DELLA PORTA (de Porta), Matteo
Nacque a Salerno negli ultimi anni del sec. XIII o all'inizio del successivo e appartenne a una antica e nobile famiglia (si deve notare, comunque, che egli non è ricordato tra gli esponenti più illustri dei Della Porta nella Historia delle famiglie di Salerno di G. P. Prignani che si conserva inedita a Roma, Bibl. Angelica, mss. 276 e 277).Il Baddeley ha avanzato l'ipotesi di una sua parentela con Mariella Della Porta di Sorrento, nutrice di Giovanna I: il silenzio delle fonti non consente di verificare tale supposizione.
Mancano notizie sugli anni della giovinezza del D. e sulla sua formazione culturale. Si può, peraltro, ritenere che egli studiasse diritto nell'università di Napoli, dove lo troviamo come iuris civilis professor nel 1331. Al pari di molti altri giuristi napoletani, ebbe stretti rapporti con il governo regio e prestò la sua opera al servizio del sovrano. Nel 1334 Roberto d'Angiò lo inviò presso il re d'Aragona con l'incarico di discutere la questione dei danni subiti dal commercio napoletano e dalla flotta regia angioina ad opera dei Catalani, che infestavano il Tirreno partendo dalle coste sarde. Il D. doveva presentare all'Aragonese il testo dell'inchiesta promossa in proposito da Roberto e chiedere il risarcimento dei danni. L'anno successivo, poi, egli condusse a termine altre due importanti missioni per conto del monarca angioino. Alla fine di febbraio o all'inizio di marzo fu inviato a Genova, insieme con il familiare regio Giovanni Barrili, con il compito di imporre, a nome di Roberto, la pace alle fazioni cittadine in lotta. Probabilmente, nei mesi successivi, si recò a Pisa per esigere da quel Comune l'invio di galee, o, in alternativa, il versamento di una somma, in ottemperanza degli impegni assunti verso la Corona napoletana.
Le missioni del 1334-1335 testimoniano, dunque, della fiducia che Roberto d'Angiò riponeva nel D.: questi, comunque, a quell'epoca non sembra ancora ricoprire una carica specifica nell'amministrazione del Regno, dato che nei documenti è indicato con il solo titolo di professore. La sua entrata negli uffici regi avvenne subito dopo, se possiamo prestar fede a quanto afferma il Toppi, secondo il quale il D. fu nominato presidente della Camera della Sommaria nel 1336, con lo stipendio annuo di 50 once d'oro. Le fonti a noi note non ci consentono di confermare tale notizia; non siamo nemmeno in grado di stabilire se il D. sia da identificare con quel Matteo Delaporta che un documento del 17 luglio 1339, conservato tra le carte della famiglia Del Balzo, indica in Provenza come giudice delle prime appellazioni di Aix (Barthélemy). Di sicuro possiamo dire soltanto che alla morte di re Roberto, nel 1343, il D. ricopriva contemporaneamente la carica di presidente della Sommaria e di maestro razionale e riceveva per il suo servizio complessivo lo stipendio annuo di 100 once d'oro.
Posto da Roberto ai vertici dell'amministrazione finanziaria dello Stato, il D. vi venne confermato dal Consiglio di reggenza che governò il Regno per la minore età di Giovanna I. Maestro razionale con Egidio da Bevagna e Guglielmo da Gioia, il D. ricevette alcune donazioni dalla giovane regina, la quale nel gennaio 1344 lo incaricò di prendere in esame, insieme con il giudice delle appellazioni della Gran Corte della Vicaria Giovanni da Chieti, tutte le questioni che eventualmente fossero sorte a motivo delle disposizioni testamentarie di Roberto d'Angiò. Il D. continuò a ricoprire la carica di maestro razionale anche quando nel maggio 1344 il governo del Regno fu assunto dal cardinale Aimeric de Châtelus, legato apostolico di Clemente VI.
