GARRONE, Matteo
Regista cinematografico, nato a Roma il 15 ottobre 1968. Si è affermato nei primi anni Duemila come uno dei più interessanti cineasti della nuova generazione. Cifra riconoscibile del suo cinema è una commistione tra duro realismo di derivazione documentaristica e cura formale nell’uso degli spazi e nell’invenzione visiva, derivante dai suoi inizi come artista visivo. La libertà espressiva, la mobilità della macchina da presa, il metodo dell’improvvisazione con attori non professionisti si accompagnano con la ricerca di atmosfere e ambientazioni che partono dal reale ma lo esasperano, combinandolo con elementi di ricerca visuale.
La contaminazione tra realtà e finzione è evidente fin da Estate romana (2000) che racconta una Roma visionaria ai tempi del Giubileo, memore delle stagioni del teatro underground, percorsa dal coro di figure di ‘irregolari’ che inseguono i propri sogni perduti.
Il primo successo vero lo ha però ottenuto con L’imbalsamatore (2002), David di Donatello per la migliore sceneggiatura, in cui la cronaca di un amore impossibile e morboso compone un ‘noir’ di provincia dove perversioni e tenerezze si risolvono nel vuoto esistenziale riflesso nei non luoghi della postmodernità, fotografati con uno stile astratto che ricorda il cinema di Michelangelo Antonioni. Stile confermato da Primo amore (2004), che parte ancora da un fatto di cronaca e da un amore malato, quello di un uomo ossessionato dal dimagrimento della donna amata, fino a ridurla a oggetto e distruggerla: qui G. sembra guardare ai film di Marco Ferreri, proseguendo un lavoro sull’immagine intesa come ‘feticcio’. La consacrazione è poi arrivata con Gomorra (2008), tratto dal fortunato libro di Roberto Saviano (Gran premio della giuria al Festival di Cannes e miglior film e regia agli European film awards): una rapsodia durissima sulle dinamiche criminali dell’hinterland napoletano che riscatta la neutralità documentarista a ridosso del reale con la precisione formale in cui gli spazi concentrazionari si fanno metafora di una condizione umana, prima che sociale. Successo confermato da Reality (2012) in cui G. ritorna su un set napoletano, questa volta omaggiando il cinema di Vittorio De Sica, trasfigurando i vicoli in chiave favolistica, accentuando il barocchismo nella costruzione degli spazi e raccontando ancora un sogno a occhi aperti che finisce in autodistruzione: quello di un pescivendolo (di nuovo, come in Gomorra, un non attore, l’ex detenuto Aniello Arena) che rovina se stesso e la famiglia nell’illusione di partecipare a un reality show. A interessare G. è il ‘carnevale della vita’, la tenerezza delle maschere, anche mostruose, che lo popolano, dentro una società inflazionata dalle immagini e svuotata di senso, il cui solo riscatto sembrerebbe il raccontarsi favole. Forse è questa la ragione per cui nel 2015 G. ha realizzato un visionario film in costume, con un cast internazionale, Tale of tales (Il racconto dei racconti), presentato al Festival di Cannes, tratto dalla silloge di fiabe barocche del Pentamerone di Giambattista Basile, in cui si susseguono invenzioni visive e spaziali, ambientate in siti storico-artistici e paesaggi soprattutto del Sud italiano, costruendo un’atmosfera tra il fantasy e l’horror, e una suggestiva mescolanza di realtà e onirismo.