FELICE, Matteo
La prima opera documentata di questo miniatore napoletano attivo tra il 1467 e il 1493 è il ms. Pal. lat. 1740 della Biblioteca apost. Vaticana, contenente il De consolatione philosophiae di Boezio e il De adolescentia di P. P. Vergerio.
Si tratta di un codice membranaceo unitario scritto da Pietro Ursuleo da Capua e miniato dal F., così come attestano le note di pagamento del 1467 di Agnolo Manetti (Banti, 1939; Tristano, 1991) che lo aveva commissionato durante un soggiorno napoletano. La decorazione a bianchi girari con putti rotondeggianti mostra un'interpretazione tutta partenopea di tale repertorio di origine fiorentina.
Con buona probabilità la formazione del F. dovette avvenire a fianco del più noto miniatore al servizio dei re d'Aragona di Napoli, Cola Rapicano; i due maestri realizzarono una serie di codici miniati per la biblioteca di Alfonso il Magnanimo, re di Napoli dal 1442 al 1458. Tra questi il Seneca, De quaestionibus naturalibus, De remediis fortuitorum, Liber proverbiorum, ms. Latin 17842 della Biblioteca nazionale di Parigi, eseguito a Napoli verso il 1455, è stato considerato come una delle prime realizzazioni del F. (Avril, 1984).
Il frontespizio a bianchi girari presenta un medaglione con l'effigie del Magnanimo e un'iniziale Q con Seneca nello studiolo. Mentre le larghe volute testimoniano un'assimilazione personale di questo decoro di matrice fiorentina, la figura del filosofo nella sua biblioteca richiama lo stile fiammingo-napoletano della metà del secolo. Il senso d'intimità della scena, l'attenzione per i particolari e l'apertura verso il paesaggio evocano la pittura fiamminga tanto amata dai monarchi aragonesi, ed in particolare da Alfonso che possedeva nelle sue collezioni, tra l'altro, un dipinto dal tema analogo: il celebre trittico Lomellino di Jan van Eyck che su uno dei pannelli raffigurava un S. Gerolamo nello studio. IlF. aveva potuto inoltre ispirarsi al dipinto con S. Gerolamo (Napoli, Museo di Capodimonte) di Colantonio, il più fervente ammiratore del maestro fiammingo.
Il De Marinis (II, 1947, pp. 149 s.) aveva identificato il calligrafo del Seneca di Parigi in Pietro Ursuleo da Capua, il cui nome ritorna spesso nei conti della Tesoreria aragonese, e aveva attribuito la decorazione allo stesso miniatore del De providentia liber di Seneca della Nationalbibliothek di Vienna (cod, 6, Philol. 35). Tale proposta è stata in seguito ripresa aggiungendo a questo primo nucleo altri due manoscritti: l'Aelianus, De instruendis aciebus (ms. Lat. class. d. 38) della Bodleian Library di Oxford e il De terremotu di Giannozzo Manetti (ms. g. III. 23) della biblioteca dell'Escorial (Pächt-Alexander, 1970). È stato, infine, collegato a questo gruppo il Boezio della Biblioteca apost. Vaticana, miniato nel 1467 dal F., e riconosciuta l'attività del binomio F.-Ursuleo in altri manoscritti di identico formato (Vienna, Nationalbibliothek, cod. 69 e Modena, Biblioteca Estense, ms. alfa H.5.1) che formano con il Seneca di Parigi una sorta di corpus delle opere di Seneca (Avril, 1984). Poiché la maggior parte di questi codici, quali il Seneca di Parigi o il Manetti dell'Escorial, è stata realizzata per la biblioteca di Alfonso il Magnanimo, si può ipotizzare che il F. avesse iniziato la sua carriera proprio negli anni Cinquanta del secolo, allorquando i miniatori reali erano impegnati nella decorazione del Libro d'oro di Alfonso, ms. I.B.55 della Biblioteca nazionale di Napoli. Va infatti considerato che un documento della Tesoreria reale dell'8 nov. 1455 cita, fra i calligrafi. della biblioteca reale, un certo "Maffeo" o "Masseo" (De Marinis, II, 1947, p. 239). Quest'ultimo si potrebbe identificare con il F., il quale nei documenti successivi appare sotto il nome di "Maczeo" o "Macteo", ipotizzando che egli, come Cola Rapicano, avesse iniziato la sua attività al servizio della corte appunto come calligrafo tanto più che nel documento del 1455 tale Maffeo compare insieme con Pietro Ursuleo, lo scriba che collaborerà a lungo con il Felice.
