CONCINI, Matteo
Nacque nel 1501 a Penna, in comune di Terranuova Bracciolini, nel Valdarno aretino, da Giovan Battista ed Elisabetta Menchi. Di modestissima estrazione sociale (i contemporanei denunciarono ripetutamente le origini contadine della famiglia), fu affidato allo zio paterno Carlo, pievano di Terranuova e in seguito canonico di Arezzo, che ne curò la formazione culturale. Abbracciata la carriera ecclesiastica, il C. ottenne nel 1531, per rinuncia dello zio, la parrocchia di S. Michele Arcangelo delle Ville in Pian di Radice, nella diocesi aretina.
La brillante carriera del fratello più giovane Bartolomeo, entrato al servizio di Cosimo I de' Medici, fu determinante per l'ascesa sociale della famiglia e per gli avanzamenti nella gerarchia ecclesiastica del Concini. Inviato dal duca ad affiancare l'oratore fiorentino Gianfigliazzi durante il lungo conclave seguito alla morte di Paolo IV, Bartolomeo Concini fu tra i principali artefici dell'elezione di Pio IV (dicembre 1559). Certamente quale compenso della sua abile azione diplomatica Bartolomeo ottenne che il C. fosse elevato alla dignità episcopale.
Nel concistoro del 14 febbr. 1560 gli fu assegnata la diocesi toscana di Cortona "cum retentione unius quam maluerit Parochialium, Ecclesiarum per eum obtentarum ad vitam, alterius vero ad sex menses tantum, et cum retentione unius pensionis et unius Cappellae" (Arch. Segr. Vat., Arch. Consist., Acta misc. 19, f. 250r). Il 20 marzo fece prendere possesso della diocesi da un nipote e, ottenutane il 25 marzo l'autorizzazione, il 14 luglio 1560 fu consacrato vescovo nella chiesa di S. Maria del Portico nella diocesi fiorentina. Non è possibile determinare se e quanto risiedesse nella sua diocesi; non dovette però del tutto disinteressarsene come testimonia una sua lettera in cui chiede l'intervento del fratello per risolvere alcuni problemi inerenti al governo della sua Chiesa (D'Addario, 1972, pp. 155 s.).
Tuttavia fu presto sollevato dalla cura pastorale per ottemperare all'ordine di Pio IV che i vescovi si recassero a Trento per partecipare alla terza fase del concilio. Il C. fu tra i primi a giungere nella città conciliare il 5 ott. 1561, accompagnato da sei familiari.
Consapevole che l'indebolimento dell'autorità pontificia ad opera del concilio avrebbe danneggiato gli interessi degli Stati italiani, Cosimo I attraverso i suoi rappresentanti diplomatici cercò di agire sui vescovi toscani perché si allineassero alla politica curiale. Con la sola eccezione di Pietro Carnaiani, vescovo di Fiesole, e di Spinello Benci, vescovo di Montepulciano, l'episcopato toscano accettò le direttive del principe di rendersi "amorevoli verso la S.ta Sede in fatti et in parole" (Jedin, pp. 495 s.). Tuttavia, non sembra che si possa spiegare l'irrilevanza del ruolo svolto dal C. nelle assise tridentine solo con la sottomissione indiscussa alle istruzioni ducali. Si coglie nei suoi rari interventi nei dibattiti conciliari un senso di disagio, che gli doveva derivare dalle modeste origini e dall'inaspettata quanto fulminea ascesa nella gerarchia della Chiesa: "Anceps sum in re tam ardua - dichiarava il 3 sett. 1562 - in mutatione tam magna et qua tot patres et maxima scientia praediti, qui ante me dixerunt, etiam dubitarunt" (Concilium Tridentinum, VIII, p. 859). Partecipò alle discussioni sui capitoli di riforma, sull'eucarestia, sul sacrificio della messa, associandosi di volta in volta alle posizioni di prelati più autorevoli quali Eustachio du Bellay o Didaco Sarmento de Sotomayor o Pietro Antonio di Capua. Solo sulla spinosa questione della concessione del calice ai laici egli si dichiarò contrario ad una decisione affrettata, ritenendo, comunque, che non dovesse essere statuita per decreto, bensì accordata caso per caso e dietro precise garanzie di rispetto dell'ortodossia cattolica. Giudicava, peraltro, che la decisione ultima dovesse essere rimessa nelle mani del pontefice.
