DE AUGUSTINIS, Matteo
Nacque a Felitto (nella provincia di Salerno) da Domenico e da Angela Migliaccio il 15 aprile del 1799, come riferiscono i suoi contemporanei Moreno e De Sterlich: sono quindi inesatte le date 15 apr. 1797 (Parente) e 11 ag. 1797 (Simioni). Di famiglia borghese, verso i dieci anni si trasferì a Napoli presso lo zio paterno Nicola, pubblico funzionario, e qui studiò diritto ed economia politica.
Nel 1820 iniziò ad esercitare la professione forense, proseguita poi con successo per molti anni. Non vi sono notizie di una sua partecipazione al movimento rivoluzionario del 1820-21, mentre appare dubbia la collaborazione - riferita dal Simioni - al giornale liberale La Minerva napolitana, uscito in quel periodo, che pubblicava solo articoli anonimi. Sicuramente, però, gli avvenimenti rivoluzionari costituirono un'importante esperienza e il loro fallimento, accanto al successivo sviluppo economico del Regno, consolidò nel D. idee politiche di stampo liberalmoderato, fatte di progresso nella continuità e nel rispetto della tradizione, attuato perciò mediante una graduale e pacifica evoluzione. Queste idee troveranno il loro naturale sbocco dopo il 1830, nell'adesione alla svolta riformistica attuata dal giovane re Ferdinando II e, dopo l'interruzione di tale politica, nel sempre crescente impegno, come pubblicista, politico ed economista, a favore di un ampio e graduale processo di modernizzazione e di sviluppo economico dello Stato meridionale.
La prima opera del D. fu il Trattato delle servittifondiarie (I-II,Napoli 1830), un accurato lavoro di critica alla legislazione fondiaria del tempo di cui venivano denunciati il carattere feudale e l'influenza negativa sullo sviluppo economico.
Successivamente, nell'ambito del risveglio civile e intellettuale diffusosi a Napoli sotto la spinta delle prime riforme di Ferdinando II e della diffusione di riviste come l'Antologia e gli Annali universali di statistica, sollecitato dal ministro delle finanze G. D'Andrea, il D. partecipò al dibattito sul Tavoliere di Puglia. Egli si pose chiaramente dalla parte dei fautori dell'affrancamento e del dissodamento di quelle terre, in linea con altri economisti coevi come il Della Valle e il Savarese e in aperta ed aspra polemica con le posizioni del Longo e dell'Afan de Rivera. Il suo primo scritto sull'argomento fu IlTavoliere di Puglia esaminato nelle sue leggi costitutive e sul rapporto dell'affrancazione ed alienazione delle sue terre (Napoli 1832).
In esso il D. chiedeva al governo sgravi fiscali, misure di credito agrario e altri provvedimenti di politica economica atti a favorire le colture intensive, il progresso sociale di piccoli e medi proprietari, latrasformazione della pastorizia trrante in stanziale. In definitiva, in questo come in due successivi opuscoli, meno ampi e articolati ma sempre molto efficaci per vena polemica e chiarezza di vedute, cercava di ottenere dal governo e dal re interventi atti a rimuovere gli ostacoli e a promuovere l'iniziativa privata e capitalistica, nell'ambito di una certa libertà economica. Tale posizione spinse il D. ad occuparsi ancora più attivamente della questione ed a promuovere assieme - tra gli altri - al Cagnazzi e al Dragonetti un istituto per il credito agrario a favore dei censuari pugliesi. La Banca del Tavoliere, fondata sul finire del 1834, verrà però boicottata dal governo e dopo pochi anni fallirà, nonostante l'impegno di gestione di molti esponenti della borghesia liberale meridionale, tra cui il D., membro del Consiglio di amministrazione e nel 1837 anche reggente della banca.
Nei primi anni Trenta il D. cercò anche di delineare un quadro organico dell'economia meridionale, con un'opera intitolata Della condizione economica del Regno di Napoli, che venne pubblicata a Napoli nel 1833.