Il D. fece anche parte del ristretto consiglio del cardinale e formulò pareri legali su questioni particolarmente delicate. Il cod. Ottob. lat. 2516 della Biblioteca apostolica Vaticana conserva, infatti, la richiesta rivolta dal legato al D. e al giurista Francesco da Pisa di pronunciarsi in merito alla vertenza in atto tra la regina e il principe di Taranto sulla titolarità di alcune terre e casali (ff. 101v-102r); conserva, altresì, il testo di una complessa questione giuridica sottoposta all'esame del cardinale e da questo trasmessa al D. e ai giudici delle appellazioni. Le fonti non ci conservano il testo dei pareri formulati dal D. nei casi ora ricordati. Conosciamo, invece, la relazione da lui presentata alla regina il 3 maggio 1345 in merito alla divisione di competenze tra le principali autorità dello Studio napoletano - il giustiziere degli scolari, il catapano e l'Erario -, ciascuna delle quali cercava di estendere la propria giurisdizione a danno delle altre. Giovanna I accettò in pieno la relazione del D. e la trasformò in un decreto (il testo del D. è edito dal Monti, Da Roffredo ...; Ancora sullo Studio ...).
Dopo la partenza dello Chátelus alla fine di maggio 1345, il D. continuò a servire la regina Giovanna. Oltre alla carica di maestro razionale, di cui risulta in questi anni costantemente titolare, ricoprì quella di cancelliere degli studenti dell'università di Napoli nel 1345, quella di presidente della Camera della Sommaria nel 1346 e quella di luogotenente del protonotaro nel 1347. Sempre nel 1347 redasse il testo della complessa e articolata ordinanza con la quale, in data 4 luglio, la regina colpì la coniazione e lo smercio di monete false. Giovanna I manifestò più volte al D. la propria riconoscenza per il servizio da lui svolto, disponendo in suo favore consistenti donazioni? il 2 agosto 1346 gli assegnò una cospicua parte dei beni posseduti ad Eboli da Roberto de' Cabanni, condannato a morte perché coinvolto nell'assassinio di Andrea d'Ungheria.
Il lungo servizio prestato alla regina e il favore da questa ricevuto non impedirono, comunque, al D. di offrire la propria opera a Luigi di Ungheria quando, alla fine del gennaio 1348, occupò Napoli. Il D., infatti, non seguì Giovanna I e il marito di questa Luigi di Taranto nella loro fuga di fronte all'invasione ungherese: rimase nella capitale e qui fu confermato luogotenente del protonotaro dal nuovo sovrano. Tutti i decreti a noi noti emanati a Napoli da Luigi d'Ungheria - decreti che vanno dal 27 gennaio al 15 apr. 1348 - risultano stesi per mano del Della Porta. Egli, peraltro, fu pronto a rientrare al servizio di Giovanna I e di Luigi di Taranto quando entrambi presero di nuovo possesso di Napoli nell'agosto 1348. Il D., infatti, risulta l'estensore del diploma con cui la regina, in data 23 nov. 1348, concesse ai Napoletani la libertà di associarsi in corporazioni di mestiere: di modo che il ritorno del D. al servizio dei sovrani angioini deve essere fissato al periodo immediatamente successivo alla loro nuova presa di potere (erra il Monti, in Il Collegio napoletano,che giudica la ripresa dell'attività del D. agli ordini di Giovanna I una conseguenza dell'ampia amnistia disposta dalla regina nel 1352). Il D. venne confermato nelle cariche di maestro razionale e di luogotenente del protonotaro e nel 1351 fece parte dell'ambasceria, composta anche da Raimondo Del Balzo e dal vescovo di Bitonto Giacomo Falconieri, che nel mese di luglio si recò ad Avignone.
Compito principale della legazione era quello di comunicare al pontefice la sostanziale accettazione del testo da lui predisposto per il trattato di pace con il re d'Ungheria. Gli ambasciatori napoletani dovevano anche cercare di ottenere l'assenso della Provenza alla richiesta di sussidio straordinario avanzata dai sovrani angioini per far fronte alle spese che dal trattato di pace sarebbero derivate. L'opposizione del Comune di Marsiglia impedì all'ambasceria di raggiungere celermente i suoi obiettivi: solo nel febbraio 1352 fu possibile arrivare alla stesura definitiva di un testo accettato sia dai Napoletani sia dagli Ungheresi e nello stesso tempo si riuscì a superare la resistenza provenzale alla richiesta finanziaria avanzata dalla monarchia. Il luogo soggiorno ad Avignone, comunque, dette modo al D. di farsi apprezzare da Clemente VI: nel febbraio 1352 il pontefice scrisse ai sovrani napoletani per elogiare il D. e sollecitare la sua nomina a protonotaro del Regno.
