FARRO, Matteo
Nato a Bellosguardo (Salerno) il 13 marzo 1779 da Giuseppe e da Isabella Marmo, fece i suoi studi nel seminario di Diano (l'odierna Teggiano), dove ebbe come compagno di scuola il compaesano Rosario Macchiaroli, uno spirito molto vivace, poi capo della carboneria di Salerno, deputato al Parlamento napoletano del 1820 e membro della giunta governativa del Principato Citeriore, morto in carcere, il 20 marzo del 1821, trucidato dalla polizia.
Ordinato sacerdote nel 1805, il F. fu subito assegnato come coadiuvante alla chiesa ricettizia del suo paese. Dotato di una buona cultura e fornito di una notevole capacità oratoria, doti che lo fecero conoscere ben presto oltre i confini della parrocchia, per tutto il periodo della dominazione francese nell'Italia meridionale ed anche durante i primi anni della Restaurazione borbonica, almeno fino a quando al governo rimase il ministro Luigi de' Medici, egli veniva continuamente invitato a tenere nelle chiese dei Comuni vicini frequenti prediche e diversi panegirici per i santi. Ma i suoi sermoni, pronunciati con appassionata partecipazione ed animati da profonda fede democratica, avvincenti e fascinosi, si concludevano sempre inneggiando ai principî di libertà e all'esperienza giacobina della Repubblica partenopea del '99.
Entrato nella carboneria salernitana, operante fin dall'ottobre 1812 e in poco tempo distintasi per il suo spirito democratico e per il suo acceso radicalismo, contrapposti, invece, alle posizioni moderate dei carbonari legati agli ex ufficiali murattiani, il F., rappresentante di quel clero che, con gli esponenti più attivi della borghesia, ebbe tanta parte nelle società segrete carbonare, fu tra coloro che esprimevano le idee sociali e politiche più avanzate. Compiuto un viaggio dapprima in Spagna e in Francia e poi in Sicilia, dove aveva propagandato le idee della carboneria, il F. intensificò notevolmente la sua attività, assumendo un posto di primo piano nelle vendite carbonare del Principato Citeriore.
Nel maggio del 1817, dopo la partenza dal Regno di Napoli delle truppe austriache e favoriti dalla politica di assolutismo riformista, propugnata dal Medici, i carbonari di Salerno, città dove era passato ormai il centro dell'organizzazione cospirativa, concordarono con i liberali napoletani e delle altre province meridionali un piano di rivolta che doveva scoppiare nel mese di settembre.
A Pompei, luogo della riunione, si incontrarono numerosi carbonari per esaminare lo spirito pubblico del Regno e per stabilire una linea comune tra i gruppi delle province e della capitale. Tra gli altri si ritrovarono il Macchiaroli, allora capo dell'alta magistratura lucana, organizzatore e fautore di un collegalbento e di un nuovo ordinamento di tutte le vendite carbonare del Principato, il calabrese Gerolamo Arcovito, uno dei difensori del forte di Vigliena nel 1799 e tra quei pochi deputati che nel 1821 si opporrà alla partenza del re Ferdinando I per Lubiana, i fratelli Domenico e Gabriele Abatemarco e altri liberali di Salerno e di Napoli. Il F., reduce dai suoi viaggi, fece numerose comunicazioni, avvalorando il rapporto sulla situazione reale delle province.
Il piano da essi concordato e fatto conoscere a tutte le vendite carbonare del Regno, attraverso alcuni avvisi circolari, fallì subito come tutti quelli escogitati in quegli stessi anni: le difficoltà di coordinamento, i contrasti tra i dirigenti e l'indecisione delle altre province, in particolare del Principato Ulteriore, delle Calabrie e della Basilicata, non ancora abbastanza pronte e decise ad intervenire, non consentirono una pratica attuazione.
Alle prime notizie, pervenute nel Regno di Napoli, dell'insurrezione spagnola di Valenza (aprile 1819), il F., esaltato da questo avvenimento che, pur collocandosi al di fuori dei controllo e delle direttive dei centri rivoluzionari, mirava a ripristinare la costituzione del 1812, abbandonò il proprio paese e si recò nella penisola iberica.
Sul ruolo svolto dal F. in terra spagnola sia in occasione della rivolta valenzana, sia nell'ambito della successiva sollevazione di R. de Riego a Cadice, non si dispone di informazioni attendibili. Di sicuro si sa che, durante la sua assenza, il clero di Bellosguardo, riunitosi il 18 giugno 1819, gli sospese l'assegno di partecipante.
Nel luglio 1820, allo scoppio del moto di Noia, il F. ritornò precipitosamente a Napoli. La rivoluzione vittoriosa costrinse il re ad adottare per il Regno la costituzione spagnola del 1812. Durante il nonimestre costituzionale il F., come si deduce dalle dichiarazioni della polizia, fu tra i più attivi sostenitori del nuovo ordine.
Nel settembre 1820 rientrò nel suo paese e il clero gli restituì l'assegno con tutti gli arretrati maturati, a patto che servisse la chiesa per almeno otto mesi continui. Anche questo impegno non poté essere mantenuto perché, dopo la reazione seguita alla rivolta, egli fu rinchiuso nelle carceri di Salerno e nel dicembre 1822 accusato di aver partecipato alla rivoluzione e di appartenere alla carboneria "prirna dell'epoca dal 2 al 6 luglio 1820", nonché "dopo il 24 marzo 1821" (Arch. di Stato di Salerno, Gran Corte criminale, Processi politici, b. 12, f. 3). La detenzione fu lunga, al punto da indurre il clero di Bellosguardo a deplorarne ufficialmente l'assenza l'8 sett. 1824.