Nell'autunno del 1562 il C., che non sembra essersi allontanato da Trento dal momento del suo arrivo, cadde gravemente ammalato. Il 10 novembre un Avviso di Trento dichiarava: "Mons. di Cortona era malato et si diceva di dolore più che altro, et non era senza pericolo" (Jedin, pp. 366 s.). Il 30 nov. 1562l'ambasciatore Giovanni Strozzi comunicava a Cosimo I che "il vescovo Concini, sollevato da una gravissima infermità et ottenuta licentia da' Legati, s'è partito, ma credo si starà qualche settimana a Mantova e poi se ne andrà a Firenze" (D'Addario, 1964, p. 214).
Qualche giorno dopo, il 16 dicembre, la diocesi di Cortona passava "per cessionem" a Girolamo Gaddi, mentre veniva concessa al C. la facoltà di mantenere il titolo di vescovo di Cortona ed una pensione di 1.200 ducati d'oro, di cui 200 sulle entrate della diocesi ed il resto su altri benefici. Le motivazioni di questa rinuncia non sono note. Si può solo congetturare che a indurlo a questo gesto contribuirono la malattia, l'impatto del parroco di campagna con l'ambiente tridentino che aveva dovuto incutergli non poca soggezione, il timore di essere costretto a ritornare al concilio una volta ristabilitosi.
Negli anni seguenti, nonostante l'accresciuto potere del fratello, non gli venne affidato alcun incarico. La sua scelta di una vita tranquilla sembra trovare conferma nella sua frequente presenza a cerimonie religiose.
Morì nel febbraio 1573, il 12 venne sepolto nella cappella del Concini nella chiesa dell'Annunziata di Firenze.
Se il C. dovette al fratello la sua ascesa nella gerarchia della Chiesa, la sua dignità episcopale giovò al prestigio della famiglia. Il 31 ott. 1569, un decreto ducale, che implicitamente accettava la falsificazione della genealogia della famiglia e delle sue origini nobiliari, sanciva che il C., Bartolomeo e il figlio Giovan Battista "et ascendenti loro essere stati, et essere veramente del agnatione et famiglia dei Nobili di Talla gia de i Ss.ri di Catenaia discesi da... Concino di Jacopo, Conte del Castello della Penna" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo, 6411, ff. 616v-617r). Attraverso cariche nell'amministrazione dello Stato e dignità ecclesiastiche, l'oscura famiglia di origine provinciale e contadina, nel giro di un ventennio, si era affermata nel ceto aristocratico fiorentino, fondando una "dinastia" di potenti che rimarrà ai vertici della vita politica fino ai primi anni del Seicento.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Arch. Consist., Acta miscell. 19, ff. 250r, 312v; Arm. XLII, t. 13, f. 130; Arm. XXX, Divers. Camer. 199, ff. 72v-73r; Reg. Vat. 1933, ff. 199r-201v; Arch. di Stato di Firenze, Raccolta Sebregondi, b. 1772, Fam. Concini; Mediceo 6411, ff. 605r-630r, 3971, Ins. I; Mediceo 495bis, f. 1071r; Firenze, Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani, 636, 637; Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Friburgi Br. 1911-1919, II e VIII, ad Indices;A. D'Addario, Il carteggio degli ambasciatori e degli informatori medicei da Trento nella terza fase del Concilio, in Arch. stor. ital., CXXII(1964), p. 214; S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine..., Firenze 1615, p. 149; F. Ugelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, coll. 629-630; D. M. Manni, Osservaz. istor. sopra i sigilli antichi de' secoli bassi, XIV, Firenze 1743, p. 50; G. Richa, Not. istor. delle chiese fiorentine divise ne' suoi quartieri, Firenze 1755, II, p. 286; III, p. 341; L'osservatore fiorentino sugli edifizi della sua patria, V, Firenze 1821, p. 89; E. Repetti, Diz. geogr. fis. stor. della Toscana, IV, Firenze 1841, pp. 96-97, 176; D. Tiribilli Giuliani-L. Passerini, Sommario stor. delle famiglie celebri toscane, I, Firenze 1855, p. 22; H. Jedin, La politica conciliare di Cosimo I, in Riv. stor. ital., LXII (1950), pp. 345-74, 477-96; L. von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1950, p. 18 (erroneamente annovera il C. fra gli oratori fiorentini a Roma al momento del conclave del pontefice Pio IV); I vescovi di Cortona dalla istituz. della diocesi, a cura di G. Mirri, Cortona 1972, pp. 231-236; A. D'Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, pp. 155-156; F. Angiolini-P. Malanima, Problemi della mobilità sociale a Firenze fra la metà del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, in Società e storia, IV (1979), pp. 41-43; U. Mazzone, Sussidi papali e libertà di voto al concilio di Trento (1561-1563), in Cristianesimo nella storia, I (1980), p. 249; C. Eubel-G. Gulik, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 179.