DANDOLO, Matteo
Nacque a Venezia il 15 luglio 1741 dal patrizio Andrea, del ramo di S. Zanipolo (SS. Giovanni e Paolo), e da Lavinia Lanfranchi, una "cittadina originaria" appartenente ad una famiglia dell'ordine dei segretari.
Anche un fratello di Andrea, Enrico, aveva sposato una "cittadina", Elisabetta Algarotti, sorella di Francesco: è probabile che queste alleanze matrimoniali avessero quale obiettivo principale un sensibile incremento delle fortune di una casa, che doveva fare assegnamento, di regola, sui magri "sacchetti", che i Dandolo S. Zanipolo ricevevano in quanto membri delle Quarantie, le magistrature giudiziarie inferiori della Repubblica. In ogni caso a metà Settecento essi avevano raggiunto una relativa agiatezza (possedevano anche una villa a San Bruson, nei pressi di Dolo): Giacomo Nani li assegnava alla terza delle cinque classi, tra le quali aveva suddiviso il patriziato in base alle "varie situazioni e ricchezze".
Il D. si affacciò alla ribalta della repubblica delle lettere traducendo dal francese, in collaborazione con il fratello Arduino, gli Elementi generali delle principali parti delle matematiche dell'abate Deidier (3 voll., Venezia 1761-62). Il D. offrì un saggio assai più significativo delle proprie doti di volgarizzatore nel 1767, quando tradusse e fece pubblicare presso G. M. Bassaglia e L. Pavini un'edizione bilingue, in due volumi, dei Political Essays on Commerce di David Hume. I Saggi di Hume ottennero un notevole rilievo: l'"utile fatica" del D. fu presentata da Francesco Griselini nel Giornale d'Italia quale un "nobile esempio d'amore patriottico". Quando nel 1771 si diffuse la notizia che a Venezia si stava stampando un'edizione delle Meditazioni sull'economia politica di Pietro Verri "con annotazioni", Alessandro Verri avanzò l'ipotesi che l'autore delle note (che in realtà era Gian Rinaldo Carli) fosse il "nobile veneziano", che aveva "tradotti dall'inglese i Saggi sul commercio di Hume".
La raccolta degli scritti economici del filosofo inglese, con il quale il D. entrò anche in rapporti epistolari, era dedicata ad Alvise Emo, il figlio maggiore di quel procuratore di S. Marco, Zuanne, che era stato nei decenni precedenti il più potente portavoce della media e piccola nobiltà veneziana. Alvise Emo non solo aveva cercato di continuare la linea politica del padre, morto nel 1760,ma l'aveva anche accoppiata ad una certa apertura nei confronti della cultura illuministica. Sul fronte della politica veneziana i Saggi di Hume indicavano pertanto le simpatie del D. per il "radicalismo" politico-culturale degli Emo, un "radicalismo" che nel caso del D. trovava nuovo humus nell'appartenenza alle Quarantie (nelle quali anche il D. avrebbe fatto il proprio ingresso nel 1773), un'istituzione che tradizionalmente canalizzava il dissenso contro i "grandi", e nei legami familiari con la Venezia "borghese". Nella dedica ad Emo il D. auspicava un'alleanza tra i "proprietari di fondi", vale a dire il patriziato, e i "mercadanti", in vista di un rilancio della grande tradizione commerciale e marittima della Repubblica marciana.
Nel 1769 l'editore G. M. Bassaglia stampò i Pensierid'illustre filosofo moderno: come avrebbe rivelato il Journal encyclopédique di Bouillon, il filosofo, di cui si taceva pudicamente il nome, era Rousseau e si trattava della "traduction d'un ouvrage" apparso qualche anno prima in Francia "sous le même titre". Chi aveva "trasportato in Italiano" - come segnalò Domenico Caminer nell'Europaletteraria - "questi Pensieri, ma solo però dopo maturo esame, esatto riscontro e saggi riflessi", vale a dire con tutte le cautele del caso, era stato il D., il quale aveva accentuato il frammentarismo dell'antologia francese, mondandola nello stesso tempo delle spigolosità, che potevano urtare la censura veneziana. Un'operazione che finiva per banalizzare il pensiero russoviano, rivestendolo di un'opaca patina moralistica. Nel 1771 fu recitata al S. Giovanni Grisostomo una tragedia del D., il Tito Manlio, "conmolto applauso". Due episodi che consolidarono la sua fama di "studioso delle belle lettere e delle lingue" (G. P. Gasperi), ma che passano in secondo piano di fronte all'ambizioso progetto di una silloge dei più significativi articoli dell'Encyclopédie.
Dell'opera, prevista in almeno sei volumi e intitolata Lo Spirito dell'Enciclopedia raccolto dal celebre Dizionario enciclopedico e di note illustrato da M. Dandolo, apparvero i primi due tomi, editi da G. F. Garbo e relativi alla lettera A, nel 1771 e nel 1774 (furono ristampati nel 1777). Il D. considerava l'Encyclopédie "lapiù ricca e più pregevole produzione della letteratura di questo secolo, o per meglio dire della tanto sospirata concatenazione delle più profonde cognizioni di ciascuna età e nazione": la selezione operata dal patrizio - suggerita da un Esprit de l'Encyclopédie apparso nel 1768 a Ginevra - privilegiava l'enciclopedia rispetto al dizionario, la "concatenazione delle cognizioni" rispetto alle informazioni tecniche. Le note dovevano consentire l'innesto dei contributi degli enciclopedisti nel tronco della cultura veneziana: un obiettivo politico-culturale perseguito dal D. prendendo sì le debite distanze dagli spunti eterodossi presenti nel "celebre Dizionario", ma anche cercando di dare un avallo prestigioso alle idee, che circolavano negli ambienti e nei gruppi, a cui aderiva e in cui si riconosceva.
