CASTELLANI, Matteo
Nato a Firenze da Michele di Vanni, fu uno degli esponenti maggiori della sua famiglia e attivo diplomatico tra la fine del Trecento e il primo trentennio del Quattrocento; ricoprì incarichi molto importanti al servizio della Repubblica fiorentina.
Nonostante i numerosi impegni politici ebbe il tempo di interessarsi e di accostarsi ai circoli culturali del nuovo umanesimo fiorentino: fu tra i sostenitori del Crisolora e del Filelfo, maestri di greco a Firenze, cui era legato anche dalla comune amicizia con Palla Strozzi; forte di una notevole preparazione culturale (il Bec lo cita come lettore appassionato delle opere coeve, tra cui il De re uxoria di Francesco Barbaro), fu uno dei rappresentanti più notevoli del primo Quattrocento fiorentino in campo politico. Godeva di una notevole fortuna economica: possedeva una bottega in Por S. Maria e nel 1427 denunciò al catasto circa 13.000 fiorini; abitava il palazzo d'Altafronte (già palazzo dei Buonsostegni e da loro alienato per dotare una sorella, e poi pervenuto nelle mani dei Castellani), ove ospitò per un anno maestro Iacopo di Martino da Spoleto.
Il C. partecipò per incarico della Signoria a numerose ambascerie: il 6 dic. 1400 si recò, con Filippo Corsini, presso Paolo Guinigi, signore di Lucca; il 13 sett. 1403 si recò a Genova; nell'aprile del 1404 fu inviato di nuovo a Lucca e pochi giorni dopo partì per Bologna, con Andrea di Lorenzo da Montebuoni, per una missione presso il legato papale. Il 2 maggio 1406 iniziò la più nota delle sue missioni: fu inviato ambasciatore a Lucca, insieme con Cristofano Spini, per concordare con Rinaldo Rondinelli, ambasciatore fiorentino nella città, un'azione diplomatica tale da convincere il signore di Lucca a non permettere il passaggio a soldati che andassero in aiuto dei Pisani e a non tollerare nessun'altra forma di aiuto volta a soccorrere la città di Pisa assediata. Erano gli anni in cui Firenze cercava di assicurarsi uno sbocco al mare per dare un nuovo impulso ai propri traffici commerciali. Aveva comperato quindi dai Visconti Pisa, il suo contado e Livorno; ma la città si era ribellata ai nuovi padroni e i Fiorentini la cinsero d'assedio. Da qui la necessità di impedire l'invio o almeno l'arrivo di rinforzi agli assediati. Dopo alcuni mesi infatti Giovanni Gambacorti, che governava Pisa, si rese conto che non era possibile continuare la resistenza ad oltranza per cui decise di inviare un intermediario, nella persona di Gaspare da Lavaiano, presso il campo dei Fiorentini, con il compito di trattare la resa della città. Il 4 luglio 1406 Gino Capponi, Bernardo di Matteo Cavalcanti e Bartolomeo Corbinelli, tre dei Dieci di balia, insieme con il C. e Iacopo Gianfigliazzi, che erano i due commissari del campo fiorentino, ricevettero dalla Signoria il nulla osta per iniziare le trattative. I due mesi che seguirono furono pieni di intense trattative: Giovanni Gambacorti e altri pisani si incontrarono più volte con il C. che riferiva diligentemente le proposte pisane alla Signoria.
Evidentemente il C. e gli altri suoi compagni dettero un'ottima prova delle loro capacità se l'8 ott. 1406 la Signoria inviò loro una lettera in cui si apprezzavano i loro sforzi volti alla presa di Pisa, la loro fedeltà al Comune di Firenze e si anticipava la notizia della loro nomina a cavalieri in occasione della vicina capitolazione della città; inoltre si dava al capitano generale delle truppe fiorentine, Luca del Fiesco, l'incarico di conferire loro, sul campo, la nomina in nome del gonfaloniere di Giustizia e del popolo fiorentino. Pochi giorni dopo, il 15 ottobre, le due paaarti giunsero ad un accordo per la resa di Pisa: firmatari furono, per i Pisani, Bindo di Bartolomeo delle Brache e per i Fiorentini il Capponi, il Cavalcanti, il Corbinelli e il Castellani. All'ingresso delle truppe nella città il C. ebbe l'incarico di portare le insegne della Parte guelfa.
