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Palmieri, Matteo

di Claudio Finzi - Enciclopedia machiavelliana (2014)
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Palmieri, Matteo

Claudio Finzi

Nacque a Firenze il 13 gennaio 1406 e ivi morì il 13 aprile del 1475. La sua famiglia godeva di una certa agiatezza e aveva raggiunto anche un discreto livello sociale, grazie alle cariche pubbliche ricoperte. P. era speziale, con bottega al Canto alle Rondini, ma non gli mancavano terreni agricoli e beni immobili che, con il passare del tempo, divennero prevalenti nell’economia familiare. La moglie, Niccolosa, era una Serragli, famiglia tra le principali della città. La coppia non ebbe figli, cosicché Matteo si prese cura dei figli del fratello. Fitta, intensa e di grande rilievo era la rete delle sue amicizie tanto tra i politici quanto tra i dotti; con Poggio Bracciolini aveva anche un legame di parentela. Ebbe fama di uomo saggio, di grande correttezza e rigore morale, che dimostrò anche quando rifiutò di cacciare dal podere una famiglia di fittavoli che non riusciva a rispettare i patti previsti:

sono rimasi di detto Piero XIII nipoti di piccola età, [...] scalzi e ignudi e pieni di stento, in modo m’è paruto una infamia a torre loro el pane di bocca. Infine l’anno passato sono rimasto me ne diano l’anno di fitto mogio uno di grano (M. Palmieri, Ricordi fiscali (1427-1474), a cura di E. Conti, 1983, p. 124).

Fu buon oratore, apprezzato anche fuori di Firenze. P., come molti personaggi del Quattrocento italiano, percorse contemporaneamente due carriere parallele e complementari: da un lato, le cariche politiche, concreto campo d’azione nella vita della città; dall’altro, l’attività di scrittore, soprattutto di politica e di storia.

Per tutta la vita sostenitore dei Medici, nel 1432 ottenne la prima carica pubblica; due anni dopo fece parte della Balìa che richiamò dall’esilio Cosimo de’ Medici, cacciato da Firenze un anno prima. Da quel momento, benché con alcuni intervalli, fu un susseguirsi di cariche politiche fino al vertice dello Stato fiorentino, raggiunto con la nomina a gonfaloniere di giustizia nel 1453. Alle cariche interne si alternarono incarichi esterni: ambascerie importanti e delicate e funzioni di governo nelle città del dominio.

Negli anni Trenta scrisse la Vita civile, la sua principale opera politica, che, a giudicare dalle copie manoscritte che ci sono pervenute, ebbe una discreta diffusione in Firenze. Nel Cinquecento il testo fu stampato due volte in italiano e una in francese e fu conosciuto anche in Inghilterra, dove ebbe qualche influenza.

L’opera è divisa in quattro libri. Il primo è dedicato all’educazione del fanciullo e del giovane, in vista soprattutto della vita politica, nel rispetto della scala gerarchica usuale nel nostro Umanesimo. P. scrive in volgare invece che in latino, perché desidera che tutti possano apprendere come ci si deve comportare politicamente in un mondo segnato dall’inevitabile imperfezione umana.

Nel seguito, P. tratta delle quattro virtù cardinali: prudenza, fortezza e temperanza sono analizzate tutte nel secondo libro, mentre la giustizia occupa da sola l’intero terzo, segno evidente della maggiore importanza di questa virtù per il vivere civile. Il quarto libro tratta dell’utile, tanto pubblico quanto privato. La vita dell’uomo si snoda tra questi due poli, virtù e utile, che spesso entrano in contrasto fra loro. Nell’opera troviamo discussi anche altri aspetti del vivere politico: la patria, la legge, il governo, le imposte.

Altre opere di P. hanno carattere storico, ma con l’occhio sempre rivolto alla politica. La Vita Nicolai Acciaioli presenta la biografia di un uomo politico esemplare, che ha ottenuto grandi successi grazie alle sue qualità personali; il De captivitate Pisarum sottolinea la caducità delle istituzioni e delle comunità umane, il cui destino non è diverso da quello dei singoli uomini; il De temporibus è una cronologia universale, largamente diffusa in Italia e oltre le Alpi sia nelle copie manoscritte sia nelle edizioni a stampa del tardo Quattrocento e del pieno Cinquecento, dedicata a Piero de’ Medici e scritta con il dichiarato intento di essere utile all’uomo politico, che deve conoscere la storia per potere operare correttamente; gli Annales sono costituiti da annotazioni cronachistiche stese per uso personale. Considerazioni su questioni fiscali troviamo nel Libro di Ricordi di portate et altre memorie diverse, quaderno privato, nel quale P. registrava non solo le dichiarazioni dei redditi e le imposte pagate, ma anche notizie sulla sua famiglia e sulle vicende familiari. L’unico suo scritto estraneo alla politica è la Città di vita (1464), lungo poema teologico in terzine dantesche, nel quale utilizza anche le tesi di Origene.

