EGIZIO, Matteo
Nacque a Napoli il 23 genn. 1674.
Il padre era originario di Gravina di Puglia, dove serviva come agente la nobildonna Maria Milano dei principi di Ardore. Quest'ultima si prese cura di educare il giovane E. agli studi classici (suo maestro di lettere latine e greche fu Gregorio Messere, uno dei maestri dell'Accademia Medina Coeli), alla filosofia e alla medicina. L'E. peraltro si allontanò presto da questi studi per dedicarsi a quelli di giurisprudenza, nella quale materia si laureò. Venuta meno la sua protettrice, si dedicò, per vivere, all'insegnamento privato delle lettere, della filosofia e del diritto, non disdegnando, ove occorreva, la stesura di documenti legali. Trascorreva molto tempo libero nella biblioteca dell'avvocato Giuseppe Valletta, ricca di circa 18.000 volumi e aperta alla libera consultazione dal suo proprietario, della quale l'E. stesso redasse il catalogo.
L'E. divenne in seguito precettore di Antonio Carmine Caracciolo, principe di Torella, agente del principe Borghese e uditore generale del duca di Maddaloni, M. D. Carafa. La fama della competenza che si era andato acquistando in vari campi dell'antiquaria si allargò; gli veniva spesso richiesto di interpretare iscrizioni e medaglie, o di comporle egli stesso. Redigeva iscrizioni secondo lo stile antico, ed oltre a quelle che fece a Napoli ne compilò una a Roma per la fontana di S. Pietro in Montorio ed una a Firenze per la statua di Antonio Magliabechi.
Era intanto in corrispondenza con il fior fiore della cultura antiquaria del tempo, da Anton Francesco Gori a Scipione Maffei, da Apostolo Zeno a Bernard de Montfaucon. Godeva della stima generale degli eruditi a lui contemporanei, più volte manifestata in varie opere a stampa, ad eccezione di Erasmo Gesualdo, che nelle sue Osservazioni critiche sopra la storia della Via Appia di Francesco M. Pratilli, Napoli 1754, p. 63, in riferimento ad una lettera dell'E. a N. Lenglet du Fresnoy, lo definisce incapace di distinguere tra storia e fantasia, e lo accusa di mancare di discernimento critico.
Fu ammesso all'Accademia degli Uniti di Napoli, dove si distinse per vari componimenti letterari, in particolare un'orazione latina intitolata De scientiarum ambiguitate pronunziata nel 1695, nella quale sviluppava un tema caro alla cultura partenopea di quel periodo, di cui E. condivideva, almeno inizialmente, fermenti ed inquietudini. Collaborò al Giornale dei letterati promosso dallo Zeno. Dal 1700 al 1705 ebbe contatti con il libertinismo, soprattutto con F. Bellissomo, suo corrispondente, che vantava allo stesso E. di aver aperto un circolo che annoverava persone di atteggiamento chiaramente anticurialista.
Per le sue tendenze filoborboniche (nel 1705 aveva steso l'iscrizione per la statua equestre di Filippo V su richiesta del duca di Popoli, e l'anno dopo aveva pubblicato una Lettera in difesa dell'iscrizione per la statua equestre di Filippo V, Napoli 1706) alla venuta degli Austriaci a Napoli fu costretto a rifugiarsi ad Arnalfi. Tornò poi a Napoli, ma rimase sei anni in volontaria relegazione, dedicandosi ai suoi studi.
L'E. condivideva le idee di alcuni letterati di tendenza purista ed antimarinista che si riunivano in casa di Domenico Caravita, nel quartiere dei Vergini, circolo che coltivava anche un'antica tradizione anticurialista napoletana; frequentavano quel circolo il Vico e Gianvincenzo Gravina, che vi portava anche l'allora giovanissimo Metastasio. Questo gruppo, promuovendo un ritorno alla lingua delle origini, quella di Petrarca in particolare, preannunciava le teoriche arcadiche. L'E. elogiò in un sonetto lo stile di un'opera del Vico, De rebus gestis Antonii Caraphaei, pubblicata a Napoli nel 1716. Vico, a sua volta, caratterizzò l'attitudine alla ricerca archeologica dell'E. nell'epitalamio Giunone in danza (1721). L'E. fece poi parte della colonia Sebezia dell'Arcadia col nome di Timaste Pisandeo, e fu socio di numerosissime accademie italiane. Il suo stile curato, sia latino sia italiano, era assai apprezzato dai contemporanei; le influenze puriste, però, gli valsero alcune frecciate satiriche.
