D'AFFLITTO, Matteo
Nacque a Napoli da Marino verso la metà del sec. XV.
I D'Afflitto, che per uno di quei casi di "memoria lunga" sappiamo attestati fin dal sec. X in Scala sulla costiera amalfitana, si inserirono saldamente in quel patriziato nella seconda metà del '200 (Del Treppo-Leone). Commercianti, imprenditori marittimi, prestatori, essi partecipano alla diffusione dei rivieraschi in tutto il Regno. In Napoli alcuni di essi sono residenti già tra il '200 ed il '300 e certo partecipano alla scalata dei seggi nobili, che gli amalfitani compiono insediandosi lungo il '300 in particolare a Nido e Capuana, con l'ostilità frontale delle altre tre piazze partenopee, che, nel 1380 rinfacciavano a questi "originarij Costae Amalfiae" di aver consanguinei, esercenti "artes mechanicas et viles mercenarias" (Coniglio).
Ascritto al seggio di Nido era appunto un ramo dei D'Afflitto, estinto nel primo '400in tal Nicolò, detto Scotto (Giustiniani). Però è certo che il D. ne rivendicò l'appartenenza e che riuscì ad avere sentenza favorevole dei deputati di seggio nel 1502 (Napeli, Bibl. naz., Mss. Branpacc., VI.B.10), pare anzi al 6 di dicembre (Vita anonima ...); ma ha ragione il Giustiniani a, pensare che ne fosse poi espulso: nel 1508 difatti risulta ascritto al seggio del Popolo (Coniglio), anche se i suoi diretti discendenti, baroni di Rocca Gloriosa, riuscirono a farsi reintegrare a Nido nel 1560.
Il ramo cui appartenne il D. inizia con un Coluccio, assai vicino, per quel che se ne disse, a Giovanna I (De Lellis). Tra i suoi figlii Antoriio, che forse non è quello iuris doctor documentato a Padova alla fine del '300 (Gloria), ma l'omonimo giudice in Vicaria, attestato dal Toppi, nello stesso torno d'anni. Da costui discese Michele, primo conte di Trivento, del quale si conservano, dalla fine del '400 al primo '500, molte notizie e la cui massima carica fu quella di luogotenente della Sommaria, che tenne dal 1504 in poi (Toppi). Un altro figlio di Coluccio, Leonardo, ottenne, dopo un cospicuo cursus honorum, la carica di gran cancelliere sotto re Ladislao, rammentata da molti, confermata direttamente dal D. nel commento alle Costituzioni federiciane, dove però lo chiama Riccardo (in Const. i., 71 = 74, Cum circaiustitiae, n. 14). Un terzo figlio, Matteo senior, razionale della Sommaria nel 1409 (Toppi; De Lellis) e regio governatore di Lesina nel 1411 (Sorge), generò Marino - padre del D. - sul quale si hanno rade notizie (inattendibile quella che lo vuole regio consigliere nel 1422), mentre è probabilmente da identificare con l'omonimo razionale della Sommaria nel 1446 e poi dal 1452 al 1457 (Toppi).
Il D. di certo nacque a Napoli, come egli stesso dichiara più volte (con forza in Decisiones, Praefatio, n. 1). L'anno della sua nascita è, invece, controverso e resterà tale in mancanza di documentazione diretta. La letteratura biografica ha sempre compattamente accettato la durata della sua vita, che si protrasse fino all'anno suo, "fere octogesimum", come affermava il suo epitafflo funebre (Giustiniani). Ma per la nascita le varie oscillazioni si fissarono al 1443 senza altro elemento della non documentata asserzione del Chioccarello (e della Vita anonima) che il D. morisse nel 1523. Fu Eustachio D'Afflitto che alla fine del '700 indicò un luogo in cui il suo proavo (in Const. III, 56 = 93, Si quis aliquem, n. 9) si dichiarava di 66 anni nel 154 (in verità 1513, ma con indizione errata) e dunque fissava gli estremi biografici al 1448-1528. Tuttavia in una inedita repetitio feudale del 1520 il D. affermava di avere 70 anni. Per quanto dunque l'esattezza sia inattingibile, si può congetturare che l'area cronologica dal 1447 al 1450 includa realmente l'anno natale del D., seguendone la morte circa 80 anni dopo.
