Matteo di Acquasparta
Cardinale, teologo e filosofo (Acquasparta, Terni, 1240 circa - Roma 1302; secondo una tradizione non documentata, appartenne alla famiglia Bentivegna). Entrato nell'ordine dei frati minori nel convento di San Fortunato a Todi, dal 1268 circa frequentò lo Studio di Parigi. Divenuto ‛ magister theologiae ', vi insegnò nel 1277-78; passò poi a Bologna e dal 1279 ebbe l'ufficio di ‛ lector Sacri Palatii ' a Roma, come successore di Giovanni Peckam, che probabilmente era stato suo maestro a Parigi. Nel 1287, nel capitolo di Montpellier, fu eletto ministro generale del suo ordine e tale rimase anche dopo che Niccolò IV lo nominò cardinale col titolo di San Lorenzo in Damaso (1288).
Provvedimenti prudenti e concilianti, come quello d'inviare Giovanni da Parma in Grecia per la conversione degli scismatici togliendolo dalla trentennale relegazione nel convento di Greccio, o come quello di nominare lettore nello Studio di Firenze Pietro di Giovanni Olivi, gli valsero di non esser fatto oggetto di accuse nella famosa Historia septem tribulationum ordinis fratrum minorum di Angelo Clareno. Successogli come ministro generale Raimondo Gaufridi nel 1289, M. nel 1291 fu consacrato cardinale vescovo di Porto e S. Rufina. Nel lungo periodo di vacanza papale dopo la morte di Niccolò IV (4 aprile 1292), ebbe l'incarico di sottomettere Narni ribelle; a Perugia, nel difficile conclave, fu per un momento proposto come candidato. Dopo il breve pontificato di Celestino V, salito sul soglio Bonifacio VIII (24 dicembre 1294), svolse attività intensa al fianco di questo. Legato pontificio, si recò a Firenze alla fine del 1297 per ottenere appoggi per la crociata contro i Colonna. Rientrato a Roma, la sentenza arbitrale di Bonifacio VIII tra Francia, Inghilterra e Fiandra, che favoriva per il momento Filippo il Bello, lo mise in difficoltà, in quanto difensore egli di Guido di Dampierre. Ma nel clima del nuovo contrasto con Filippo il Bello, M. riebbe incarichi importanti: fu mandato nel maggio del 1300 a Firenze con il compito di pacificatore dopo gli scontri di calendimaggio tra Cerchi e Donati. Non riuscì, e, lanciato l'interdetto contro la città, dove anche era stato fatto segno a un attentato, si recò in Romagna come vicario; fu richiamato a Firenze, dove intanto Carlo di Valois era stato inviato da Bonifacio nel 1301. Anche se ottenne una serie di matrimoni tra i membri delle famiglie in lotta, la fazione dei Neri, con l'appoggio di Carlo, ebbe il sopravvento, e M., dopo che i Bianchi sconfitti ed esiliati ebbero appoggio dai Pistoiesi, colpì d'interdetto Pistoia; nel gennaio del 1302 presiedette l'assemblea delle città toscane della lega guelfa contro la coalizione ghibellina.
Ma intanto il conflitto con Filippo il Bello impegnava il Papato in definizioni politiche e ideologiche sempre più radicali. Nel concistoro del 24 giugno 1302, agli ambasciatori francesi che avevano recato le deliberazioni degli Stati generali fu M. che espose e affermò (anche se con qualche attenuazione sulla responsabilità diretta del re quanto ai fatti che avevano costretto il pontefice a indire un sinodo del clero francese a Roma per il I novembre dello stesso anno) le tesi della " plenitudo potestatis " anche nell'ordine temporale " ratione peccati " - come aveva fatto del resto, su invito di Bonifacio, in San Giovanni al Laterano, il 6 gennaio 1300.