Rientrato a Napoli con gli altri ambasciatori il 21 marzo 1352, nell'ottobre il D. fece parte della commissione istituita per esaminare i privilegi provenzati. Nel dicembre il nuovo pontefice, Innocenzo VI, scrisse al D., a Raimondo Del Balzo e a Niccolò Acciaiuoli chiedendo loro di adoperarsi per la liberazione dei figli del conte Ugo d'Avellino: la presenza del D. tra i destinatari di tale lettera, accanto ai principali consiglieri della regina, può dare la misura del rilievo che egli aveva raggiunto a corte. Un'altra lettera di Innocenzo VI, del 6 febbr. 1353, lo indica come uno dei consiglieri più intimi di Luigi di Taranto. Il 26 luglio 1353, inoltre, venne nominato da Giovanna I priore del Collegio dei dottori giuristi dello Studio napoletano allora istituito dalla regina; e nel corso dello stesso anno fu posto al vertice dell'amministrazione giudiziaria del Regno con la nomina a reggente della Gran Corte della Vicaria. Nel 1354, infine, il D. sembra aver ricevuto anche la carica di protonotaro: è quanto si ricava da un documento della badia di Cava dei Tirreni (Necrologio del "Liber confratrum"), ma nessun'altra fonte conferma tale notizia.
Nel 1355 il D. fu di nuovo mandato in missione ad Avignone, questa volta insieme con gli arcivescovi di Capua e di Brindisi: la legazione doveva spiegare al pontefice i motivi per cui i sovrani napoletani non erano stati ancora in grado di versare il censo dovuto alla S. Sede. L'ambasceria partì da Napoli il 18 marzo e giunse ad Avignone tra il 20 e il 23 maggio: l'eccessiva durata del viaggio induce a pensare che gli ambasciatori napoletani dovettero sostare lungo il tragitto, forse per svolgere altri incarichi. Ad Avignone il D. fu accolto con favore da Innocenzo VI: il pontefice si convinse della validità dei motivi prospettatigli dal D. e il 23 maggio revocò l'interdetto che aveva lanciato contro il Regno il 20 dello stesso mese. Il D., comunque, si trattenne ad Avignone ancora qualche tempo: ed è probabile che il suo compito non si limitasse al problema del versamento del censo. Lasciò Avignone nel settembre: il giorno 13 Innocenzo VI inviava una lettera a Giovanna I e a Luigi di Taranto per raccomandare loro il D. che era in procinto di lasciare la Provenza.
Negli anni successivi egli continuò a tenere le cariche di maestro razionale e di reggente della Vicaria. Nel novembre 1356 è testimoniato a Nicastro tra i grandi funzionari che seguirono i sovrani napoletani nel loro viaggio in Sicilia, da poco riconquistata da Niccolò Acciaiuoli. Reggente della Vicaria fino al 1357, il D. risulta ancora in vita il 2 maggio 1358 quando Innocenzo VI gli inviò una lettera. Dopo questa data mancano notizie su di lui.
Al periodo in cui presiedette la Corte della Vicaria deve essere attribuita la relazione presentata dal D. ai sovrani angioini in merito alla disciplina giuridica del servizio militare feudale nel Regno. La relazione, dal titolo De prestatione iurium feudalium serviciorum et adoharum in Camera solvendarum, è particolarmente approfondita e articolata (è stata pubblicata dal Monti, Alcuni documenti). Essa fornisce il quadro completo della legislazione vigente nel Regno in quella materia; ci fa conoscere anche la normativa di capitoli emanati al riguardo da Roberto d'Angiò il cui testo non ci è pervenuto e che, quindi, ci sarebbero altrimenti ignoti; illustra, infine, il dibattito dottrinale che si andava svolgendo su quei problemi tra i giuristi napoletani. t, pertanto, una fonte di grande interesse per la ricostruzione della disciplina giuridica di questioni particolarmente importanti per la monarchia napoletana.
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