Dell'infanzia e dei primi studi del D. sappiamo pochissimo: solo che il 21 dic. 1460, quando il padre Marino testò e poi ancora in un codicillo del 1464 (G. Filangieri), egli, erede insieme con "i fratelli Giacomo Nardo e Andrea, era chierico: ciò indica un iter naturale di studi per quei figli, destinati a diventare giuristi o almeno "boni grammatici et boni scriptores", com'era desiderato, un po' modestamente, dal loro genitore. Però quell'iter fu vissuto intensamente dal D., le cui cognizioni bibliche, ma anche patristiche e tomistiche, sembrano più sollecite di quelle canonistiche, che hanno in Felino Sandeo la fonte più ricorrente.
Degli studi giuridici sappiamo solo che ebbe a maestro Antonio D'Alessandro (ad es. Dec. 257 n. 4)., la cui figura spicca nettissima nelle Decisioni, il quale ebbe un altro allievo, assai più tardo, nel feudista Iacobuzio de Franchis. Il D. sposò nel 1468in prime nozze, dopo averne l'11 febbraio pattuito la dote (Vita anonima), Orsina Carafa, figlia del giurista Giovanni Antonio (ad es. in Const. III, 17= 20, Quamplurimum, n. 32), del ramo dei conti di Maddaloni. In quello stesso anno, il 22 giugno, come egli stesso precisa nel Commento feudale (Commentaria in Libri feudorum, II, 15 de investitura in maritum, pr. n. 11) si laureò in diritto civile, essendo gran cancelliere Ugo d'Alagno, fratello della celebre Lucrezia; ed "ex intervallo" conseguì la laurea in canonico. Il 1468 è data che non deve sorprendere, ed anche se già nel 1467egli appare, da documenti certi, tra i lettori dello Studio napoletano (Barone), tale incarico si può pensare prescindibile dalla laurea. Naturalmente la notizia che il D. nel 1460 fosse già in Studio è immaginaria ed anzi deriva da un'affrettata interpretazione di quanto dice il Recco (R. Filangieri). Pur non ottenendo mai una cattedra, il D. stesso dice tuttavia nei Preludi al suo commento alle Costituzioni (quaest. 26n. 7) di aver letto per oltre vent'anni; e di sicuro lesse il diritto civile, il regio ed il feudale. Con molte interruzioni, a voler dare per esaustivi i documenti pubblicati dal Cannavale, che però esaustivi non sono, dato che non registrano nulla per gli anni dal 1475 al 1480, quando il D. compose l'opera feudale "legendo usus feudorum stipendiis Regis Ferdinandi primi", come egli stesso afferma (Decisiones, Praefatio, n. 4).