All'artista è possibile attribuire la decorazione di un altro manoscritto firmato da Pietro Ursuleo, il De rebus gestis regis Alphonsi di Bartolomeo Facio (ms. Q.I.7) della biblioteca dell'Escorial.
Sia l'iniziale E, raffigurante Alfonso a cavallo, sia i putti del fregio vegetale rivelano la mano del F. sul finire degli anni Cinquanta.
Ricostruita così la sua attività giovanile, è possibile attribuirgli la decorazione di un altro manoscritto firmato da Pietro Ursuleo: la Bibbia aragonese della Pontificia Università Lateranense di Roma.
I putti che si arrampicano sui racemi del fregio che circonda il testo, le raffinate figure delle iniziali istoriate, cosi come gli eleganti fondi quadrettati, fanno di quest'opera uno dei migliori prodotti della sua attività giovanile (Toscano, 1992-1993).
In questa stessa fase è possibile inserire il C. Cyprianus, Epistolae, ms. Pal. lat. 158 della Bibl. apost. Vaticana e il F. Petrarca, De viris illustribus (Stoccolma, Biblioteca Reale, ms. coll. Halm D 121a). Quest'ultimo codice è stato scritto da Giovanni Marco Cinico nel 1467; lo stesso calligrafo firma e data nel 1469 l'Onosander, De optimo imperatore della Biblioteca dell'Escorial, la cui decorazione spetta ugualmente senza dubbio al Felice.
Negli anni Sessanta l'attività del F. si affiancò a quella del più vecchio e arcaizzante miniatore attivo al servizio della regina Isabella Chiaramonte, noto come Maestro dei Suffragi (Toscano, 1991). Questa collaborazione appare con evidenza nel Salterio, ms. 131 F 18 della Biblioteca reale dell'Aja. Anche se il foglio 15 presenta un fregio molto simile ai frontespizi del Libro d'ore di Isabella Chiaramonte (ms. Typ 463, Houghton Library, Harvard University), le numerose iniziali istoriate, come quella con il Trionfo di David (f. 86v), rivelano la mano del Felice. Non a caso, infatti, il corpus dell'anonimo Maestro dei Suffragi è stato ricostruito attraverso un più attento riesame di opere in passato attribuite al F. (Katzenstein, 1990). Anche il Beda, Expositio in parabolas Salomonis commentaria in Canticorum canticas, ms. Latin 2347 della Bibliothèque nationale di Parigi, è un'opera nata certamente dalla collaborazione tra i due maestri.
Il frontespizio a racemi vegetali ornato da medaglioni con emblemi aragonesi (libro aperto, monte di diamante, ermellino, ecc.) presenta nella parte inferiore lo stemma di Ferrante d'Aragona e nell'iniziale P l'immagine del re Salomone. La Katzenstein (1990) attribuisce la decorazione di questo codice, scritto da Venceslao Crispo, al Maestro dei Suffragi, il miniatore di Isabella Chiaramonte. Anche se lo stile del manoscritto risulta molto simile alle opere tarde dell'anonimo maestro di Isabella Chiaramonte, la presenza dell'ermellino, Ordine fondato nel 1465, e il fatto che il volume sia stato scritto dal calligrafo di origine boema Venceslao Crispo, la cui attività presso la corte degli Aragonesi si situa nell'ottavo decennio del secolo, inducono a considerare l'opera come un prodotto della bottega del F. ed a datarla a quel decennio.