Egli interpretava molto ottimisticamente i progressi registrati dal paese nel primo trentennio del secolo, giudicando positivamente l'azione dello Stato a favore di tali progressi e in particolare le tariffe doganali protezionistiche del 1823-1824, ritenute la principale causa della crescita manifatturiera e commerciale. L'azione statale non doveva limitarsi ai dazi protettivi. Rifacendosi al Sismondi, il D. riteneva che dovesse "esser limitata o ben compresa la massima di lasciar fare, e lasciar passare". L'intervento statale era considerato necessario per "rimuovere i grandi ostacoli, incoraggiare, premiare, mantenere la giustizia, accordare le meritate protezioni, e guidare dall'alto senza oppressione... il moto, la pendenza e le abitudini sociali". Era quanto s'era fatto negli ultimi trent'anni da parte prima del governo francese, di cui il D. esaltava l'azione innovatrice, e poi - in diretta continuazione col precedente - dal governo borbonico. Conseguenza di tale azione era la crescita della pastorizia, dell'agricoltura, del commercio, delle manifatture, della popolazione.
I progressi del Regno spingevano il D. ad istituire nei vari settori dell'economia un confronto, sempre favorevole allo Stato meridionale, con alcuni Stati italiani ed europei, sulla base, però, molto spesso, di dati generici e discutibili. Tale confronto favorevole era inoltre avvalorato da considerazioni di ordine sociale o morale, presenti anche nel successivo sviluppo del suo pensiero. Era il caso della condanna dell'industrializzazione inglese basata su un'enorme proletarizzazione, a cui il D. preferiva lo sviluppo più graduale ma anche più diffuso - a suo avviso - del Regno di Napoli. Sono queste le posizioni che faranno dire a L. Cagnazzi (La mia vita, a cura di A. Cutolo, Milano 1944, p. 217) che il libro era stato realizzato "per comando del Ministero delle Finanze", e successivamente susciteranno non poche riserve da parte di critici e di studiosi.
Tuttavia il discorso del D. non si esauriva in tali posizioni, perché non gli sfuggivano i numerosi limiti di quello stesso sviluppo da lui descritto e talvolta esaltato. Frequenti erano perciò le segnalazioni di carenze tecniche e produttive, le critiche alla cattiva qualità dei prodotti agricoli e manifatturieri, i conseguenti consigli per vari cambiamenti e miglioramenti, le esortazioni a diminuire i costi di produzione ed aumentarne la qualità e spesso anche la quantità. Il D. arrivava anzi a formulare un programma di interventi statali per favorire l'iniziativa capitalistica e migliorare l'economia dei Regno: istituzione di scuole tecniche e popolari e di banche provinciali, diminuzione del debito pubblico - che sottraeva capitali ai settori produttivi -, fondazione di stabilimenti pubblici in mancanza dei privati, estensione delle esportazioni e delle bonifiche, costruzione di strade, introduzione di macchine e di navi a vapore, lotta ai monopoli. Il fine principale della sua opera sembrerebbe quindi la diffusione delle sue idee programmatiche e l'attuazione da parte del governo di una politica economica atta a realizzarle.
Tale giudizio trova conferma nell'abbandono da parte del D. delle posizioni ottimistiche e filoborboniche negli anni successivi, quàndo il riformismo di Ferdinando Il segnò una battuta d'arresto e ricominciò la repressione poliziesca. Decisivo fu probabilmente l'arresto nel 1834 del Ricciardi, fondatore e direttore del Progresso, ilprincipale punto di riferimento delle spinte innovatrici e modernizzatrici della borghesia liberal-moderata, sul quale l'anno prima il D. aveva pubblicato una recensione. Mentre la rivista andava allineandosi alle posizioni governative, il D. collaborò al Giornale di commercio, uscito solo per pochi mesi del 1834. Qui continuò a sollecitare l'attuazione di alcune riforme nel paese (istituzione di nuove banche, educazione sociale, ecc.), ma allo stesso tempo andava riscoprendo l'importanza dell'elaborazione teorica in economia e di un graduale passaggio - nella società come nel suo pensiero - dal protezionismo al liberismo.
Tornato a collaborare al Progresso, nel 1836 il D. avvalorava la svolta liberista, oltre che in un breve intervento contro i porti franchi, in due stimolanti articoli teorici.