L'opera intrapresa per consiglio degli anziani dello Studio, e senza meno di Antonio D'Alessandro, si basava dunque sulla prima lettera "per ordinem" dei Libri feudorum attivata nello Studio napoletano (Comm. ..., Prooemium, n. 6). Essa è complessa, non priva di incertezze, ma fondamentale; ed ha per essenziale interlocutore l'analogo lavoro di Andrea d'Isernia. La distanza tra le dueopere è valutabile tecnicamente in alcuni argomenti chiave quali la successione feudale (ibid., II, 50 De nat. succ. feudi) o le attribuzioni sovrane (ibid., II, 56 Quaesint regalia) su cui il nuovo clima instaurato dalla monarchia aragonese aveva profondamente influito. È certo che il D. da questo lavoro si attendeva la cattedra, che invece non ebbe. A questo insuccesso più che contribuire, seguì l'ostilità della scuola di Antonio Capece che pure ha nelle sue Decisiones qualche velata punta di ironia verso il D. (cfr. Dec. 103 n. 4).Contemporaneamente all'opera feudale che vi è citata, e dallo stesso impegno universitario deriva la lettura del D. sulla cost. Sancimus (Libri feudorum, V, 13 const. de iure προτιμήσωζ); e dunque anche il torno d'anni è lo stesso. Certo è che il D. era intanto assai assorbito dalla consulenza e dall'avvocatura che nell'opera feudale sono spesso ricordate; ed è l'unica attività che non dismise mai del tutto, probabilmente neanche quando entrò, essendoci compatibilità, negli uffici giudicanti. Egli sfuma in verità questa commistione (Dec. 269 n. 4), ma ne dà tuttavia conferma per un periodo posteriore della sua vita, allorché superate alcune traversie era rientrato in magistratura (in Const. III, 56 cit.). La parentela, la professione, l'insegnamento gli avevano intanto, dato modo di incontrare tutti i maggiori giuristi della prima generazione aragonese: Oliviero Carafa, poi arcivescovo di Napoli e cardinale, Andrea Mariconda, Nicolantonio Delli Monti (stipite dei duchi di Corigliano d'Otranto), Cicco Antonio Guindazzo, Giovannantonio Palmieri e lo stesso Paride Dal Pozzo, che sono ricordati nelle opere con particolare spicco; e poi con amichevole rilievo i suoi 1 coetanei Bernardino Delli Monti (figlio di Nicolantonio), Marcello Gazzella e Giovanluigi Artaldo, le cui carriere nel ministero togato furono, come quella dei D., esposte alle vicissitudini che portarono alla fine del Regno. All'origine della complessa vicenda del D. nei grandi tribunali è da porre non solo Antonio D'Alessandro che da tempo vi copriva le massime cariche, ma anche il rapporto di stima che lo legava ad Alfonso, futuro re, ed all'epoca (alla fine cioè degli anni '80) duca di Calabria. Questi già nel 1488, il 20 settembre, lo aveva invitato, come semplice avvocato, ad esprimere la sua opinione in una controversia nel Regio Consiglio (Archivio di Stato di Napoli, Pandetta Martullo); gli offrì poi la carica, rifiutata, di avvocato dei poveri (in Const. I. 33 = 34 Lege praesenti n. 8). Subito dopo (su questa sequenza c'è accordo generale) fu creato giudice nella Vicaria, come egli stesso attesta (in Const., Prooemium n. 3), e presidente della Sommaria da re Ferrante; si conserva ancora la trascrizione dell'atto di nomina del 6 maggio 1491 (Napoli, Arch. d. Soc. napol. di storia patria, ms. XX. a. 16, pp. 246-48) che ha parole non stereotipe per esaltare la fedeltà del D. alla casa d'Aragona: aspetto, questo, che fu intuito per primo dal Giannone. Alla Sommaria il D. rimase diversi anni, durante i quali è nota soltanto una sua lite giudiziaria, uti privatus, con tal Paolo Surdo nel 1494 (Mazzoleni).
Intanto nel 1495 i Francesi avevano occupato Napoli. Per il D., Carlo VIII è senz'altro un tiranno (Dec. 70 n. 3, 77). In Sommaria, nonostante qualche contraria apparenza (Cassandro), egli si sobbarcò al compito, certo ingrato, di arginare l'ondata di pretese contingenti che lo scacco militare subito dagli Aragonesi poteva ispirare (in Const. Praeludia, quaest. 17, nn. 2-3). Al ritorno degli Aragonesi nel luglio del 1495, il lealismo del D. fu premiato con la promozione al Regio Consiglio, pàre proprio nell'anno stesso (a seguire le liste del Toppi) e non nel 1496, com'è generale affermazione. In quest'organo, primario il D. restò ininterrotamente fino al 1501, assolvendo anche incarichi fiduciari extra ordinem.
