MATTEO D'AFFLITTO
Nacque a Napoli, com'egli stesso dichiara più volte nelle sue opere, da Marino, di celebre famiglia originaria di Scala, sulla costiera amalfitana. Il ramo cui appartenne M. è presente in Napoli dal primo Quattrocento con una serie di alti magistrati ed ufficiali della Corona, tra i quali quel Leonardo che fu gran cancelliere di re Ladislao (Decisiones 245, nr. 6). Quanto all'anno di nascita, calcoli prudenziali lo restringono tra il 1447 e il 1450 (Vallone, D'Afflitto, 1985); altre congetture, fondate su testimonianze dirette o indirette (Commentaria super tribus libris feudorum, 1531, dedica iniziale; Grammatico, 1562, p. 90v; Maffei, 1992) difettano di base databile certa.
Dell'infanzia e dei primi studi sappiamo pochissimo: il testamento del padre (1460) e poi ancora un codicillo del 1464 lo dicono chierico, mentre negli studi giuridici ebbe a maestro Antonio d'Alessandro. Sposò nel 1468 Orsina Carafa, figlia del canonista Giovanni Antonio; in quello stesso anno, il 22 giugno, si laureò in diritto civile e, ex intervallo, anche in diritto canonico (Vallone, D'Afflitto, 1985); il privilegio dottorale sembra datare al 29 giugno (De Marinis, 1904). Già prima della laurea, nel 1467, fu tra i lettori dello Studio napoletano, secondo un uso non infrequente. Poi, il 20 settembre 1469, un documento lo indica in partenza per San Germano "accedentem pro officiali" (Napoli, Archivio di Stato, Museo, 99A22, c. 22r). È il primo passo dell'insigne carriera di M. nell'apparato della monarchia aragonese. Pur non ottenendo mai una cattedra, egli stesso afferma di aver letto in Studio per oltre vent'anni, e di sicuro lesse il diritto civile, il regio ed il feudale. Anzi tra il 1475 e il 1480 compose il suo commento feudistico (poi integrato con aggiunte) mentre leggeva 'feudi' a stipendio regio: fu la prima lettura dei Libri feudorum (v.) 'per ordinem' che si tenesse nello Studio napoletano, ma fu accolta con ostilità in specie dai feudisti della scuola di Antonio Capece (Sigismondo Loffredo, Bartolomeo Camerario) che usavano copie manoscritte o forse le prime edizioni a stampa (Lione, Giunta, 1529; Napoli 1531, senza escludere una possibile princeps anteriore). Fu d'Andrea a ristabilire l'esatta grandezza di M. feudista. Contemporaneamente all'opera feudale, che vi è citata, e dallo stesso impegno di Studio, deriva (con data tra il 1475 e il 1477) la lettura sulla cost. Sancimus (Libri Feudorum V, 13 della redazione cuiaciana) che è il primo degli interessi per la legislazione federiciana di M. (Tractatus de iure prothomiseos, 1496).
Si tratta del commento a una norma che, fino alla sconfessione di Pietro Giannone, fu ritenuta dai giuristi meridionali l'ultima tra le Extravagantes di Federico II, accogliendola in fine delle raccolte anche a stampa dei capitoli angioini, fino all'ultima del 1773. Attribuita a Romano Lacapeno o a Costantino Porfirogenito, è ad ogni modo probabile che proprio Federico II decidesse di farla tradurre in latino per diffonderne l'osservanza (Schupfer, 1890). Il testo di M. fu preferito anche all'edizione di Georg Heinrich Pertz nei M.G.H. (Cortese, 1985). La norma, ritenuta correctoria del diritto comune, viene estesa da M., con matura coscienza di pratico e con fine didattico trasparente nel metodo questionale, a diversi ambiti tematici, salvo casi di 'repugnante materia' o di disciplina ritenuta poziore, come la feudistica.
Nel frattempo M. esercitava intensamente l'avvocatura e la consulenza, che non dismise mai; è forse a questa sua fama che si deve il rapporto col futuro re Alfonso d'Aragona, che il 20 settembre 1488 lo invitò a pronunciarsi, semplice avvocato, nel Sacro Regio Consiglio (Napoli, Archivio di Stato, Libri votorum, c. 231r); ma, a quanto pare, Alfonso lo volle, nello stesso anno, consulente per i patti dotali tra sua figlia Isabella e Gian Galeazzo Visconti (De Stefano, 1979). Quindi, il 20 agosto 1489 fu nominato giudice della Gran Corte della Vicaria (Napoli, Archivio di Stato, Museo, 99A9, c. 145r; Regesto, 1951). Poi il 6 maggio 1491 fu creato anche presidente della Gran Camera della Sommaria, dove rimase diversi anni. Nel 1495, con l'occupazione francese, M. rimase in Sommaria, ma serbando integra la sua fede per la casa d'Aragona, e appena recuperato il trono, nel luglio 1495, re Ferrandino lo nominò nel prestigioso Sacro Regio Consiglio, dove rimase a lungo.