Nel 1713 venne pubblicato a Napoli un Memoriale cronologico dell'istoria ecclesiastica, tradotto dal francese di G. Marcello, colla serie degli imperatori romani distesa dall'Egizio. Nel 1714 l'E. pubblicò, sempre a Napoli, Di Sertorio Quattromani, gentiluomo ed accademico cosentino, lettere diverse, con sue annotazioni e la vita dell'autore. Curò anche l'edizione delle Rime di F. Manfredi (Napoli 1720) e del Giro del mondo di G. F. Gemelli Careri (Napoli 1721).
La corrispondenza dell'E. con gli eruditi contemporanei fa di lui un personaggio al quale tutta la cultura del tempo rendeva omaggio e del quale apprezzava il giudizio. Alla Biblioteca nazionale di Napoli sono conservate 912 lettere dirette all'E. da parte di letterati, che offrono un quadro degli interessi dell'E. stesso e dei suoi rapporti con la cultura italiana ed europea. Accanto agli eruditi locali, con i quali l'E. scambiava notizie di interesse antiquario e archeologico, si notano tra i corrispondenti il Muratori, Giusto Fontanini, Apostolo Zeno, Giambattista Vico. Numerose lettere indicano come l'E., andatosi via via allontanando dalle idee e dai fermenti che l'avevano visto coinvolto all'inizio della sua carriera erudita, avesse scelto una posizione mediatrice di conflitti ideologici e di collegamento dei vari circuiti letterari, vicina a quella di un suo illustre amico, Celestino Galiani. Nello stesso tempo, però, non mancano tra le sue conoscenze i personaggi più diversi, quasi a sottolineare una permanente curiosità verso il nuovo: fu l'E., ad esempio, ad introdurre nel mondo della cultura italiana Philipp von Stosch, tedesco, collezionista di medaglie, ma anche agente della prima massoneria, che intendeva diffondere in Italia.
Nella Biblioteca apost. Vaticana, Capponi 272, cc. 414-416, si trova una lettera dell'E. al marchese Alessandro Gregorio Capponi, datata Napoli, 27 luglio 1720; al Capponi 277, cc. 81-82 e 94-95v, altre due lettere allo stesso, Napoli, 27 maggio-20 giugno 1730. Nella seconda l'E. scrive che nel 1723 si era messo a disposizione del Capponidurante un suo viaggio a Napoli.
Nel 1723, il 17 aprile, i deputati dei Capitoli della città di Napoli commisero a Nicola Galizia e all'E. di riferire sul contenuto della Istoria civile del Regno di Napoli di Pietro Giannone, della quale il viceré, cardinale Michael Friedrich von Althann, avrebbe poi proibito la vendita. La scelta dei due eruditi, tra l'altro molto amici, per valutare un'opera che al suo primo apparire aveva suscitato entusiasmi ma anche sospetti, non era priva di significato; l'E. si era allontanato da tempo dalle posizioni anticurialiste dei primi del Settecento e contava ormai amicizie tra i curialisti più accesi (Giusto Fontanini ed il francescano Giovanni Antonio Bianchi).
L'E. fu sospettato dal Giannone, probabilmente a ragione, di aver aiutato Sebastiano Paoli, della Congregazione dei chierici regolari di Lucca, a stendere un libello critico sulla sua Istoria civile. In effetti, in una lettera ad un ecclesiastico suo amico del 14 luglio 1731, l'E. assume un atteggiamento assai critico nei confronti del volume di Giannone. Seppure ancora disposto ad accettare il libertinaggio erudito come fatto di cultura aristocratica, era ormai portato a guardare con sospetto ed a denunciare come pericolosa un'opera politica come quella del Giannone, strumento di diffusione di idee capaci di influenzare non solo pochi intellettuali, ma tutta un'opinione pubblica.
