DE RUGGIERO, Matteo
Apparteneva a una famiglia che già al tempo di Federico II era annoverata tra le famiglie patrizie salernitane.
Pur non rivestendo un'importanza pari ai Rufolo e ai Della Marra, i De Ruggiero già allora prendevano parte con profitto alla gestione delle finanze del Regno. Dopo la vittoria di Carlo I d'Angiò su Manfredi nella battaglia di Benevento del 26 febbr. 1266 le famiglie summenzionate, come anche i De Ruggiero, riconobbero l'autorità del nuovo sovrano.
Che il D. godesse di un particolare credito si deduce dal fatto che già nel settembre dell'anno 1266 ricopriva la carica di giustiziere di "Sicilia ultra flumen Salsum" e con ogni probabilità ne fu il primo governatore provinciale angioino. Ma non solo: contrariamente alle regole, esercitò questo importante mandato lungo l'arco di ben due anni di indizione e, per di più, in un periodo molto critico per la nuova dominazione angioina. Nell'agosto del 1267, infatti, alcuni sostenitori degli Hohenstaufen provenienti da Tunisi si erano insediati a Sciacca, riuscendo in breve tempo a sottomettere gran parte dell'isola. Tra le poche città che seppero resistere con successo agli invasori c'era Palermo, dove il D. si era asserragliato con le sue truppe. Il 29 sett. 1268 venne sostituito nel suo incarico da Bartolomeo de Porta. Èsbagliata invece l'affermazione del Minieri Riccio (Cenni storici, p. 46) e del Durrieu (Archives, II, p. 213) che fosse giustiziere di questa provincia nell'anno d'indizione 1270-71.
Il successore del D. sarebbe dovuto essere Ponce de Blanquefort, ma la Curia dispose diversamente affidando l'incarico a Bartolomeo de Porta il 23 sett. 1268. Questo cambiamento all'ultimo momento fu causa di alcune difficoltà per il D.: costretto a tornare a Salerno al servizio del re, egli non poté attendere l'arrivo del suo successore in Sicilia e incaricò perciò il notaio Luca da Salerno di fare le consegne in vece sua. Il nuovo giustiziere però si rifiutò di ricevere i documenti dalle mani dell'amministratore del D. che perciò si trovò nell'impossibilità di presentare alla curia regia il dovuto rendiconto. Solo una sua rimostranza al re riuscì, alla fine, a fare recedere il nuovo giustiziere.
Da allora fino all'inizio del 1272 al D. non furono più affidati incarichi pubblici; in questo periodo compare varie volte come finanziatore di imprese statali. Quando nel 1271 si trattò di rimborsare al D. la cauzione di 100 once che egli aveva depositato all'atto dell'assunzione del giustizieriato, il re motivò la rapida liquidazione della pratica con le parole: "quia ... invenimus semper ad beneplacita nostra paratum".
Nel febbraio del 1272, Carlo d'Angiò gli affidò nuovamente il mandato di giustiziere, questa volta nella provincia di Calabria. Anche in questo caso, il D. restò in carica per due anni e non, come di regola, per uno. La sua attività fu circoscritta qui nei limiti previsti dai capitoli di quest'ufficio che gli furono indirizzati espressamente. Come più alto funzionario della provincia, egli aveva il compito di sorvegliare i funzionari subordinati, di occuparsi della riscossione delle imposte indirette e della amministrazione delle finanze. Inoltre amministrava la giustizia ed era al tempo stesso la massima autorità dell'esecutivo. Spesso si trovò a dover far valere la volontà del re, soprattutto in controversie tra feudatari; altre volte difese gli interessi di istituzioni ecclesiastiche contro le violazioni dei feudatari laici. Inoltre, in vista della progettata spedizione contro Bisanzio, contribuì al riarmo della flotta angioina facendo consegnare, nell'aprile del 1273, ai funzionari incaricati della riparazione e del riarmo delle navi nelle Puglie duemila remi da galera che aveva precedentemente fatto costruire e immagazzinare a Badolato. Il 7 febbr. 1274 - quindi a metà dell'anno di indizione - fu destituito dalla carica. Questa insolita interruzione non va certamente intesa come una censura del suo operato visto che due mesi più tardi, nell'aprile del 1274, in occasione di una nuova operazione finanziaria, il re stesso lo definì "servizievole e devoto". In questa circostanza Carlo d'Angiò rimproverò il giustiziere del Principato per aver tentato di ritardare la restituzione di quasi 200 once che il D. aveva prestato alle casse del re.