L'idea non nuova di raccogliere le Decisiones poté nascere in lui dal fatto che in Consiglio, tanquam itinior, redigeva in scritto le sentenze (Dec. 194n. 1); ma sullo sfondo c'era il forte clima regalistico che le riforme alfonsine avevano creato nel grandi tribunali eche'essi esprimevano tecnicamente con una giurisprudenza tendenzialmente conforme. D'altro canto l'auctoritas della sentenza è dal D. chiamata a sostegno di un'argomentazione giuridica che nonne riprende necessariamente la motivazione; e con lui dunque le Decisiones s'affermano in sostanza come genere letterario, che è stato avvicinato ai Reports inglesi. Ciò fu accentuato dalla scuola di A. Capece, ed in particolare da S. Loffredo (forse da identificare col quidam di Const. I, 79 = 84 Instrumentorum n. 5), che ne screditò la provenienza giudiziaria, con notevole segirito durante buona parte del '500 (T. Grammatico, V. de Franchis, G. de Martino, ecc.) ed.in seguito.
Tuttavia, giunto nel Regno, Luigi XII, il D. fu nel settembre 1501 allontanato dal Consiglio e stornato alla Sommaria, dove però già l'anno prima era comparso (Toppi), e dove rimase per tutto il 1502 e per buona parte del 1503, quando rientrati gli Spagnoli in Napoli con Consalvo di Cordova, fu richiamato in Consiglio il 24 dicembre. Conservò questa carica senza dismettere, a quanto pare, quella di praeses della Sommaria fino al 5 dic. 1506, quando Ferdinando il cattolico lo allontanò di nuovo dagli uffici giudiziari insieme con Giovan Luigi Artaldo e Marino Mastrogiudice (Toppi), che furono però presto reintegrati; ed anzi fu in questo periodo che il D. dovette essere espulso dal seggio di Nido.
Questo è l'episodio più misterioso della sua vita: egli stesso richiamò più volte i suoi "sinistros casus" (Dec. Praef. n. 3) senza nulla chiarire, ed i biografi sono d'accordo che ne fosse causa il "livore degli emoli" (forse pensando agli allievi del Capece) che ne diffamavano la sanità mentale. Solo la Vita anonima afferma che all'origine di tutto fu l'amicizia del D. con Consalvo, che nel Regno aveva contratto grandi debiti e grandi inimicizie. Per vero o falso che sia, certo è che un destino opposto toccò a Marcello Gazzella, grande amico del D., che pose Consalvo sotto processo per debiti e ne sequestrò i beni, ottenendo poi una carriera fortunata. A tal rovescio il D. reagì con una dignità assai evidente nel commento alle Costituzioni.
Proprio in quegli anni, rimasto vedovo, s'era risposato con Diana Carmignano: il maligno Grammatico notava che, "decrepita aetate", il D. "uxorem duxit iuvenculam credens se posse et uxori et iuribus satisfacere; sed deceptus fuit" (quaest. 2 n. 2). Ad ogni modo, siccome il figlio di primo letto, Marino, era sacerdote (Giannone), proprio da Diana il D, ebbe la sua discendenza: tre figli maschi superati i sessant'anni (in Const. III, 22 = 25 Post mortem, n. 22).
Durante la lunga "vacatio", il D. intensificò l'attività di consulente ad altissimo livello, anche se da un suo cenno (in Const. II, 28 = 29, Cum concessiones, n. 6) non è lecito inferire, come fa l'anonimo autore della Vita, che si recasse in Spagna; e ciò vale anche per un'analoga notizia nel Commento feudale (in Libri feudorum I, 8 de feudi succ., v. hoc quoque n. 32). Intanto riguardava le sue opere (Dec. Praef. nn. 3-4), sostenuto dagli amici rimastigli ed in particolare dal cugino Michele, che fu assai sollecito per l'edizione del 1509 delle Decisiones (Manzi). E subito dopo, nel 1510, iniziò il commento al Liber Augustalis che nel 1513 aveva finito.