L'E. si era anche formato una grande fama come intenditore di monete e medaglie, che descriveva e valutava con grande precisione, basandosi su dati storici. Nel 1729 venne ritenuto l'unico in grado di spiegare e commentare una tavola di bronzo scoperta presso Tiriolo nel 1640, contenente il Senatusconsultum contro i Baccanali, di cui pubblicò (a Napoli) il commento (Senatusconsulti de Bacchanalibus, sive aeneae vetustae tabulae Musaei Caesarei Vindobonensis explicatio). L'opera servi a cancellare il suo passato filoborbonico e gli valse la benevolenza della corte, ma non incontrò un giudizio molto positivo presso la critica; lo stesso E., cosciente dei difetti in essa insiti, oppose un rifiuto ad alcuni editori che intendevano tradurla in francese e ne preparò una seconda edizione sotto la guida di Anton Francesco Gori, che però non fece in tempo a pubblicare.
Con la venuta dei Borboni a Napoli (1734) fu nominato segretario della città di Napoli. Nel 1735 il principe di Torella, nominato ambasciatore del Regno di Napoli a Parigi, lo volle con sé quale segretario d'ambasciata. Nel 1738 l'E. proponeva a personaggi della corte l'istituzione di un Ordine di S. Gennaro col motto "In sanguine vita" e più tardi, nel maggio 1739, inviava da Parigi a Napoli alcune scritture intitolate: 1) Perché le macchine fioriscono in Francia con tanto vantaggio del commercio; 2) Mezzi per lo sviluppo della marina; 3) Sopra l'uso della lingua spagnuola in queste segreterie; 4) Dissertazione circa l'augusto cognome di Borbone, e sue riflessioni sulla medesima (Arch. di Stato di Napoli, Esteri-Francia, 296). La corrispondenza dell'E. col segretario di Stato, I. Montealegre, conte (poi duca) di Salas (ibid., 296-302), dimostra un notevole senso di osservazione e spirito critico, oltre ad una profonda conoscenza di vari ambienti e persone.
Nel frattempo fece stampare una Lettre aimable d'un napolitain a m. l'abbé Lenglet du Fresnoy, par la quelle il est prié de corriger quelque endroit de sa Geographie touchant le Royaume de Naples, Paris 1738. In essa, però, cadde in alcuni errori ed incorse nelle critiche e nelle censure di Giuseppe Antonini (Soria, Memorie…, I, p. 222).
Terminata la missione a Parigi del principe di Torella alla fine del 1739, l'E. vi restò per vari mesi quale incaricato d'affari, ricevendo l'apprezzamento di Luigi XV per le sue doti diplomatiche. Il sovrano francese gli donò, al termine del suo servizio, una catena d'oro con una medaglia che su una faccia rappresentava il monarca e sull'altra il motivo della donazione.
Il 15 dic. 1738, mentre era segretario d'ambasciata a Parigi, l'E., già avanti negli anni, scrisse al conte di Salas, ministro di Carlo di Borbone, dopo che quest'ultimo aveva portato a Napoli la biblioteca farnesiana, per ottenere il posto di bibliotecario. Gli venne risposto che il posto era già coperto e gli venne offerto l'incarico di presidente di Camera, che però non incontrava il suo assenso. Il 7 ag. 1740, liberatosi il suddetto posto, l'E. venne nominato regio bibliotecario, con lo stipendio annuo di 600 ducati.
Il problema principale da affrontare era quello di reperire una sede degna per le collezioni famesiane, poste provvisoriamente nella galleria reale. L'E. propose la costruzione della biblioteca accanto al palazzo reale con le fondamenta sui pilieri e gli archi dell'Arsenale, ed espose il suo progetto corredato da una pianta e da tutti i particolari per l'organizzazione della biblioteca (Castellano Lanzara, La Real Biblioteca, pp. 1722). Il progetto non ebbe realizzazione, anche perché il re era assai occupato nella grave situazione politica contingente, ed era impegnato nella conduzione degli scavi di Ercolano, ai quali partecipò lo stesso Egizio. Ad Ercolano l'E. dedicò tutta la sua attenzione alla mensa di Giunone in caratteri etruschi, della cui rottura venne incolpato da G. O. Martorelli, a torto secondo il Soria (Memorie…, I, p. 222).
Nel frattempo agli ordini dell'E. vennero nominati quattro impiegati. Egli iniziò il catalogo dei manoscritti e quello degli stampati, peraltro senza speranza di poterlo, per il momento, completare, perché parte della biblioteca era rimasta a Roma in attesa della costruzione della sede.