Per qualche anno il D. non ricoprì più cariche pubbliche e sembra che ormai si dedicasse sempre più a speculazioni finanziarie per incrementare il suo patrimonio privato. Potrebbe essere questa la vera ragione per cui, a metà del 1277, adducendo motivi di salute, egli non si recò subito a corte dove era stato richiamato. Carlo d'Angiò però non si accontentò di questa giustificazione e, nel giugno dello stesso anno, incaricò il giustiziere del Principato di recarsi personalmente a Salerno per un'ispezione. Venne appurato che si trattava effettivamente di una scusa. Il giustiziere inflisse al D. una multa di 25 once che il re gli condonò quando, in luglio, il D. si presentò a corte. Un importante incarico che il re ritenne di potergli affidare conferma ancora una volta la fiducia di cui godeva a corte.
Nel 1277 il re aveva avviato un'opera di radicale rinnovamento dell'amministrazione della marina, creando l'ufficio dei "provisores et prepositi navigii vassellorum et tarsianatuum curie" nei tre distretti di Principato e Terra di Lavoro, Abruzzo e Puglia e Sicilia e Calabria. Il 31 dicembre il D. fu nominato "provisor" nel primo dei tre distretti e divenne così il responsabile delle infrastrutture della marina, degli effettivi navali nonché del personale della flotta. I "provisores" avevano compiti ben più ampi dei precedenti "magistri tarsianatuum", tanto più che in questo periodo la carica di ammiraglio del Regno era puramente nominale. Il 7 luglio 1278 venne affidato al D. il primo incarico di rilievo in questo suo nuovo ruolo: dovette far riparare e approvvigionare dieci galere nei cantieri di Napoli, Gaeta, Ischia, Amalfi e Salerno. Il finanziamento dei piani d'armamento era stato originariamente affidato al giustiziere di Terra di Lavoro, il quale doveva anche soprintendere al corretto svolgimento dei lavori. Al D. e al giustiziere fu ordinato di tenere due distinti registri delle spese e di certificarne vicendevolmente la correttezza, alla fine di ogni "quaternus", affinché - come era espressamente detto - non si potesse frodare la curia regia. Poiché il giustiziere non ottemperò al volere del re, in luglio furono date altre disposizioni: il capitano della flotta, il provenzale Ugo de Conches, ebbe l'incarico di controllare l'operato del D. mentre la responsabilità per lo stanziamento dei fondi fu delegata alla Tesoreria di Napoli. La mancanza di fiducia nei confronti dei "provisor" influì negativamente, semmai, sull'efficienza dei lavori ma non aveva nulla di personale, dato che Carlo I usava sottoporre l'amministrazione a controlli incrociati. I funzionari venivano inoltre spesso minacciati di penali così alte che li avrebbero ridotti in rovina se fossero state comminate effettivamente. Se inizialmente il D. dovette impegnare 200 once, successivamente fu obbligato a garantire con l'intero patrimonio per lo svolgimento rapido e corretto dei lavori. Nonostante le difficoltà iniziali egli riuscì, con soddisfazione del re, ad adempiere al mandato, che nel frattempo era stato esteso anche all'ingaggio degli equipaggi delle navi.
Il D. conservò quindi un incarico di responsabilità anche quando, nel 1278, l'organizzazione della flotta fu nuovamente sottoposta a revisione. Come nell'anno precedente, anche stavolta si trattava di riorganizzare e potenziare la marina in vista della progettata conquista della Grecia. Le coste del Regno furono suddivise in tre distretti "a flumine Tronto usque Cotronum", "Sicilia et Calabria" e "Principatus et Terra Laboris" e il comando di ciascuno fu affidato a un viceammiraglio. Il D. ottenne il comando del terzo distretto di cui era già stato "provisor et prepositus". Le competenze riconosciute ai viceammiragli non si differenziavano nella sostanza da quelle dei "provisores et prepositi". Di fatto però essi operavano con maggiore autonomia, essendo meno soggetti al controllo dei giustizieri e dei commissari. Nei successivi due anni il D. ricevette altri due importanti incarichi: nel 1279, ottenuto un sussidio dal tesoriere regio Guillaume Boucel, venne preposto alla direzione dei lavori di ampliamento dei cantieri navali napoletani; nel 1280 organizzò l'armamento e l'equipaggiamento di una flotta di sei galere per la prevista operazione in Acaia. Nell'anno di indizione 1278-79 ottenne anche l'appalto dell'"officium. salis" di Principato e Terra di Lavoro, che prometteva introiti finanziari non trascurabili. Quindi, mentre ricopriva la carica relativamente poco remunerativa di viceammiraglio, il D. non perdeva di vista il suo tornaconto privato.