Anche in quest'opera il D. esprime il suo forte impegno regalistico; ma, portatosi su temi essenziali del diritto pubblico napoletano, mostra l'importanza che ha per lui l'impalcatura medievale della omnis potestas a Deo, con il riconoscimento del primato vicariale del pontefice romano e della sua supremazia feudale nel Regnum, attirandosi nel Terito gli strali di M. Freccia. Queste convinzioni, argomentate da una stretta osservanza bartolistica, spiegano anche la sua ostilità al Valla sulla questione del Constitutum Constantini (D. Maffei). Tuttavia la continuità con l'ispirazione dell'opera feudale, sollecitata anzi dal forte regalismo del testo federiciano, è evidente in ispecie nel commento ad alcune norme essenziali (in Const. I, 47 = 49 Ea quae ad decus; III, 24 = 27 Ut de successionibus).
Dopo sei anni, nel 1512, il D. rientrò in magistratura e precisamente in Vicaria; ma, stando al Toppi, il suo incardinamento nell'ufficio era affidato al beneplacito regio concesso anno per anno. Così fu ancora in Vicaria nel 1513 e nel 1515 (la Vita anonima dice per quattro anni dal 1513). A seguire le liste del Toppi, dal 1512 al 1514 fu anche in Sommaria, dove avrebbe presenziato poi nel biennio 1519-20, nel 1522 e, forse, anche dopo. Ma ormai di riemergere ai vertici del ministero non c'era verso, perché vi avevano influenza i suoi nemici: nel Sacro Regio Consiglio sedeva da tempo, A. Capece, e S. Loffredo aveva ormai iniziato la sua prestigiosa carriera. Però il D. continuava a lavorare ed anche ad insegnare. Alla sua inedita repetitio del 1520 (su Libri feudorum, II, 50 de natura succ. Feudi) fu spinto dallè insistenze "magnificorum studentium huius almi gymnasi"; ma si deve pensare ad un insegnamento privato, più che ad un ritorno in Studio, come, invece per altre vie, affermava il Toppi. Certo è che allo Studio il D. pensava costantemente.
La Vita anonima riporta per la prima volta il suo testamento, riemerso poi col De Lellis e nel '700 col Giannone; ed in esso il D. istituì un fedecommesso sulla sua casa napoletana di fronte alla chiesa "del Gesù del Collegio", e su una sua stanza grande (o forse su un podere) nella villa di Centore in Aversa, nel quale, difettando la sua discendenza maschile, avrebbe dovuto succedere il Collegio giuridico di Napoli, per organizzarvi l'alloggio ed il sostentamento di dieci studenti in iure ogni cinque anni.
Era il 27 di settembre di un anno dal 1520 in poi, che Giannone fissa nel 1523. Ma fu solo verso gli ultimi anni di quel decennio che il D. morì, e fu sepolto nella chiesa di S. Maria di Monteoliveto col ricordato epitaffio apposto dalla moglie.
Opere edite: 1) Commentaria super tribus libris feudorum. A questo libro il D. lavorò dal 1475, quando il 25 luglio terminò la prima parte (in Libri feudorum, I, 27 De feudo dato in vicem, v. quidam obligavit n. 19), al 1480 quando terminò la penultima rubrica (ibid., II, 55 De prohibita feudi alien. per Frid. in v. illud quoque praecipimus n. 22). Il testo fu rivisto e aggiornato dal D. anche in seguito (cfr. ibid. in v. Decimosexto n. 65 in fine, ch'è databile al 1505). La prima edizione conosciuta, ma non la prima in assoluto, è quella veneziana del 1543-47.
