittima degli Estensi riprese il dominio dello Stato. L'educazione di Ercole alla corte di re Alfonso è paragonata all'educazione di Achille sotto Chirone. Il C. rievoca quindi ciò che il giovane Ercole fece durante il regno del re Ferdinando, sorvolando naturalmente sulla sua defezione al tempo dell'impresa di Giovanni d'Angiò. Abbiamo poi la descrizione del trionfale viaggio di Eleonora da Napoli a Ferrara e delle feste nuziali. Il poemetto si conclude con le lodi della nobiltà, della bellezza e delle virtù di lei.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Modena, Cancelleria ducale, Ambasciatori..., Napoli, b. 3; Roma, b. 3; I. Burchardi, Liber notarum, in Rer. Ital. Script., 2ed., II, 1, a cura di E. Celani, ad Indicem; Diario ferrarese di B. Zambotti, ibid., XXIV, 7, a cura di G. Pardi, ad Indicem;F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii..., II, Ferrariae 1735, p. 73;G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secc. XV e XVI, Lucca 1900, p. 64;L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1912, p. 426;G. Bertoni, Guarino da Verona fra cortigiani e letterati a Ferrara, Ginevra 1921, p. 99;Id., Poeti e Poesie del Medio Evo e del Rinascimento, Modena 1922. p. 250;R. Weiss, In obitu UrsiniLanfredini..., in Italia medievale e umanistica, II (1959), p. 356;P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indicem; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VI, n. 5957.