Un'eco di questa collaborazione tra i due maestri è evidente in un'opera più tarda del F.: il Breviario, ms. 662 della Biblioteca universitaria di Valencia, datato 1475.
La ricca decorazione del codice rivela la raffinatezza tecnica del F., memore dell'elegante vocabolario del Libro d'ore di Alfonso, soprattutto nelle cornici a piena pagina, mentre alcuni fondi quadrettati in oro mostrano il ricorso del maestro al repertorio tardo-gotico sperimentato a Napoli dal Maestro dei Suffragi (Toscano, 1992-1993).
A partire da questo momento, una serie di libri a carattere devozionale attesta l'abbondante produzione del pennello del miniatore: il Salterio con lo stemma della famiglia d'Ayerbo dell'abbazia di Mercogliano (Perriccioli Saggese, 1990), quello venduto presso Sotheby's a Londra il 15 dic. 1911 (lot. n. 482), o quello con lo stemma di P. Diaz Garlon, ms. Vat. lat. 3467 della Biblioteca apost. Vaticana (Morello, 1988). A questa fase della sua attività è possibile attribuire la decorazione di un altro Salterio (Londra, Sotheby's, 16 giugno 1954, lot. 27) e del ricco Salterio-Libro d'ore venduto a Londra nel 1981 (Sotheby's, 18 maggio 1981, lot. n. 18).
Quest'ultimo manoscritto presenta numerose miniature a piena pagina dove è possibile ritrovare un'eco della coeva pittura napoletana. Anche se la splendida Crocifissione del foglio 164 evoca le composizioni di Colantonio o del giovane Antonello da Messina, i santi a figura intera che ornano la parte finale del manoscritto (ff. 213v, 214v, 216v, 217v, 218v, 219v, 220v, 221v, 222v, 223v e 224v) si inseriscono, invece, nel panorama della pittura napoletana degli anni Ottanta del Quattrocento (cfr. catal. di vendita). In particolare, il carattere monumentale dei personaggi trova un suo parallelo nelle opere del pittore A. Arcuccio.
Gli ultimi dieci anni del secolo furono estremamente fecondi per il F., che lavorò in collaborazione con lo scriba Venceslao Crispo alla realizzazione di una serie di manoscritti contenenti le opere di s. Tommaso: i mss. Latins 495, 674 e 6525 della Biblioteca nazionale di Parigi.
Il S. Tommaso, In Isaiam expositio (Latin 495) presenta un frontespizio a racemi con lo stemma di Ferrante I d'Aragona, re dal 1458 al 1494. Il testo, disposto su due colonne, si apre con una rappresentazione di S. Tommaso nella sua biblioteca. La decorazione di questo manoscritto, firmato da Venceslao Crispo nel 1489, è stata collegata dal De Marinis (II, 1947, pp. 159 s.) ad un pagamento in favore del F. del 7 ag. 1492. Questa attribuzione è inoltre confermata dall'analisi stilistica del frontespizio, ove si ritrova il repertorio abituale del miniatore napoletano.
Ugualmente dal F., come si rileva da un documento della tesoreria reale del 1492, fu decorato il S. Tommaso, Expositio in omnes epistolas Pauli (Latin 674).
Inoltre, un pagamento dello stesso anno in favore del F. per "uno principio chi a fatto a lo libro de santo Thomasi sopra Aristotile" si riferisce certamente alla decorazione del ms. Latin 6525: il s. Tommaso, Commentaria in libros Aristotelis de celo et mundo et super libros de generatione et corruptione. Il frontespizio con racemi a fogliami antichizzanti con putti e angeli, così come l'iniziale S, con s. Tommaso, testimoniano la fase finale della produzione del Felice.
Alla lunga e prolifica attività del maestro è possibile infine attribuire la decorazione di altri codici realizzati per la famiglia reale o per personaggi della corte, come il s. Tommaso, Opera, ms. 792 della Biblioteca universitaria di Valencia, il Vitruvio, ms. 737 della stessa biblioteca, il Quintiliano, Institutium Oratoriarum. Libri XII, appartenuto a Giovanni Pontano, della Nationalbibliothek di Vienna (cod. 30, Philol. 14) e il Leonardus Brunus Aretinus, Libri tres de Primo Bello Punico, translati in vulgare della stessa biblioteca (cod. 3400*, Fosc. 116), scritto nel 1481 da "Baptista Stravandria de Gyratio ad instancia del magnifico Colecta de Amendola de Neapoli".