Il D. apparteneva in quegli anni alla loggia massonica "L'Union", fondata nel 1772 dal segretario Pietro Antonio Gratarol. Nella loggia si ritrovano molti "cittadini" veneziani e qualche patrizio delle Quarantie: per un certo verso l'affiliazione massonica consentiva al D. di proseguire in una linea "borghese", che era testimoniata anche da alcune note dello Spirito dell'Enciclopedia. Ma negli anni 1770 egli s'impegnò soprattutto nella battaglia, condotta in qualità di uno dei capi delle Quarantie, contro l'oligarchia che governava la Repubblica: si distinse, infatti, come "uno dei più fidi e costanti Parziali" di Zorzi Pisani, il leader dell'opposizione. Contribuì alla "congiura" dei pisaneschi anche redigendo o, in ogni caso, "arrangiando" le Riflessioni filosofico-politiche sull'antica Democrazia Romana precettrice di tutte le Nazioni Libere, ad uso del Popolo Inglese, uno scritto apparso nella primavera del 1780, nel momento culminante dell'offensiva contro i "grandi", presso C. Palese. Le Riflessioni, autore delle quali figurava un parente del D., Luigi Gonzaga di Castiglione (la sorella di questo, Laura, aveva sposato nel 1776 Arduino, fratello del D.), contenevano un duro attacco, dietro lo schermo "romano", contro il "dispotismo oligarchico" e le "smodate ricchezze" delle grandi case del patriziato.
Quando il regime veneziano intervenne duramente contro i capi dell'opposizione, il D. fu relegato per otto mesi a San Bruson. Ritornato a Venezia, riprese il suo posto nelle Quarantie, conservandolo, salvo i diciotto mesi trascorsi a Capodistria nel 1787-88 in qualità di rettore, fino alla caduta della Repubblica. Nel 1796 frequentò il circolo "giacobino" degli Spada: fu questo, probabilmente, l'estremo tentativo di realizzare il progetto di una riforma "democratica" del regime fondata su un valido compromesso tra le strutture tradizionali della Repubblica e la "sana filosofia" dei lumi. Le vicende del 1797 dimostrarono l'irrimediabile arcaicità di tale programma. Il D. preferì allora abbandonare la scena politica, rifugiandosi nel ruolo dell'erudito. Rivendicò, in ogni caso, la correttezza della propria linea in una dissertazione, che premise al terzo tomo di un Caio Crispo Sallustio volgarizzato, che pubblicò a Venezia nel 1802. Negli ultimi anni della sua vita egli ripiegò su posizioni sempre più conservatrici, come dimostrano le erudite dissertazioni che presentò all'Accademia dei Filareti e un Passatempo filosofico-morale. Il D. morì a Venezia nel gennaio 1812.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Correr 1312-13: Passatempo filosofico-morale; Ibid., Cod. Cicogna 890: Dissert. sopra Carlo Magno; Ibid., Cod. Cicogna 2998: lett. del 31 luglio 1804 a Giovanni Rossi e altri docum. sulla partecipazione del D. alla Letteraria Veneta Accademia; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss., It.,cl. XI, 423-24 (= 12138-39) (50): Il diritto feudale e la feudalità; Ibid., (57): Sopra i testamenti; Ibid., (79): Sull'invenzione della stampa e su suoi effetti;Padova, Biblioteca universitaria, ms. 94: G. Nani, Saggio politico del corpo aristocratico…, f.II;Ibid., ms. 137/1: G. P. Gasperi, Catalogo della Biblioteca veneta, cc. 247-48; G. Pisani, Vita processi e pensieri, Ferrara 1798, pp. 166, 183, 208; G. A. Moschini. Della letter. venez. del sec. XVIII…, II, Venezia 1806, pp. 269 ss.; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia…, Venezia 1855-57, I, pp. 99 s.; II, p. 652 n. 3; E. Vecchiato, Giorgio Pisani…, Padova 1890, pp. 10, 15, 32; C. Grimaldo, Giorgio Pisani..., Venezia 1907, pp. 44, 114, 154, 168, 175, 178 n. 2; Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri, a cura di F. Novati - E. Greppi - A. Giulini, IV, Milano 1919, p. 234 (A. Verri a P. Verri, Roma, 17 ag. 1771); M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Firenze 1956, pp. 191, 267 s.; S. Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia…, Torino 1961, p. 320; R. Grimsley-D. D. Ronco, Corrispondenti italiani di David Hume, in Studi sull'illuminismo…, Firenze 1966, pp. 145 s.; P. Del Negro, Il mito americano nella Venezia del Settecento, in Atti d. Acc. naz. dei Lincei, classe d. scienze morali, CCCLXXII (1975), pp. 538-44; F. Venturi, Venezia nel secondo Settecento, Torino 1980, pp. 138 ss., 172, 226 s., 233; C. von Wurzbach, Biogr. Lexikon des Kais. Oesterreich, III, p. 145.