Oltre che per questo impegno politico e ideologico accanto a Bonifacio VIII M. ha un suo posto rilevante - e maggiore sarebbe se tutti i suoi scritti fossero editi - nel campo del pensiero francescano: le Concordantiae super IV libros sententiarum, il Commentarius in libros sententiarum, le Quaestiones disputatae et quodlibetales, i trattati De aeterna processione Spiritus Sancti, De Deo uno et trino, il Commentarius in psalmos, in Apocalypsim, in Job, i Sermones, lo qualificano come esegeta di straordinaria chiarezza e come teologo e filosofo che, sulla linea dell'agostinismo di s. Bonaventura, elabora la giustificazione più completa della sua sintesi ed è il termine più sviluppato delle sue intuizioni metafisiche.
Che D. abbia conosciuto M. a Firenze, se non a Roma, è del tutto plausibile. Nel passo di Mn III III 9-10, dove si colpiscono quei decretalisti qui, theologiae ac phylosophiae cuiuslibet inscii et expertes, suis decretalibus... tota intentione innixi, de illarum praevalentia... sperantes, Imperio derogant, l'indicazione, che segue (Nec mirum, cum iam audiverim quendam de illis dicentem et procaciter asserentem traditiones Ecclesiae fidei fundamentum) fu interpretata come alludente a M. da F. Ruffini (D. e il protervo decretalista innominato, in " Mem. R. Accad. Scienze Torino, s. 2, LXVI [1922] 69); ma quel " petulante non era se non un qualunque lettore, spositore delle decretali ", precisò F. Torraca: A proposito di un luogo della Monarchia (III, III, 9-10), in " Atti R. Accad. Archeol. Lettere Belle Arti Napoli " VIII (1924) 154; e cfr. D.A., Monarchia, a c. di G. Vinay, Firenze 1950, 204-105.
Ricordo di M. è invece in Pd XII 124-126: s. Bonaventura afferma che i veri e fedeli francescani non devono assomigliare né a Ubertino da Casale né a M., ché la scrittura… uno la fugge e altro la coarta, cioè - chiasticamente - Ubertino coarta la Regola (e ‛ coarctare ' vuol dire determinare restringendo ciò che la Regola non precisa e non determina: cfr. Expositio quatuor magistrorum super Regulam fratrum minorum, a c. di P.L. Oliger, Roma 1950, 129, 163) e M. se ne allontana. S. Bonaventura, proseguendo il discorso, a Ubertino par quasi contrapporre Illuminato e Agostino, scalzi poverelli /che nel capestro a Dio si fero amici (vv. 131-132) innamorati della Povertà senza irrigidite discussioni e interpretazioni escludenti; e a M. sé stesso che ne' grandi offrci / sempre pospuosi la sinistra cura (vv. 128-129). E con ciò si chiarisce che il giudizio negativo di D. su M., anche se si colloca nei confronti della Regola tradita, non si appunta su una particolare posizione dottrinale, che lo farebbe antagonista di Ubertino, nel diviso mondo francescano (abbiamo del resto accennato al suo generalato prudente e conciliante verso gli spirituali). Ha presente, quel giudizio, piuttosto un'esperienza sofferta, quando, nelle vicende fiorentine, il cardinale M. apparve il ministro e complice di tal che testé piaggia (If VI 69), della sua sete di dominio temporale: francescano perciò che aveva fuggito la Regola, dimentico del suo impegno di umiltà, di amore e di pace che la ‛ religio ' di francesco comportava, e strumento invece di sinistra cura.
Bibl. - I. Del Lungo, Da Bonifacio VIII ad Arrigo VII, Milano 1899; M. Grabmann, Die philosophische und theologische Erkenntnislehre des Kard. M. von A. (Theolog. Studien d. Leogesellschaft, XIV), Vienna 1906; Davidsohn, Storia III, passim; E. Longpré, Mathieu d'Acquasparta, in Dict. de Théologie Catholique, X I, Parigi 1928, 375-389; Fr. Matthaei ab Aquasparta, Quaestiones disputatae de Gratia, cum introductione critica de magistero et scriptis eiusdem doctoris, a c. di P.V. Doucet, Quaracchi 1935; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di D., Firenze 1964.