L'E. fece pressione presso il primo ministro perché vietasse la vendita di biblioteche private senza un previo esame del catalogo per controllare se contenevano libri o manoscritti interessanti per la Biblioteca reale. Si servi inoltre dei duplicati per gli scambi con altre opere presso il libraio Giuseppe Buono, che aveva sede al largo del Castello. Acquistò, sempre per la Biblioteca reale, 33 volumi manoscritti di carattere genealogico della biblioteca di Vincenzo Maria Campione, poi in parte perduti. Si adoperò quindi perché venissero acquistati i manoscritti di Marcello Bonito, archivario generale del Regno, rivolgendo a questo propositO il 28 febbr. 1742 una supplica al duca di Salas, nella quale precisava trattarsi di materiale di estrema importanza per il Regno, perché comprendeva regesti di documenti perduti durante i disordini del 1701. I manoscritti non vennero però acquistati.
L'E. si occupava anche delle altre collezioni farnesiane, quelle di oggetti d'arte, possedendo tra l'altro egli stesso una importante collezione di medaglie ed iscrizioni.
Il 13 febbr. 1745 gli furono assegnati 78 ducati annui per indennità di alloggio, dato che aveva rinunciato all'alloggio assegnatogli nel palazzo reale. Il 10 maggio 1745 venne insignito del titolo di conte.
Mori a Napoli, probabilmente di diabete, di cui soffriva, il 29 nov. 1745. Fu sepolto, secondo la sua volontà, nella chiesa di S. Brigida dei padri della Congregazione della Madre di Dio.
Postumi uscirono gli Opuscolivolgari e latini, Napoli 1751, curati da Domenico Ronchi. Si tratta di una raccolta di scritti di varia erudizione, compilati dall'E. nel corso della sua vita e riguardanti per lo più l'antiquaria. Vi si trova un ritratto dell'E. nell'antiporta. Nel testo s'incontrano commenti a ritrovamenti di medaglie e monete (Taranto, Sant'Agata dei Goti), e di iscrizioni (Serino, Portici, Bovino, Resina, Napoli); una Lettera intorno alla disciplina militare; un Discorso fisico-filologico sulle cause naturali della morte di Elisabetta Maria Trevisani accaduta i due d'ottobre MDCCI nello stesso tempo di quella di Gio. Morosini destinatole per marito preceduta da simiglianti sintomi di simigliante infermità (Napoli 1702); un Saggiodelle poesie volgari del signor Matteo Egizio; una scelta di lettere dell'E.; una raccolta di iscrizioni da lui compilate; una traduzione del secondo libro dell'Iliade; rime varie, oltre alla ristampa di alcune sue opere.
Lasciò anche inedita una raccolta di medaglie ed iscrizioni, con un indice alla raccolta di iscrizioni del Fabretti.
Fonti e Bibl.: Numerosi carteggi e autografi dell'E. si trovano alla Biblioteca nazionale di Napoli. Nella stessa Biblioteca, alla segnatura XIII.C.90-93, si trova una raccolta di 912lettere all'E., che va dal 1698 al 1741. Si veda, inoltre: P. Giannone, Vita … scritta da lui medesimo, Napoli 1905, pp. 223 s., 307, 309, 458; F. Soria, Memorie storico critiche degli storici napoletani, Napoli 1731, pp. 217-223; Novelle letterarie di Firenze, VII (1746), p. 96; G. Gentile, P. Giannone plagiario e grand'uomo per equivoco, in Critica, II (1904), pp. 222 ss.; M. Schipa, IlRegno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano 1923, I, pp. 137 ss., 169 ss.; II, pp. 91, 104, 109, 113, 133, 207ss.; M. G. Castellano Lanzara, La Real Biblioteca di Carlo di Borbone ed il suo primo bibliotecario M. E., Napoli 1942; G. Natali, Il Settecento, Milano 1960, pp. 38, 360 s., 466, 542, 619, 783; P. Giannantonio, L'Arcadia napoletana, Napoli 1962, pp. 28, 165, 172, 210, 301; G. Ricuperati, Giannone e i suoi contemporanei: Lenglet du Fresnoy, M. E. e G. Grimaldi, in Misc. W. Maturi, Torino 1966, pp. 64-75; R. De Maio, Società e vita religiosa a Napoli nell'età moderna (1656-1799), Napoli 1971, p. 317; G. Guerrieri, La Biblioteca nazionale "Vittorio Emanuele III" di Napoli, Milano-Napoli 1974, pp. 4 s., 9, 56, 122, 130; S. Ussia, L'epistolario di M. E. e la cultura napol. del primo Settecento, Napoli 1977.