Le ricerche degli ultimi decenni hanno individuato e studiato a fondo gli elementi e le occasioni di contatto tra le opere di M. e quelle dei suoi precedenti e contemporanei, tra i quali P. ha una posizione di tutto rilievo. Il tema, peraltro, si colloca all’interno di un problema più vasto, quello della cultura di M.: i grandi classici antichi, resi più disponibili grazie all’intensa attività di riscoperta e di edizione sviluppatasi fra Trecento e Quattrocento, insieme con la letteratura umanistica, o piuttosto la letteratura politica e storica in volgare del 15° sec. fiorentino e, più generalmente, toscano e italiano? Al dibattito in corso possono concorrere i riscontri fra i testi di M. e quelli di Palmieri.

Il cap. xv del Principe si apre con una dura e chiara affermazione di realismo politico. M. proclama di volersi attenere alla «realtà effettuale», rifiutando ogni volo tra quelle istituzioni immaginarie che tante volte sono state disegnate. Nel proemio alla Vita civile P. aveva già dichiarato di non voler fondare il suo discorso sull’osservazione di regimi immaginari, benché fossero stati descritti da pensatori importanti come Platone.

È certo improbabile che l’autore della Mandragola avesse letto la Città di vita; più verosimile, invece, che conoscesse la Vita civile. Nel quale caso, componendo l’inizio del xv capitolo del Principe [...] si sarà certo ricordato di quello che il Palmieri aveva scritto, a sua volta, nel proemio generale della sua opera giovanile (Martelli 1983-1984, p. 297).

Nelle ultime righe del medesimo capitolo M. scioglie il legame tra l’utile e l’onesto, ritenuto ferreo fin dall’antichità. Ma P. aveva già ammesso che i due valori possono entrare in contrasto; in linea di principio si deve sostenere l’identità tra l’utile e l’onesto, ma nel concreto della vita ci si deve adattare alle situazioni e alla consuetudine: «E come da i più si dice, così noi direno alle volte essere utile quello che non è onesto, e essere onesto quello che non è utile» (Vita civile, ed. critica a cura di G. Belloni, 1982, pp. 151-52).

Nel proemio alle Istorie fiorentine M. afferma che se Firenze non avesse avuto le sue terribili discordie interne, sarebbe stata superiore a qualsiasi Stato antico o moderno. Anche in questo caso vi è un puntuale riscontro nella Vita civile:

Ma io non posso sanza lacrime ricordarmi che gl’ingegni e naturali forze de’ Fiorentini sono da Dio tanto optimamente disposte a qualunche cosa excellente che, se le dissensioni et guerre civili non avessino drento della città quelle ne’ proprii danni conferiti, certo non solo in Italia, ma fuori di quella, erano attissimi a dilatare loro signoria sopra le strane generazioni (p. 134).

Meno caratteristico è il consenso fra P. e M. nel condannare l’uso dei mercenari, perché l’idea è ampiamente presente nel Quattrocento toscano, in autori come Leonardo Bruni, Francesco Patrizi, Domenico Cecchi, Cristoforo Landino.

Bibliografia: De captivitate Pisarum liber, a cura di G. Scaramella, in RIS, 19° vol., parte II, Città di Castello 1904; Annales, a cura di G. Scaramella, in RIS, 26° vol., parte I, fascc. 1-4, Città di Castello 1906-1915; De temporibus, a cura di G. Scaramella, in RIS, 26° vol., parte I, fasc. 4, Città di Castello 1915; Vita Nicolai Acciaioli, a cura di G. Scaramella, in RIS, 13° vol., parte I, Bologna 1918-1934; Libro del poema chiamato Città di vita, ed. M. Rooke, 2 voll., Northampton (Mass.)-Paris 1927-1928; Protesto fatto per Matteo Palmieri gonfaloniere di compagnia innanzi a’ Signori e Collegi e altri Uffici, in G. Belloni, Il Protesto di Matteo Palmieri, «Studi e problemi di critica testuale», 1978, 16, pp. 41-48; Vita civile, ed. critica a cura di G. Belloni, Firenze 1982; Ricordi fiscali (1427-1474), a cura di E. Conti, Roma 1983.

Per gli studi critici si vedano: R. De Mattei, Giusto e utile in età umanistica, in Id., Dal premachiavellismo all’antimachiavellismo, Firenze 1969, pp. 3-14; M. Martelli, Palmeriana, «Interpres», 1983-1984, 5, pp. 277-301; C. Finzi, Matteo Palmieri. Dalla Vita civile alla Città di vita, Milano 1984; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 2 voll., nuova ed. Bologna 1993; F. Bausi, Machiavelli e la tradizione culturale toscana, in Cultura e scrittura di Machiavelli, Atti del Convegno, Firenze-Pisa 27-30 ott. 1997, Roma 1998, pp. 81-115; F. Bausi, Machiavelli, Roma 2005; A. Mita Ferraro, Matteo Palmieri. Una biografia intellettuale, prefazione di C. Vasoli, Genova 2005.

Vedi anche
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palmierite s. f. [dal nome del fisico L. Palmieri (1807-1896), col suff. -ite dei minerali]. – Minerale trigonale, solfato di piombo e potassio, da incolore a bianco con lucentezza perlacea, che si rinviene in sottili lamelle nei prodotti...
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