Dopo l'impresa di Pisa, il C. partecipò nell'ottobre del 1408, con Francesco di Giorgio Canigiani, ad una ambasceria presso il papa Gregorio XII in vista della soluzione della complessa questione dello scisma. Nel 1409 fu eletto tra i Priori di Firenze, per il quartiere di Santa Croce, e fino al 1413, non essendo impegnato in ambascerie, si occupò attivamente della vita politica interna alla città: numerosi sono i suoi interventi nelle consulte della Repubblica fiorentina tra cui quelle del giugno 1409 sulle tasse dei gonfalonieri e quello sulla confederazione con Luigi II d'Angiò; in quest'ultima occasione si dichiararono d'accordo con lui Cristoforo Brandolini, Cappone Capponi, Paolo Carnesecchi e Vanni Castellani suo fratello. Nell'aprile del 1413, con Guidetto di Iacopo Guidetti, il C. venne inviato ambasciatore al papa per cercare una vià di soluzione al conflitto che lo opponeva al re di Napoli, Ladislao di Durazzo, il quale aveva conquistato buona parte dello Stato pontificio. Designato nel novembre di quell'anno come uno degli "arroti" guelfi del quartiere di Santo Spirito, rione del Carro, per la riforma degli uffici cittadini e la formazione dei nuovi "squittini", e dopo essersi recato nel febbraio del 1414 a Venezia con Vieri Guadagni, nel maggio fu inviato a Siena, con Rinaldo degli Albizzi, per incontrarsi congli ambasciatori di re Ladislao: sembra però che questi ultimi non giunsero a Siena poiché nel frattempo si era conclusa la pace tra il papa ed il re napoletano. Nel corso di tali sue missioni il C. dovette farsi particolarmente apprezzare dai Napoletani, tanto che insieme con Lorenzo di Antonio Ridolfi, Palla di Nofri di Palla Strozzi e Benedetto Acciaiuoli, fu creato cavaliere da Giacomo di Borbone durante l'ambasceria svolta presso di lui, il 15 dic. 1415, in occasione del matrimonio dei Borbone con la regina Giovanna II; e nel febbraio successivo la Signoria stabilì di riconoscerlo insieme con gli altri come cavaliere fiorentino. Il 24 luglio 1419 fu inviato presso Braccio da Montone, che era allora in lotta con il pontefice Martino V, per fare un tentativo di mediare tra le parti avverse. Eletto il 28 maggio 1420 ufficiale della Zecca, per sei mesi, per l'arte di Calimala, prese parte in tale veste, il 10 settembre, alla consacrazione della chiesa di S. Maria Novella fatta da Martino V e, pochi giorni dopo, fu incaricato di accompagnare il pontefice, insieme con Rinaldo degli Albizzi, Lorenzo Ridolfi e Palla Strozzi, fino ai confini delloStato senese.
Dall'anno successivo il C. cominciò a occuparsi dei rapporti con il ducato visconteo: la Signoria cercava di ostacolare l'espansionismo milanesenell'Italia centrale e di rafforzarvi la presenza economica e politica di Firenze. Il 19 dic. 1421 il C. fu inviato a Bologna presso il legato papale, cardinale Alfonso Cariglio, per concordare una linea comune al fine di fronteggiare l'azione militare di Filippo Maria Visconti. Nel 1423 la situazione precipitò, e il C. venne sostituito a Bologna da Rinaldo degli Albizzi e, rientrato a Firenze, fu eletto il 25 maggio 1423 uno dei Dieci di balia.
Pochi giorni dopo il C. inviò una lettera a Rinaldo informandolo che la Signoria aveva mandato ad Imola dei rinforzi al fine di proteggere il legato papale dai disordini provocati dal Visconti, e pregandolo di tenerlo al corrente delle decisioni del cardinale. Il 18 sett. 1423 il C. indirizzò ancora una lettera a Rinaldo degli Albizzi che si era spostato a Cesena: lo informava che, nonostante fosse imminente lo scontro tra le forze viscontee e quelle fiorentine, la Signoria non avrebbe potuto inviargli rinforzi in quanto i nemici stavano avvicinandosi ai confini nordoccidentali della Repubblica e c'era urgente necessità di difendere Sarzana, Pisa, Livorno e Piombino, anche per prevenire un pericoloso accerchiamento. L'Albizzi era quindi invitato ad escogitare qualche stratagemma nel campo fiorentino, onde ingannare i nemici sulla reale consistenza delle truppe della Signoria. Il 3 ag. 1424 Rinaldo degli Albizzi e Vieri Guadagni informavano il cardinale Orsini che il C. e Francesco Tornabuoni, commissari al campo di Romagna, dopo la defezione di Niccolò Piccinino, erano riusciti a scampare con 2.000 cavalli alla rotta di Zagonara, dopo lo scontro con il duca di Milano, e a riparare a Castrocaro.
Il 7 ag. 1424 il C. era già rientrato a Firenze, poiché intervenne nelle consulte per i Sei della mercanzia, e nel settembre viene eletto gonfaloniere di Giustizia per il quartiere di Santa Croce. In questo periodo è ancora tra i principali artefici della tregua tra il duca di Milano e la Signoria. Ciò nonostante Firenze temeva più che mai il Visconti e cercava di ottenere l'alleanza di Venezia che, nonostante i pacifici rapporti con Milano, ne temeva un aumento di potenza. Nel luglio del 1425 il C. e Vieri Guadagni furono nominati commissaridell'armata fiorentina che presidiava Porto Pisano; successivamente il C. fu esonerato dall'incarico e in novembre venne inviato come ambasciatore presso Niccolò Piccinino per tentare di riguadagnarlo alla causa fiorentina. All'indomani dellasconfitta di Maclodio (1427) inflitta al Visconti dalla lega (formata da Firenze, Venezia, il duca di Savoia, il marchese di Monferrato e i signori di Ferrara e Mantova), e ottenuta anche grazie alla defezione del Carmagnola, passato ai Veneziani, il C. fu inviato come ambasciatore della Signoria presso. il duca di Milano (dall'ottobre 1428 al febbraio 1429) allo scopo di concludere la pace tra le due parti, come testimoniano le numerose istruzioni inviategli dai Dieci di balia. Ritornato a Firenze intervenne alle consulte, nel giugno del 1429, e fu eletto gonfaloniere di Compagnia. Pochi mesi dopo, il 27 sett. 1429, morì a Firenze e fu sepolto in S. Croce a spese del Comune.
Lasciò un unico figlio, Francesco, dodicenne, nato dal suo matrimonio con Giovanna di Giovanni di Ranieri Peruzzi, sposata nel 1409.
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