2) Tractatus de iure prothomiseos sive de iure congrui. Quest'opera è tradizionalmente dotata (fin dalla Vita anonima) al 1479. Ma ciò è inaccettabile. Nel corpo è difatti attestato come regio consigliere G. B. Bentivoglio (e. III n. 17), il quale dal 1478 al 1481 fu invece in missione fuori dal Regno (Toppi). Il lavoro invece si richiama all'opera feudale (e. IV n. 23), la quale, a sua volta, la ricorda (in Libri feudorum, II, 56 Quae sint regalia, v. vectigalia n. 73): l'arco cronologico della stesura va posto quindi dal 1475 al 1477. La prima edizione è del 1496 (Venetiis, apud Rainaldum de Novimagio). Nel '600fece delle addizioni il giurista napoletano F. Rummo; e nel '700 G. Battista Severino.
3) Decisiones Sacri Regii Consilii Neapolitani. La straordinaria fortuna europea di quest'opera, diffusa anche tra gli studenti (v. De Franchis, Dec. 411 n. 1) e seguita talvolta passo passo da altri decisionisti, anche non benevoli con il D. (cfr. Dec. 86 e T. Grammatico Dec. 90) è attestata dallo straordinario numero di edizioni. Gli antichi bibliografi ne segnarono la prima al 1499; e solo il Giustiniani, tra gli eruditi napoletani, vi fece eco. La descrizione di un esemplare è ora in una emendatio del Reichling allo Hain. Ma questa prima edizione è immaginaria. Del 1509 è l'edizione napoletana del Caneto. Seguirono non meno di 35 altre edizioni, fino all'ultima, la napoletana del 1719. Tra queste sono da computare anche le edizioni che raccoglievano le decisiones di A. Capece e T. Grammatico (la prima è forse la lionese del 1566) e quella che raccolse, oltre questi tre decisionisti, anche G. T. Minadoi (Lugduni 1579). L'opera ebbe molti addentes: il francese R. Fraguier è presente nelle primissime edizioni lionesi. Le addizioni di T. Grammatico furono aggiunte per la prima volta nella lionese del 1552; quelle di C. de Ursillis, le più importanti, nella veneziana del 1556, edite anche da sole. Sempre a Venezia furono edite nel 1600, credo per la prima volta ed autonomamente, i quattro minori annotatori: P. Caravita, G. de Martino, G. A. Pisanelli e M. A. Polverini. A parte il Fraguier, tutti questi addentes cominciarono ad accompagnare ordinatamente le edizioni del D., finché nel 1635 G. Ricci vi fece le sue annotazioni: l'opera fu ancora edita una sola volta a Napoli nel 1719.
4) In utriusque Siciliae Neapolisque Sancuones et Constitutiones novissima Praelectio: in questa dizione, quasi quintilianea, si consolidò il titolo che nella prima edizione (1517: in oppido Tridini... impensis J. de Ferrari, alias de Jolitis), era di Singularis lectura. L'opera, che ad ogni modo non fu letta in Studio come afferma il Toppi, fu portata a termine dal 1510 al 1513 (in Const. III, 56 cit. n. 9) vi fece delle addizioni. alla metà dei '500, G. A. Bazio.
5) Brevis enumeratio eorum privilegiorum quae sibi Fiscus sumit..., in G. Omfalio, De officio et potestate Principis..., Basileae 1550, pp. 113-119. Più che un'opera del D., si tratta di un'elencazione dei privilegi del fisco, il cui nucleo è tratto dai gi privilegi che il D. computava in Libri feudorum, II, 12 De fratribus de novo beneficio, v. Si duo fratres nn. 15-105.
6) Annotationes alle Consuetudines napoletane, nelle varie edizioni di queste. Se ne contano meno di venti, quasi tutte brevi; ma in quattro di queste il D. rinvia alle sue decisiones e se ne può trarre perciò una sommaria datazione. D. A. De Marinis nel '600 pubblicò nelle Iuris allegationes... iurisconsultorum altre ventitré annotationes... ad Glossam Napodani super Consuetudinibus del D. (che si firma "Mazzeus") assai più interessanti, ove pure si citano le decisiones.
7) Un lodo arbitrale del D. datato all'epoca della sua presenza nel Sacro Regio Consiglio fu edito da S. Rovito nei suoi Luculenta Commentaria.