Nel primo, Discorso storico-critico sulla economia sociale (vol. XIII [1836]) analizzava le tre principali scuole economiche, individuando i maggiori errori del mercantilismo e della fisiocrazia ed aderendo al sistema smithiano. Allo stesso tempo contestava il carattere materiale dell'economia e si pronunciava a favore di una scienza economica morale e sociale, anticipando in tal modo un concetto essenziale del suo pensiero. Nel secondo, Ancora alcune idee sulla quistione del libero e del disciplinato commercio delle nazioni (vol. XV [1836]), superando nettamente le opinioni di tre anni prima, condannava apertamente la politica delle tariffe protezionistiche, che giovavano solo a pochi "manifattori con grande discapito dell'universale" e della concorrenza, con conseguente stagnazione produttiva e mancanza di spinte innovatrici.
La condanna delle tariffe emergeva anche nelle Considerazioni economiche sulle solenni esposizioni delle arti e delle industrie, e sulla esposizione napolitana dell'anno 1836 (Napoli 1836). Questa memoria ammetteva un grande progresso manifatturiero nel periodo 1818-36, ma allo stesso tempo segnalava la scarsa qualità e i prezzi troppo alti dei prodotti della principale industria del paese, quella tessile, proprio perché i fabbricanti, protetti dall'esorbitante dazio sui tessuti esteri, non davano "opera a migliorare ed a cattivarsi la benevolenza de' consumatori". Netta anche la condanna delle "privative", che ostacolavano l'espansione produttiva di un determinato settore manifatturiero e ne innalzavano i prezzi.
L'elaborazione teorica del D. sfociava nella pubblicazione di un manuale, Istituzioni di economia sociale (I,Napoli 1837), rimasto incompleto probabilmente a causa dell'arresto e di un breve pexiodo detentivo a cui fu sottoposto nel 1837 per i suoi contatti con gli ambienti democratici napoletani.
Dopo una lunga introduzione, contenente tra l'altro il saggio pubblicato nel voi. XIII del Progresso e un'ampia indagine sui rapporti tra l'economia e altre scienze, come politica, legislazione, statistica, tecnologia ed etica, il D. trattava minuziosamente la sola produzione della ricchezza. L'esposizione, spesso arricchita da lunghe citazioni, ma anche appesantita e resa frammentaria da digressioni su aspetti collaterali e da ragionamenti pseudoeconomici, denotava la mancanza di un'originale e coerente teoria-guida, basandosi piuttosto, ecletticamente, sulla adesione ad alcune delle tesi economiche più in voga. Quindi si rifaceva soprattutto all'economia classica e in particolar modo alla divulgazione e volgarizzazione del pensiero smithiano compiuta dal Say, nonché ai più conosciuti economisti liberisti coevi, il Romagnosi, il Droz, il Rossi ed il Senior; non mancavano tuttavia riferimenti alla vecchia scuola del Genovesi, all'Ortes, all'eclettismo del Gioja e del Florez Estrada, al napoletano Fuoco. Nel complesso era già possibile intravedere gli aspetti principali del pensiero economico del D., poi ripresi e chiariti nella successiva edizione; in special modo si evidenziava la sua insistenza sul carattere sociale e morale dell'economia, in opposizione al materialismo di stampo ricardiano: non c'è conflitto tra profitto, rendita e salario, viceversa esiste un fondamentale accordo di principio tra gli interessi delle diverse classi che entrano in rapporto nel processo produttivo.
Frattanto e negli anni successivi il D. intensificava notevolmente l'attività giornalistica, da lui considerata un utilissimo ed importante strumento di divulgazione "popolare" per tutte le scienze. Il suo impegno in questo campo ebbe caratteristiche distinte. Nel corso di un'assidua collaborazione al Progresso scriveva fino al 1843 diversi articoli che, per l'ampiezza e l'articolazione della trattazione, l'acutezza e l'impegno di elaborazione critica possono essere considerati dei veri e propri saggi. Di impostazione simile furono anche i suoi interventi nella Temi napolitana, una vecchia testata da lui rilevata e diretta e di cui riusciva a far uscire tre numeri tra il 1844 e il 1845. Allo stesso tempo, però, si occupava del "primo e principale scopo del giornalismo... quello di far conoscere all'universale le opere che vengono in luce, designandone la natura l'indole la idea i pregi ed i difetti" (IlLucifero, 30 ott. 1830. Così tra il 1835 e il 1841 recensiva sul Progresso oltre sessanta opere, soprattutto di economia e dei maggiori scrittori napoletani coevi. Ad analoghe esigenze divulgative ed informative rispondevano i molti articoli che andava pubblicando tra il 1839 ed il 1844 sulle pagine del settimanale Il Lucifero. In essi analizzava, in modo semplice ed immediato, problemi pratici relativi all'educazione e alla pubblica istruzione, al giornalismo, all'economia e soprattutto all'agricoltura.