Sempre conservando questa carica, dal 1281 svolse due missioni diplomatiche che lo portarono fuori dal Regno. Fece parte della delegazione che, nei primi mesi di quell'anno, mosse incontro a Clemenza, figlia di Rodolfo d'Asburgo, che andava sposa a Carlo Martello. In seguito fu mandato alla corte del re di Francia per sostenere gli interessi angioini contro Margherita di Provenza, madre del re, che si opponeva all'espansione degli Angiò nel regno di Arles prevista dal contratto di nozze di Carlo Martello con Clemenza d'Asburgo. Lo scoppio dei Vespri siciliani, il 30 marzo 1282, causò l'interruzione della missione del De Ruggiero. Venuto a sapere dell'insurrezione in Sicilia, egli invertì la sua rotta facendo ritorno in Italia meridionale per riprendere il suo posto di viceammiraglio. Fino a quel momento, il distretto "a flumine Tronto usque Cotronuni" - con i suoi grandi arsenali che sopportavano il carico maggiore della guerra contro Bisanzio - era stato il più importante. Ora, invece, il baricentro si era spostato: in seguito alla guerra contro l'isola in rivolta, le stazioni di Terra di Lavoro e del Principato avevano assunto maggiore rilievo strategico. Mentre prima dei Vespri i viceammiragli non avevano mai avuto comandi di mare, con l'emergenza la situazione cambiò. Già nell'aprile del 1282, il D. fu incaricato di muovere contro l'isola insorta a capo di una flotta di sei galere e di un galeone da lui stesso armati. Durante il periodo della sua assenza fu sostituito dai suoi due figli Riccardo e Tommaso, entrambi "milites". Il 21luglio, infine, il re lo nominò nuovamente giustiziere di Calabria. Il D. mantenne anche in questo periodo la carica di viceammiraglio, ma mentre esercitava il giustiziariato - dal quale venne però rimosso già il 10 ottobre - fu sostituito nelle sue funzioni dal viceammiraglio Roberto de' Canali.
I compiti affidati al D. nei pochi mesi in cui fu in carica si differenziavano sensibilmente da quelli normalmente attribuiti ai giustizieri. Il re, infatti, lo aveva inviato in Calabria soprattutto in quanto esperto di marina. Qui il D. comandava una flotta di sedici teridi, con i quali faceva la spola tra Catona e l'isola per traghettare l'esercito che doveva assediare Messina. Ma dopo gli infruttuosi tentativi di conquistare la città e l'arrivo di Pietro III d'Aragona, il 2ottobre, che dimostrarono quanto era vano sperare in una rapida vittoria, il D. fu rimosso dalla carica di giustiziere per riprendere le funzioni di viceammiraglio. Le fonti non informano se egli, in quest'ultimo periodo di viceammiragliato, si fosse distinto in modo particolare.
Il 26nov. 1283, come gli altri viceammiragli del Regno, il D. fu destituito da Carlo di Salerno, nominato vicario del Regno nel gennaio dello stesso anno. Al posto dei tre ufficiali subentrò, come "vice admiratus regni Sicilie", Jacques de Boursonne. Con ciò tuttavia, la carriera del D. non era ancora finita. Il 10 ottobre Carlo di Salerno lo aveva accolto come cavaliere nel "hospitium regis" e quindi tra i familiari del re. Qualche giorno più tardi, il 14 del mese, lo nominò maestro razionale. Il D. divenne così membro dell'organo preposto al controllo delle finanze dello Stato. La sua appartenenza all'"hospitiuni" del re gli fruttava un mensile di 4once e in più, per il servizio, gli venivano pagate altre 8once. Inoltre, Carlo di Salerno gli assegnò, nel dicembre dello stesso anno, 100 once. Nel maggio del 1284 gli furono dati anche alcuni casali a Salerno, che andarono ad aggiungersi al suo feudo di Lanzara (14 km a nordovest di Salerno). La sua morte avvenne poco tempo dopo, prima del 3giugno di quello stesso anno.
Oltre ai due figli già ricordati - Riccardo e Tommaso - il D. aveva un altro figlio maschio, Giovanni, arcidiacono di Reggio Calabria, e una figlia di nome Francesca. Dopo la morte della moglie, di cui si ignora il nome, il D. manifestò l'intenzione di entrare nell'Ordine di S. Giovanni. Benché talvolta fosse chiamato "fra Matteo", non è chiaro, tuttavia, se ne fece effettivamente parte. Si sa, comunque, che dopo la sua morte il maestro dell'Ordine rivendico i diritti dell'Ordine sull'eredità, tanto da giungere a una disputa con i figli, che fu portata fino al tribunale del re. Carlo d'Angiò dichiarò che il D. aveva devoluto la metà dei suoi averi alla Corona e cedette quindi questa metà ai discendenti del De Ruggiero.
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