Qui nacque la celebre raccolta di DecisionesSacri Regii Consilii Neapolitani (1509) alla quale forse M. pensava da quando, in Studio, tanquam iunior, redasse in scritto una sentenza arbitrale (Vallone, D'Afflitto, 1985). Sappiamo che l'11 novembre 1449 re Federico tentò di fargli conferire l'episcopato di Muro (De Marinis, 1904): è notizia che, scartate le omonimie, fa piuttosto pensare a un suo stato vedovile. Dalla defunta moglie ebbe diverse figlie e due maschi, Gian Geronimo e Lucantonio, morti entrambi prima del padre (d'Engenio, 1624), mentre un terzo, Marino, sacerdote, nel 1499 coadiutor d'un vescovo (Napoli, Archivio di Stato, C. De Lellis, IV bis, pp. 1535, 1537) e poi canonico della cattedrale di Napoli, gli sopravvisse. Giunto nel Regno Luigi XII, M. nel settembre 1501 fu allontanato dal Consiglio, rimanendo tuttavia in Sommaria, finché con l'avvento degli spagnoli fu richiamato nella corte suprema, dov'è presente già il 19 dicembre 1503 (Vallone, D'Afflitto, 1985). Qualche tempo prima, forse il 6 dicembre 1502, era riuscito a farsi ascrivere al seggio nobile di Nido, dove però forse già sedeva il 7 aprile 1501 (Barone, 1890). È forse in quel torno d'anni che pose fine allo stato vedovile sposando Diana Carmignano, la "iuvenculam" del maldicente Tommaso Grammatico; e anzi il fedecommesso del 6 gennaio 1505, gravante fors'anche su beni d'una sua privata lite aversana del 1503 (Napoli, Archivio di Stato, Licterarum Partium, LIII, cc. 39v-40r) e a pro di Lucantonio, figlio di primo letto (de Lellis, 1671), indica forse la prossimità del nuovo matrimonio dal quale nacquero tre figli maschi ‒ Eustachio e Geronimo morti in età pupillare verso il 1528, ma dopo il padre, e Giovanni Antonio, capostipite dei baroni di Rocca Gloriosa ‒ e tre figlie (se non sono di primo letto): Beatrice e poi Vittoria ed Ersilia, che M. nel suo testamento voleva dotare, per il secolo e per il chiostro, col frutto ricavato dai suoi libri "impressis et imprimendis" (Ragioni, 1714).
Inizia, tuttavia, il declino: il 5 dicembre 1506 (Napoli, Archivio di Stato, Regesta votorum, nr. 350, c. 451v) Ferdinando il Cattolico lo allontanò dagli uffici giudiziari, forse per la sua amicizia con Consalvo di Cordova; e forse in questo periodo fu anche espulso dal seggio di Nido (Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. XV. D. 3, cc. 2r, 4r). Per certo, nel 1508 non è censito né in quello né in altri seggi (Simancas, Archivo General, Estado, legajo 1003, nr. 51). Ai dolori, M. rispose con le opere: nel 1509 fu pubblicata col soccorso del cugino Michele, altro grande magistrato, la prima edizione delle Decisiones (Vallone, D'Afflitto, 1985). Quindi il commento al Liber Augustalis di Federico II, che M. iniziò nel 1510 e terminò nel 1514 (In utriusque Siciliae Neapolisque Sanctiones et Constitutiones novissima Praelectio, 1517).