Al progresso dell'agricoltura, che sperava potesse eguagliare quello delle arti e delle manifatture, il D. dedicava molti articoli, avvalorando idee espresse precedentemente nel saggio La ricchezza degli stati dipende non tanto dal produrre tutto e molto quanto dal produrre con criterio e previdenza (Progresso, XXI [1838]). Era fondamentale realizzare un cospicuo investimento capitalistico in agricoltura, distogliendo i capitali da investimenti più sicuri ma meno produttivi e socialmente utili, quali il debito pubblico, le speculazioni commerciali e gli effimeri stabilimenti manifatturieri; bisognava inoltre diffondere l'istruzione agraria, concimare, bonificare, irrigare i terreni, sfruttando le innumerevoli e copiosissime acque fluenti del Regno. A quest'ultimo argomento dedicava qualche anno dopo una specifica e dettagliata analisi: Delle acque fluenti nelle relazioni coll'agricoltura colla industria e colla sanità (in Temi, n. 2, 1844).Sulle pagine del Progresso e di Temi il D. si occupò poco della teoria econonuca. In lui, come in altri intellettuali napoletani del suo tempo, andava accentuandosì "l'esigenza di giungere a realizzare una concreta mistione e saldatura della teoria economica con la teoria giuridica e filosofica, e di entrambe con la prassi" (Oldrini). A spingerlo ad occuparsi di questioni legislative, giuridiche e talvolta filosofiche contribuivano il convincimento che il rinnovamento delle leggi poteva spingere lo Stato sulla via delle riforme, l'opportunità di impegnarsi su un terreno politicamente meno appariscente per sfuggire alla repressione, infine la sua attività di professore di diritto - oltre che di economia -, dal 1838 in uno studio da lui stesso aperto e dal 1842 nello studio di P. S. Mancini.
Il D. quindi, dopo aver sollecitato in alcuni numeri del Progresso del 1837-38 l'attuazione di alcune riforme nel campo della proprietà letteraria, del complicato e antiquato sistema dei pesi e delle misure e dell'istruzione pubblica, si cimentava su questioni generali, formulando alcune stimolanti proposte di riforma in campo legislativo in tre saggi apparsi sempre sul Progresso (Delle riforme legislative e de' mezzi più acconci a progredire nella via del perfezionamento delle leggi, XXI [1838]; Della riforma legislativa in Europa e di quella delle pene, XXIV [1839]; Della natura e dell'ufficio delle leggi, XXVI [1840]).Bisognava attuare l'uniformità legislativa in Italia, abolire in ogni paese europeo la pena di morte, approvare leggi che si prefiggessero la conservazione, la riproduzione e soprattutto il perfezionamento dell'umanità, garantendo "la libera manifestazione del pensiero, la libera scelta del lavoro, la libertà di patti". Proseguendo su questa linea il D. si occupava di giurisprudenza "nutrice ed ausiliatrice delle buone leggi, riparatrice e moderatrice delle cattive, strumento di progresso e di perfezionamento legislativo". Tale ruolo, però, essa non aveva ricoperto fin'allora nel Regno, perché era stata "più forense e giudiziale, che interpretativa e filosofica; più occupata degli affari che dei principi... più del guadagno e della vittoria sollecita che dei vero e della teorica" (Della origine e natura della giurisprudenza, della giurisprudenza riapolitana e- di un libro su tal subbietto dell'avv. G. Manna, XXV [1840]).In un altro articolo (Del diritto romano per quel che è e debb'essere nella Presente società europea e pel nuovo diritto in Europa, XXIX [1841]),sollecitava un minore ricorso al diritto antico, considerato non applicabile alla realtà contemporanea, e "una raccolta delle leggi e delle disposizioni" vigenti nel Regno a cura del governo. Spinto dalla necessità di integrare con la filosofia del diritto le sue trattazioni giuridiche e da una forte sensibilità per l'etica, il D. interveniva anche in campo filosofico. Manifestava una ampia conoscenza del pensiero filosofico coevo e una certa adesione all'utilitarismo e all'eclettismo, ma non quella chiarezza, quella partecipazione e quella padronanza della materia presenti nella maggior parte dei suoi scritti politici, economici e giuridici. Principale motivo dei suo pensiero è la fiducia nel progresso dell'umanità, regolato dal "vero" vichiano, "fonte e germe d'ogni bene" in cui "si rintegrano giustizia, utilità, bellezza e quanto in tutte queste cose si rinchiude e si comprende" (Considerazioni sulla natura e sugli effetti della moralità e dignità nelle arti scienze e lettere, XXVIII [1841]).