Opere inedite: Nella Biblioteca comunale di Palermo è conservata, in un ms. cinquecentesco (2 Qq.A.10) la repetitio del D. Super c. unico de natura successionis Feudi (Libri feudorum, II, 50) con data del 31 marzo 1520 ed è di ce. 85 numerate. La prima menzione di quest'opera è di A. Romano.
Opere perdute: Il D. cita spesso, e soprattutto nell'opera feudale, i suoi Consilia, chenel '600 erano ancora usati dal Merlino e richiamati da C. De Lellis che ne numerava cinquecento. Inoltre il 1° genn. 1496, in occasione della riunione della testa e del corpo di s. Gennaro il D. ne compose l'"officium translationis" (Const. I, 13 Terminum vitae n. 47; e Const. III, 56, cit., n. 5). li D. ricorda poi, senza dargli titolo, un suo trattato sui "consiliarii regis" (in Const. I, 4 Disputare n. 6) dedicato a re Ferrante, che già nel Chioccarello appare con un titolo lunghissimo, sdoppiato dal Giustiniani in due opere distinte (le ultime due del suo articolo). Infine il D. scrisse sulle Istituzioni ed anche alcune repetitiones sullibro X del Codice che hanno precisa indicazione tanto nella Vita anonima quanto nel Chioccarello.
Opere apocrife e dubbie: il primo ad attribuire una LecturasuperVII Codicis al D. fu il Chioccarello, tratto in inganno dalla Bibliotheca classica di G. Drand il quale, confondendo senza dubbio con Matteo Mattesillani, richiamava la raccolta lionese dei Singularia doctorum curata da G. Sarayna nel 1560, ove appunto era edita la lettura del Mattesillani. Al D. sono, ancora, attribuite dal Giustiniani alcune notae alle Constitunones. Manelle edizioni di queste (ad es. la napoletana del Cervone nel 1773), l'unico elemento che potrebbe richiamare il D. è quel "Matthaeus", con cui sono siglati quasi tutti i sommari premessi ad ogni titolo, e che sono suoi di certo, come già segnalò il Capasso.
Fonti e Bibl.: Sulla vita e la famiglia del D. si ricorda questa documentazione archivistica: Archivio di Stato di Napoli, Libri votorum Sacri Regii Consilii, I, cc. 231r, 239v, 268r-271v; Notamentorum Summariae, 5, c. 68r; 7, c. 4v; Pandetta Martullo, fascio 1, fascicolo 7 di 8 cc. n. n.; Licterarum Partium 752, c. 243rv; Museo 99.B.94; Antichi cavalieri degli aboliti sedili, III, s. v.; A. L. Serra di Gerace, Manoscritti geneal. di famiglie nobili meridionali, III, 896 (che si rifà al De Lellis); Napoli, Bibl. naz., ms. XV. c. 27, in partic. cc. 78r, 84v; Mss. Brancacciani, III.E.6. 48r-63r; Napoli, Bibl. d. Società napol. di storia patria, mss. XX.a.16, pp. 246-48; ms. XX-C-30, p. 218. Sulla famiglia D'Afflitto è diffusa una massa imponente di informazioni in tutta l'erudizione araldica napoletana dal '500 all'800; ma il punto focale di questa produzione è nell'opera di C. De Lellis, Discorsi d. famiglie nobili del Regno di Napoli, III, Napoli 1671, pp. 238-307. Ancora M. Del Treppo-A. Leone, Amalfi medievale, Napoli 1977, pp. 136 n. 81, 271 ss.; 276 s.; Encicl. Ital., XII, s. v. La letteratura biografica sul D. è assai estesa, ma i più importanti interventi sono: Vita anonima di Matteo d'Afflitto (Napoli, Bibl. naz., Mss. Brancacc., - IV.B.7. cc. 107r-114r) ch'è in assoluto la più attenta ricostruzione ed è databile al primo '600; B. Chioccarello, De illustr. scrittoribus qui in civitate et Regno Neapolis ... floruerunt, II (Ibid., ms. XIV.A.28, cc. 77r-80v), i cui rapporti con la Vita anonima sono da indagare; N. Toppi, De origine tribunalium urbis Neapolis, I, Neapoli 1655, pp. 146, 218-27 (qui i nn. 1, 11-30 sono interamente copiati dal Chioccarello), 231 s.; II, ibid. 1659, pp. 55, 82, 243 s.; 400-403; III, ibid. 1666, pp. 12, 92, 94-98. 