Nel gennaio 1848 il Cilento, pochi giorni dopo l'insurrezione della Sicilia, si ribellava ai Borboni. Il 29 gennaio fi re concesse la costituzione. Il F., nel frattempo liberato, pur essendo ormai in età avanzata, per le vie e per le piazze del paese predicò la rivolta. Il 2 luglio 1848, scoppiata una nuova sommossa in appoggio al moto avvenuto in Calabria, si unì come volontario alle bande insurrezionali, facendo parte della colonna guidata dal calabrese di Pedace Antonio Curcio.
"Lungo il cammino, alla svolta di una via, si udì un poderoso grido di 'Viva la costituzione del 1820' ed apparve un vecchio prete, bianco nei capelli, ma dritto e robusto nella persona, Matteo Farro di Bellosguardo. Comunque avesse da un pezzo passato i settant'anni, di cui parecchi in carcere, per i fatti del '20, serbava ancora nell'anima gli antichi entusiasmi" (Mazziotti, Costabile Carducci, II, p. 47). Nominato cappellano, non fece che spronare le popolazioni cilentane alla ribellione. A Sala Consilina, costretto il sacrestano della chiesa di S.Pietro ad aprire le porte, celebrò la messa, facendo anche un'allocuzione al popolo, esortandolo ad armarsi e ad unirsi alla rivoluzione per costringere il re ad accettare, riformata su basi democratiche, la costituzione del 1820.
Conclusosi nel Cilento il movimento rivoluzionario per la mancanza di aiuti, per il fallimento dell'insurrezione calabrese e per l'inesistenza di una solida preparazione politica dei dirigenti, la colonna del Curcio, che si era ritirata ad Ogliastro, si sciolse e il F., per timore di essere arrestato, si diede alla latitanza, nascondendosi in una foresta presso Corleto nella frazione Ponticelli.
Le condizioni inumane in cui viveva, "profugo e vagante per i boschi e macchie della foresta e dormire sopra la nuda terra assoggettandosi a tanti pericoli che si possono incontrare nella campagna particolarmente nella notte" (lettera del F. il 4 sett. 1848 al deputato Sirgiovanni, in Processi politici, b. 288, f. 9), lo prostrarono a tal punto da indurre in lui qualche ripensamento in ordine al suo passato di agitatore.
Il 2 luglio 1849, dopo essere rimasto nascosto per quasi un anno, tradito da una spia, fu scoperto ed arrestato da una folta schiera di sbirri e di guardie urbane. Sottoposto a giudizio dalla gran corte criminale di Salerno, fu accusato di aver ordito un attentato avente per oggetto il cambiamento della forma di governo, di aver organizzato bande incaricate di saccheggiare denaro ed effetti pubblici e di aver predicato la democrazia, la repubblica e il comunismo. Il 1º apr. 1851 fu condannato, per la sua inesauribile attività di predicatore rivoluzionario, a 26 anni di carcere. Si narra che, alla lettura della severa sentenza, il F., con animo sereno, rivolgendosi alla corte, abbia esclamato: "Signor Presidente, i sei anni li farò io, i restanti li farete voi" (Diz. del Risorg., p. 43) .
Fu rinchiuso nel bagno penale di Nisida (Napoli). Nel luglio del 1854 vi contrasse il colera. Trasportato nell'ospedale colerico, si aggravò in poche ore e, abbandonato da tutti e privo di assistenza, morì.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Salerno, Gran Corte criminale, Processi politici, bb. 8, f. 30; 81, f. 8; 82, f. 3; 254, ff. 5 s.; 255, f. 1; 288, f. 9; 290, ff. 6-9; M. D'Ayala, I nostri morti in Napoli e in Sicilia. Statistica politica, Napoli 1860, p. 15; A. Pizzolorusso, I martiri per la libertà ital. della provincia di Salerno dall'anno 1820 al 1857, Salerno 1885, p. 14; M. Mazziotti, C. Carducci ed i moti del Cilento nel 1848, Roma-Milano 1909, I, p. 141; II, pp. 47, 49; Id., La reazione borbonica nel Regno di Napoli (episodi dal 1849 al 1860), Milano-Roma-Napoli 1912, pp. 236-240; Id., La rivoluzione del 1820 in provincia di Salerno, in Rass. stor. del Risorg., VIII (1921), fasc. speciale, pp. 131-146 (anche in Arch. stor. per la prov. di Salerno, I [1921], 4, pp. 273-294); R. Soriga, Le società segrete e i moti del 1820 a Napoli, ibid., pp. 147-178; G. De Crescenzo, Dizionario degli illustri e benemeriti salernitani, Salerno 1937, p. 50; R. Soriga, Le società segrete, l'emigrazione politica e i primi moti per l'indipendenza, Modena 1942, p. 85; G. Quazza, La paura del comunismo a Napoli nel 1848-49 (Spunti inediti), in Nuova Riv. stor., XXXII (1948), 2, pp. 217-231; G. Spini, Mito e realtà della Spagna nelle rivoluzioni italiane del 1820-21, Roma 1950, p. 12; G. Berti, I democratici e l'iniziativa meridionale nel Risorgimento, Milano 1962, ad Indicem (indicato sotto il nome di M. Ferri); Storia del Vallo di Diano, III, a cura di P. Villani, Salerno 1985, p. 364; Dizionario del Risorgimento naz., III, ad vocem.