Una sintesi dei suo pensiero in materia legislativa, giuridica e filosofica il D. forniva nella Prolusione per lo studio del diritto de' professori R. Tecci, P. S. Mancini e M. De Augustinis (in Ore solitarie, nn. 1 e 2, 1842). Vi ribadiva la necessità di una cospicua e articolata legislazione per l'avanzamento della civiltà, l'importanza dello studio del diritto - che ricerca le "primissime sostanziali ed assolute leggi dell'uomo" e consente di appurare l'esistenza di "una legge universale superiore al tempo, allo spazio, ed alle modificazioni di entrambi", progressiva e riformatrice - e, infine, il legame tra il diritto e la ricerca filosofica del "vero".
Negli stessi primi anni Quaranta il D. continuò tuttavia ad occuparsi di economia. Dava infatti alle stampe una breve memoria, Pensieri sulle tariffe doganali (Napoli 1841), in cui proponeva l'abolizione della maggior parte dei dazi in vigore nel paese dal 1823-24. Si trattava di nulla più che una dettagliata e perentoria proposta di riforma doganale, e non è da condividersi il giudizio del Parente che la definisce l'opera cui è affidata la sua fama di economista". Contemporaneamente si dedicava al rifacimento del manuale di economia che, ultimato già nel 1842 ma boicottato dall'autorità ecclesiastica, vide la luce solo l'anno successivo, sotto il titolo di Elementi di economia sociale e con il generico luogo di stampa "Italia". Rispetto all'edizione precedente la materia veniva completata con la trattazione della circolazione, distribuzione e consumazione della ricchezza, ma allo stesso tempo era esposta in maniera molto più succinta, sfrondata di digressioni, citazioni ed anche di intere parti, ritenute inutili rispetto al fine di elementare divulgazione che il D. dichiara. amente si prefiggeva. E D. però riusciva ad evitare - come riferiva il critico contemporaneo A. Rinieri De Rocchi - il rischio di fare un mediocre "catechismo dogmatico", pur se tuttavia spesso mancavano "quegli sviluppi che anche nella misura di un libro elementare sono indispensabili" (Giorn. agr. tosc., XIX [1845], p. 211).
Le posizioni del D. non risultavano molto mutate rispetto al 1837. Nel concetto di valore veniva inclusa - accanto agli elementi utilità, scambio e "difficoltà di produzione" - la "spesa di produzione", ed in pratica veniva ripresa la formulazione del Rossi del concetto di valore-lavoro. Il D. poi contestava apertamente le teorie della rendita di Malthus e Ricardo e più in generale gli economisti che tentavano di determinare teoricamente profitto, rendita e salario con formule generali a priori, senza considerare la loro enorme variabilità a seconda delle epoche e dei luoghi. La trattazione della distribuzione della ricchezza ed il suo istinto morale e sociale spingevano il D. a condannare l'eccessiva sperequazione economica, e ad indicare tra i principali compiti dell'economia la realizzazione di una maggiore perequazione. Grande era la fiducia nell'aumento e nell'equa suddivisione del benessere generale, realizzato soprattutto grazie alla libera concorrenza ed anche grazie alla "giustizia e previdenza delle autorità" e alla "moralità delle classi" (!); tuttavia il D., per fermare soprusi e frodi nei confronti degli operai, ammetteva il ricorso a "tariffe legali, purché... locali e temporanee, compilate e pubblicate dalla pubblica autorità".