Questo scritto è il punto di contatto più alto di M. con Federico II, ed è opera di commento destinata a soppiantare le precedenti e le successive: tra queste quella di Pietro Follerio (Commentaria primae partis super constitutionibus, capitulis,pragmaticis et ritibus Regni, Neapoli 1568) che, in realtà, varia molto la pianta sistematica federiciana, facendone pretesto per la convergenza di tutte le norme regnicole (de novo Federici codice componendo); e poi l'altra di Giovanni Paolo Balzarano, che a ogni passo deve fare i conti con M. giurista e che perciò, ridotta anzitutto alle spiegazioni letterali, interviene talvolta anche sullo stato del testo (Commentaria ad Constitutiones utriusque Siciliae, Neapoli 1620, p. 318). Il commento di M., per d'Andrea "opus magnum", è in realtà l'ultima grande voce del regalismo guelfo di tradizione angioina e d'innesto aragonese, esposta qui nelle ventisei quaestiones dei Praeludia. L'indiscussa supremazia feudale del pontefice sul Regno svincola però questo dalla soggezione imperiale, col filtro dell'antica teorica rex in regno suo est imperator. È qui l'incontro con la figura di Federico, e subito nella prima quaestio si dubita se egli, che fu scomunicato e deposto, potesse far leggi. La risposta è positiva solo perché alla data delle Constitutiones melfitane Federico non era scomunicato; e sarà pur risposta consueta, ma tutto lo spessore del guelfismo di M., del quale farà le spese anche Dante (Vallone, 1987), è nel suo commento alla Const. III, 29, Praedecessorum, che egli introduce senza esitare: "haec constitutio nihil valet, quia imperator non potuit contra libertatem ecclesiae […] prohibere". La posizione della norma nell'ordo serve anche a rilevare che M. seguiva nel suo commento l'editio princeps federiciana del 1475, o forse l'altra del 1506 (Zecchino, 1980), collazionandola però con manoscritti (Capasso, 1869) ai quali, per il suo non ignoto gusto antiquario (Vallone, Croce, 1985), egli ha sottratto, conservandocela, la federiciana Etsi generalis curia (rub. I, 41, nrr. 7-9) ch'egli rimpiange come progetto costituzionale. Lo sapeva già Carlo Pecchia. Il guelfo M. trattiene però, dell'antico spirito federiciano, il valore volontaristico della lex regia, che incarna il polo moderno e regalistico del suo pensiero, e getta, nell'esaltazione dei grandi tribunali napoletani, il seme della futura ideologia togata (Vallone, 1992). Da qui deriva, per sviluppo naturale, la vena antifeudale di M., che con maestra sapienza feudistica tenta in margine ad alcune norme capitali (Const. I, 49, Ea quae; anche Const. I, 43, Capitaneorum, ecc.) un baluardo teorico alla proliferazione delle giurisdizioni feudali, mentre la Const. III, 25, Post mortem, di forgia federiciana, con altre, del feudo quaternato (v.), esprime ormai attempate posizioni dottrinali, manifesto un tempo del centralismo del pensiero regio e della sua prima esegesi, sommerso poi dalla prorompente avanzata dei poteri feudali. Sono tratti da quest'opera di M. quasi tutti i sommari premessi ai titoli del Liber Augustalis nelle edizioni a stampa usuali. Di un plagio di Barthélemy Chassneux ai danni di M. parlò già Jacob Spiegel.
Per il resto sopravvive, di questi anni, traccia d'una sua lite privata nella quale ebbe come avvocato avverso Gian Angelo Pisanelli (Vallone, D'Afflitto, 1985); e sarà opportuno aggiungere qui, alle sue diverse opere minori o perdute, il ricordo almeno d'una sua probabile repetitio di Digestum 41, 1, 62 (da Const. I, 62. 2, Magistri Camerarii) e il rinvenimento dei casus baiulationis attribuiti a lui e a Coluccio Coppola (Maffei, 1987). Nel 1512, dopo sei anni, M. rientrò in magistratura, e precisamente in Vicaria, dove fu ancora nel 1513 e nel 1515; ma la via del Consiglio gli era ormai preclusa. Fu, invece, in Sommaria dal 1512 al 1514, nel 1519-1520, nel 1522 e forse anche dopo. Redasse il suo testamento (noto per cenni nell'antiquaria e poi a Camillo Minieri Riccio) nel 1523 (si voleva al 27 o al 25 settembre) ma lo si può leggere per brani diretti in una rara allegazione settecentesca (Ragioni, 1714). M. istituì sulla sua casa napoletana presso il monastero dei SS. Festo e Desiderio (al quartiere di Nido) e sulla grande masseria di Centore (detta la 'Starza grande'), nell'Aversano, un fedecommesso rigidamente mascolino a pro dei suoi discendenti. In difetto di questi sarebbe subentrato il priore del collegio dei dottori dello Studio napoletano per organizzare in perpetuo l'alloggio (in casa) e il sostentamento di dieci studenti in iure ogni cinque anni.
In difetto del collegio erano istituiti, allo stesso fine, cinque nobili del seggio di Nido. Le Ragioni affermano anche che M. morì proprio in quel 1523. Questo, però, è discutibile: l'edizione del 1531 del Commento feudale ha una dedica non datata al papa Clemente VII (incoronato il 26 novembre 1523), e in essa M. si chiede a chi obbedire nel conflitto tra papa e imperatore; il vecchio guelfo non ha dubbi (e non li ha nella Napoli spagnola), ma la pagina sembra ispirata nell'occasione della Lega santa (22 maggio 1526). Ad ogni modo, quando, nell'aprile 1528, il visconte di Lautrec assediò Napoli, M. era morto da tempo.
