MATTEO di Pietro
MATTEO di Pietro. – Figlio di Pietro del dominus Paolo «de Gratianis», non è nota la sua data di nascita, che si deve collocare almeno intorno alla metà del XIV secolo, se non prima, tenendo conto del fatto che nel 1376 – quando M. viene menzionato per la prima volta al momento dell’accensione di una sua partita catastale – risultava già vedovo di Costanza figlia del dominus Angelo «ser Francisci».
Il padre, Pietro «domini Pauli Simeonis», discendeva da Bonifazio «domini Simonis», esponente di spicco dell’aristocrazia perugina della seconda metà del Duecento e autentico capostipite, insieme con lo zio «Iacanus», della ricca e potente stirpe che avrebbe poi assunto l’appellativo di Graziani. La madre, donna Bianca di Napoleone «Ciardoli» (i cui beni dotali furono accatastati dal marito quando costui impiantò una sua personale partita catastale, distinta da quella paterna), forse faceva parte della famiglia magnatizia dei «Magistri».
M. percorse nell’ambito delle istituzioni comunali perugine un cursus honorum dall’andamento altalenante, con prolungate battute di arresto e periodi di ripresa più o meno duraturi, approssimativamente corrispondenti alle fasi in cui predominava la fazione «di popolo». M. iniziò il suo impegno nella vita politica cittadina nel febbraio 1378 – appena un mese dopo l’instaurazione del priorato popolare e la conseguente cacciata dei nobili – ricoprendo ripetutamente funzioni di primo piano, come quelle di ufficiale sopra l’arbitrio, di conservatore della moneta, di revisore del bilancio comunale, di abbondanziere, di ambasciatore. Poi, dopo il 1384, anno del ritorno al potere dei nobili e della messa al bando della fazione popolare dei raspanti, per nove anni il nome di M. scompare dagli elenchi delle magistrature perugine e dal 1385 al 1391 si perdono del tutto le sue tracce. Anche se non viene mai citato nelle liste dei fuorusciti della parte sconfitta, è probabile che egli si sia ritirato dalla politica attiva, o forse che addirittura abbia scelto l’esilio volontario, appena dissimulato dall’accettazione da parte sua della podesteria di Volterra, nel 1385.
Nel 1393 (ma già almeno due anni prima M. doveva essere rientrato a Perugia, perché nel 1391 è elencato tra i contribuenti di Porta S. Pietro), sotto la guida di Biordo Michelotti, i proscritti popolari rientrarono in patria, dapprima pacificamente, con la mediazione di papa Bonifacio IX, che si trovava in quel momento a Perugia, poi passando a vendicarsi sanguinosamente sui loro nemici, con l’uccisione, il 30 luglio, di molti nobili, tra cui Pandolfo Baglioni.
Il 9 settembre M. risulta tra i venti cittadini incaricati dai Priori del delicatissimo compito di ricostituire i sacculi da dove avrebbero dovuto essere estratti a sorte per il futuro i nomi dei componenti delle magistrature cittadine.
Seguirono anni tormentati per la città: l’assassinio di Michelotti, campione della fazione popolare al potere, per mano dei Guidalotti nel 1398; la continua pressione dei fuorusciti di parte nobiliare e del papa che li sosteneva e i faticosi tentativi della città di tenervi testa, prima dandosi al duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, poi a Ladislao d’Angiò Durazzo re di Sicilia.
In queste vicende M. fu sempre presente da protagonista, in modo particolare quando, nel gennaio 1400, si trovò tra i dieci ambasciatori perugini incaricati di trattare col Visconti le condizioni della sottomissione della città, oppure quando, tra il 1413 e il 1414, lo stesso re Ladislao si avvalse della sua collaborazione come luogotenente del maestro giustiziere del Regno di Sicilia. Ma rispetto alla fine del Trecento il clima politico era mutato: quando nel 1416 Andrea Fortebracci (Braccio da Montone) prese il potere e fece rientrare i fuorusciti in città, determinando il definitivo prevalere della fazione nobiliare, M. non seguì più la sorte della parte politica sconfitta cui era legato. Collaborò invece attivamente con il nuovo regime, accettando di ricoprire su mandato arbitrario di Braccio e dei suoi luogotenenti, almeno sino al febbraio 1421, quelle cariche che in precedenza gli erano state affidate in quanto legittimo rappresentante del potere pubblico.
È questo un importante segnale, tra gli altri, del ricompattamento, ai danni di un ceto delle arti sempre più debole e demotivato, della classe nobiliare intorno a chi poteva assicurare ai suoi membri il mantenimento delle posizioni di preminenza economica e sociale acquisite, in cambio del ridimensionamento dell’autonomia comunale a favore di un potere sempre più autocratico e «principesco».
Dopo il 1421 di M. non ci sono più notizie e non sono noti né il luogo né la data della sua morte.
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