L'interesse per le questioni sociali spingeva il D. nello stesso periodo a trattare in modo specifico del pauperismo, un problema assai sentito in tutta l'Europa contemporanea; proponeva lo sviluppo di varie forme di aiuto sociale e specialmente delle "casse di previdenza e di risparmio" pronunciandosi nettamente contro il socialismo (Discorso sulla povertà negli Stati, in Corriere italiano, nn. 1 e 2, 1843 0 1844). Successivamente ribadiva che il fine primario dell'economia, trascurato da Smith e dai suoi seguaci, doveva essere quello dell'"economica e spontanea distribuzione delle cose godevoli", cioè un'equa distribuzione tra tutti gli uomini (Di che ha d'uopo oggimai l'economia?Quali sono i doveri de' suoi veri cultori?, in Temi, n. 1, 1844).
Frattanto si accentuavano i rapporti fra il D. e gli ambienti culturali italiani, come testimoniano sia la sua appartenenza all'Accademia dei Georgofili, oltre che a quella Pontaniana, sia la fitta corrispondenza, avuta soprattutto nel 1844-45, col Vieusseux. Si accentuavano anche i suoi rapporti con gli ambienti liberali napoletani ed in particolar modo col Poerio, il Borrelli e il D'Ayala. Nel marzo 1844questi cercarono di organizzare degli aiuti per gli insorti di Cosenza ma, traditi, nella notte tra il 16e il 17 furono arrestati e portati a Castel Sant'Elmo. Il D. rimase in carcere alcuni mesi e dovette interrompere la pubblicazione di -Temi, di cui era uscito il solo primo numero. Scarcerato il 21 sett. 1844, subito si dedicava alla sua rivista, di cui faceva uscire in quello stesso anno un secondo numero ed un terzo ed ultimo all'inizio del 1845.
Contemporaneamente si dedicava alla divulgazione dell'economia politica, pubblicando a puntate sul Lucifero le Considerazioni sopra il corso di economia politica di P. Rossi, poi ristampate in volume con il titolo Studi critici sopra ... . Napoli 1844 [ma 1845] e nel settembre ed ottobre 1845le Lezioni di economia sociale (da lui dettate l'anno precedente al figlio Emilio e ad altri due giovani), che sarannoperòinterrotte dopo la sua morte.
Frattanto partecipava attivamente nell'ambito dell'AccademiaPontaniana all'organizzazione del VII congresso degli scienziati italiani, dove leggeva qualche giorno prima di morire una comunicazione sull'industria della valle del Liri.
Il D. morì improvvisamente a Napoli l'8 ott. 1845.
Opere del D., oltre a quelle citate: Del gelso e della seta per gli italiani (Napoli 1833); De' porti franchi e della influenza di essi sulla ricchezza e Prosperità delle nazioni (ibid. 1833); Alcuni pensieri intorno a una misura di pubblica utilità (ibid. 1833); Esame irtorno alle osservazioni del comm. D. C. Afan de Rivera sullaquistione se convenga affrancare o meno i canoni del Tavoliere di Puglia (ibid. 1833); Lettera dell'avv. M. de Augustinis in esame di un opuscolo intitolato "Appendice sul progetto presentato al R. Governo relativo alle basi di una banca rurale e commerciale del Tavoliere di Puglia" (ibid. 1834); Della valle del Liri e delle sue industrie, in Agli scienziati d'Italia del VII Congresso (ibid. 1845).