Fonti e Bibl.: sulla vita e il pensiero di M. v. questa documentazione archivistica: Simancas, Archivo General, Estado, legajo 1003 nr. 51 (M. è il primo dei dottori napoletani); Napoli, Archivio di Stato, C. De Lellis. Notamenta, vol. IV bis, pp. 1535, 1537; Libri votorum Sacri Regii Consilii, I, Sentenze, c. 231r; Licterarum Partium, LIII, cc. 39v-40r; Museo, 99A9, c. 145r; 99A22, c. 22r; Regesta votorum Sacri Regii Consilii, nr. 350, c. 451v; ivi, Biblioteca Nazionale, ms. XII. B. 62 (postille di C. Minieri Riccio a E. D'Afflitto, vol. I), post p. 124; ms. XV. C. 27, in partic. cc. 78r, 84v; ms. XV. D. 3, cc. 2r, 4r; ms. Brancacciano III. E. 6, cc. 48r-63r; ms. Brancacciano VI. B. 10, cc. 58r-73v, in partic. c. 65r (tutti sull'aggregazione a Nido). Sull'opera di M. e i nodi biografici ad essa legati: J. Spiegel, Lexicon iuris civilis, Lugduni 1545, col. 711; T. Grammatico, In constitutionibus […] apostillae, Venetiis 1562, p. 90v; Id., Consilia et vota […], Lugduni 1566, cons. civ. 6, nr. 6; C. d'Engenio, Napoli Sacra, Napoli 1624, p. 306; C. de Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, III, ivi 1671, pp. 269, 271, 280, 298; F. d'Andrea, Disputatio an fratres in feuda […], ivi 1694, p. 47; Ragioni pe'l Sig. D. Francesco d'Afflitto e Signori suoi figli co' possessori della massaria sita a Centore, s.n.t. [ma 1714]; C. Pecchia, Storia civile e politica del Regno di Napoli, III, Napoli 1783, pp. 75-77; B. Capasso, Sulla storia esterna delle costituzioni del Regno di Sicilia promulgate da Federico II: memoria, ivi 1869, pp. 25, 91 (estr.); A. Rinaldi, Il comune e la provincia nella storia del diritto italiano, ivi 1881, pp. 227-228; N. Barone, Notizie storiche raccolte dai registri 'Curiae' della Cancelleria aragonese, "Archivio Storico delle Provincie Napoletane", 15, 1890, p. 717; F. Schupfer, Romano Lacapeno e Federico IIa proposito della πϱοτίμησιϚ, "Atti della Reale Accademia dei Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche", 8, 1890, pp. 260-261; T. De Marinis, Nuovi documenti per la storia dello Studio di Napoli nel Rinascimento, Firenze 1904, p. 9; E. Gentile, La 'curia generale' del regno di Carlo I d'Angiò, Roma 1917, pp. 5, 16-18 (estr.); Regesto della cancelleria aragonese di Napoli, a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1951, p. 83; P. Colliva, Lo Stato di Federico II, "Annali di Storia del Diritto", 10-11, 1966-1967, p. 33 n. 49; F.P. De Stefano, Romani, longobardi e normanno-franchi della Puglia nei secoli XV-XVII: ricerche sui rapporti patrimoniali fra coniugi fino alla prammatica 'De antefato' del 1617, I, Napoli 1979, pp. 652-657; O. Zecchino, Le Assise di Ruggiero II. Problemi di storia delle fonti, ivi 1980, p. 21; E. Cortese, Sulla scienza giuridica a Napoli tra Quattro e Cinquecento, in Scuole, diritto e società nel Mezzogiorno medievale d'Italia, a cura di M. Bellomo, I, Catania 1985, pp. 68-69; G. Vallone, Croce, Gramsci e la provincia pensante, Lecce 1985, ad indicem; Id., D'Afflitto, Matteo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXI, Roma 1985, pp. 652-657; Id., Iurisdictio domini. Introduzione a Matteo D'Afflitto ed alla cultura giuridica meridionale tra Quattro e Cinquecento, Lecce 1985, pp. 139-160 e passim; D. Maffei, Prospero Rendella giureconsulto e storiografo, Monopoli 1987, pp. 50-51; A. Vallone, Le citazioni dantesche negli scrittori legali, in Letture classensi, Ravenna 1987, pp. 13-14; G. Vallone, Le Decisiones di Matteo d'Afflitto, Lecce 1988, pp. 20-22 e n., 133 ss.; D. Maffei, Di un inedito 'modo in iure studendi' di Diomede Mariconda. Con notizie su altre opere e lo Studio di Napoli nel Quattrocento, "Rivista Internazionale di Diritto Comune", 2, 1992, p. 8 n. 2; G. Vallone, Il pensiero giuridico meridionale, in Storia del Mezzogiorno, X, Napoli 1992, pp. 10-11 (estr.); Id., Evoluzione giuridica della feudalità, ibid., IX, ivi 1993, pp. 97-98.