Dalla lunga lista di codici attribuiti al maestro da Tammaro De Marinis (1947-1969) è senz'altro da espungere la decorazione del Collectarium, ms. X.I.3 della Biblioteca degli Intronati di Siena, opera realizzata da un altro miniatore al servizio degli Aragonesi, Cristoforo Majorana.
Fonti e Bibl.: J. Hermann, Die Handschriften und Inkunabeln der italienischen Renaissance, III, Mittelitalien: Toskana, Umbrien, Rom, Leipzig 1932, pp. 132-134, figg. XLI-XLII; IV, Unteritalien: Neapel, Abruzzen, Apulien und Calabrien, ibid. 1933, pp. 13 s., fig. IV; L. Banti, Agnolo Manetti e alcuni scribi a Napoli nel secolo XV, in Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa. Lettere, storia e filosofia, VIII (1939), pp. 382 ss.; T. De Marinis, La biblioteca napoletana dei re d'Aragona, I, Milano 1952; II-IV, ibid. 1947; VVI, Verona 1969, ad Indices;G. M. Cagni, I codici vaticani di Giannozzo Manetti, in La Bibliofilia, LXII (1960), p. 39; S. Garofalo, Una sconosciuta Bibbia aragonese, in Studi di bibliografia e di storia in onore di T. De Marinis, II, Verona 1964, pp. 311 ss.; T. De Marinis, Codici miniati a Napoli da M. F. nel secolo XV, in Contributi alla storia del libro italiano. Miscellanea in onore di L. Donati, Firenze 1969, pp. 93-106; O. Pächt-J. J. G. Alexander, Illuminated manuscripts in the Bodleian Library Oxford, II, Italian school, Oxford 1970, p. 36; A. Daneau Lattanzi, Di alcuni codici miniati attribuibili a M. F. e bottega, in La Bibliofilia, LXXV (1973), pp. 1-43; A. Putaturo Murano, Miniature napoletane del Rinascimento, Napoli 1973, p. 39; Schatten van de Koninklijke Bibliotheek (catal.), 's-Gravenhage 1980, pp. 140 s.; Liturgische handschriften uit de Koniklijke Bibliotheek (catal.), 's-Gravenhage 1983, p. 23, fig. 58; F. Avril, Dix siècles d'enluminure italienne (catal.), Paris 1984, pp. 171-173 n. 152; Libri d'ore della Bibl. apost. Vaticana, a cura di G. Morello, (catal.), Zürich 1988, pp. 24 s., fig. a pp. 18 s.; R. Katzenstein, A Neapolitan Book of hours in the J. Paul Getty Museum, in The Paul Getty Museum Journal, XVIII (1990), pp. 69-97; A. Perriccioli Saggese, I codici miniati, in Insediamenti verginiani in Irpinia, a cura di V. Pacelli, Napoli 1990, pp. 180 s.; G. Toscano, Corali e minii per S. Maria di Monteoliveto, in Miniatura a Napoli dal '400 al '600. Libri di coro delle chiese napoletane (catal.), Napoli 1991, pp. 43-46; C. Tristano, Economia del libro in Italia tra XV e XVI secolo: il costo del libro "nuovo", in Bulletin du bibliophile, II (1991), pp. 273-298;D. Thiébaut, Le Christ à la colonne d'Antonello de Messine (catal.), Paris 1993, p. 37 fig. 20; G. Toscano, Les rois bibliophiles. Enlumineurs à la cour d'Aragon à Naples (1442-1495). Les manuscrits de la Bibliothèque nationale de Paris, tesi di dottorato, Université de Paris IV-Sorbonne, a.a. 1992-1993, I, pp. 345-355.