101 ss.; E. D'Afflitto, Memorie d. scrittori del Regno di Napoli, I, Napoli 1782, pp. 114-25; L. Giustiniani, Memorie istor. d scrittori legali dei Regno di Napoli, I, Napoli 1787, pp. 5-15. Tra gli altri sono da ricordare: P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, IV, Napoli 1770, pp. 425-30; F. De Fortis, Governo politico, Napoli 1755. pp. 53 s.; R. Filangieri, L'età aragonese, in Storia d. univers. di Napoli, Napoli 1924. pp. 174, 180 s. Saggi che s'impegnino sul pensiero del D. non ve ne sono. L'unico lavoro che abbia una qualche possibilità d'interpretazione unitaria è ancora quello di F. D'Andrea, Disputatio an fratres in feuda ..., Neapoli 1694, pp. 46 s.; 67 s. e passim; troppo generico F. E. De Tejada, Nápoles hispanico, I, Madrid 1958, pp. 374-87. Sono però molti gli scritti antichi o recenti che trattano in qualche punto della vita o dell'opera del D.; tra questi: A. Capece, Decisiones Sacrii Regii Consilii Neapol., Lugduni 1555, dec. 104, n. 3, p. 224; T. Grammatico, Decisiones in Sacro Regio Consilio Neapol., Venetiis 1562, quaest. 2 n. 2, c. 260r; S. Rovito, Luculenta commentaria in singulas ... pragmaticas, Neapoli 1718, pp. 401 s.; F. Merlino, Controversiarum forensium, 1, Venetiis 1652, caput VI, n. 26, p. 20; M. Recco, Super privilegio a Ioanna II ... glossa, Neapoli 1655, p. 2; D. A. De Marinis, Iuris allegationes insignium iurisconsultorum, Venetiis 1731, pp. 586-89; G. Draud, Bibliotheca classica, Francofurti 1611, p. 453; G. Sorge, Enucleationes casuum, Neapoli 1757, p. 17; B. Capasso, Sulla storia esterna delle Costituzioni di Federico II, Napoli 1869, pp. 89 ss.; N. Barone, Le cedole di Tesoreria dell'Arch. di Stato di Napoli dall'anno 1460 al 1504, in Arch. stor. per le prov. napol., IX (1884), p. 214; G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle prov. napol., III, Napoli 1885, pp. 363 ss. (in nota); A. Gloria, Monumenti d. univers. di Padova(1318-1405), I, Padova 1888, pp. 159, 565; E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinasc., Torino 1895, ad Ind.; D. Reichling, Appendices ad Hainii-Copingeri, Repert., Monachii 1905, II, p. 115; J. Mazzoleni, Le fonti per la storia aragonese, in Biblion, I (1946-47), p. 301; G. Coniglio, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo V, Napoli 1951, pp. 44 s.; 57 n. 142; G. Cassandro, Vicende storiche d. lettera di cambio, in Boll. d. Arch. stor. del Banco di Napoli, IX-XII (1955), pp. 47 s.; D. Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano 1964, p. 340 n. 51; P. Manzi, La tipografia napoletana nel '500, Firenze 1971, pp. 141 s.; A. Romano, Giuristi siciliani dell'età aragonese, Milano 1979, p. 165; G. Vallone, Croce Gramsci e la provincia pensante, Lecce 1985, ad Indicem.