Saggi pubblicati su IlProgresso delle scienze, delle lettere e delle arti, oltre a quelli citati: Dei porti franchi (XIII [1836]); Della proprietà letteraria e de' suoi giusti confini (XVI [1837]); Sulla riforma de' pesi e delle wisure (XVIII [1837]); Alcuni pensieri sulla pubblica istruzione e sopra una ventilata riforma (XX [1838]); D'un singolar modo di conservar le granaglie e le biade in Foggia (ibid.); Della proprietà e delle sue leggi (XXVII [1840]); Considerazioni sul sapere e sugli studi della Sicilia Citeriore dal Moial 1831 e della loro condizione da quest'epoca a tutto il 1842 (XXXI [1843]). Su Temi napolitana: Legislazione comparata del diritto commerciale delle due Sicilie, e degli Stati Sardi (nn. 1 e 2, 1844; non terminato); Il vero tesoro dell'universale (n. 2, 1844); Della nunciazione di nuova opera considerata secondo la romana la francese e la napolitana legislazione (n. 3, 1845; non terminato); Idea di una particolare soluzione della prima questione infatto di etica (n. 1, 1845).
Il D. infine pubblicò articoli nel Giornale di commercio, 20 giugno, 10 e 30 luglio, 10 e 20 agosto 1834; e nel Lucifero, 17aprile, 10 maggio, 10 luglio, 2 e 30 ottobre 1839; 26 febbraio, 24 giugno 1840; 3 marzo, 9 giugno, 8 settembre. 3 novembre 1841; 19 gennaio, 30 marzo, 17agosto 1842; 19 apr. 1843; 17 gennaio, 10 aprile, 12 giugno, 10 e 17 luglio 1844; dal 25 sett. 1844 al 25 giugno 1845 quasi ininterrottamente le citate Considerazioni...; dal 3 settembre all'8 ott. 1845 le citate Lezioni.
Fonti e Bibl.: Notizie biogr. sul D. apparvero subito dopo la morte: generiche e succinte in C. De Sterlich, Commem. di Persone ragguardevolimancate alle Due Sicilie dal 3 nov. 1844 al 2 nov. 1845, Napoli 1845, pp. 58 ss.; prolisse e appesantite da innumerevoli vuote digressioni in V. Moreno, Elogio di M. D., Napoli 1846. Più organica, ma con alcuni vistosi errori (il D. avrebbe insegnato all'università e diretto il Progresso), è la biografia redatta da A. Simioni per il Diz. d. Risorg. naz., II,Milano 1930, pp. 850 s. (s. V, D'Augustinis, Matteo). Da questa è per lo più desunta la scama biografia riportata, IlRisorg. ital., a cura di F. Ercole, II, Roma 1941, p. 426. Un'ampia ed accurata trattazione è il saggio di L. Parente, Ideol. politica e realtà sociale nell'attività pubblicistica di M. D., in Arch. stor. per le prov. napol., s. 3, XI (1973), pp. 29-137, che contiene un'ampia bibliografia. Su alcuni dei principali temi della sua produzione pubblicistica e saggistica si soffermano G. Ricca Salerno. Storia d. dottrinefinanz. in Italia, Palermo 1896, pp. 495-96, 500, 535 s.; G. Cingari, Problemi d. Risorg. merid., Firenze-Messina 1965, pp. 40-51, 54 s., 60 ss., 65 s., 73-76. Dell'impegno pubblicistico e polit. del D. legato alla questione del Tavoliere di Puglia si occupano R. Colapietra, Lagrande Polemica ottocentesca intorno al Tavolièredi Puglia, in Rass. di pol. e storia, VII (1961), 75, pp. 22-25; V. Giura, La Banca del Tavoliere. Una storia ignorata, Napoli 1967, ad Ind. Interessanti giudizi sulle sue posizioni in campo economico sono in: Dict. of Political Economy, I, London 1901, p. 72; A. Mancarella, Le dottrine di Ricardo e gli economisti ital. d. Primametà del sec. XIX, Napoli 1906, ad Ind.; G. Oldrini, La cultura filos. napol. dell'Ottocento, Bari 1973, ad Ind.; B. Salvemini, La diffusioned. economia poi nel Mezzogiorno d'Italia e leopere "deweziane", in Sulclassicismo economicoin Italia: il caso di F. Fuoco, Firenze 1979, pp. 59 s.; Id., Economia pol. e arretratezza merid. nell'età del Risorgimento, Lecce 1981, ad Ind.; F. Di Battista, L'emergenza ottocentesca dell'economia politica a Napoli, Bari 1983, ad Indicem.