RAELI, Matteo
– Nacque a Noto il 23 dicembre 1812 (ma la data è controversa) da Paolo, un benestante e stimato avvocato che fu anche consigliere di Intendenza nell’amministrazione borbonica, e Marianna Campisi. Studiò giurisprudenza a Catania, ove si laureò nel 1832 e si associò alla neonata Accademia Gioenia (prima come allievo nel 1827; due anni dopo come socio corrispondente). Nel 1835 sposò la siracusana Antonina Campisi: a Siracusa si affermò subito nella professione di avvocato che gli fruttò una cospicua rendita. A seguito dei moti del 1837, Raeli si trasferì a Noto e iniziò un cursus honorum nell’amministrazione locale. Nel 1841 divenne decurione e fu subito proposto come ‘primo eletto’, una sorta di vicesindaco con funzioni di pubblico ministero nei giudizi di competenza del giudice di circondario e di giudice del contenzioso amministrativo nei casi previsti dalla legge. Da amministratore dette impulso allo sviluppo della città con piani di intervento sulle imposte, sulle acque pubbliche, sul decoro urbano, sulla politica culturale, sull’assistenza pubblica. Più avanti, nel 1848, segretario del comitato provinciale di Noto, si impegnò per l’organizzazione della Guardia nazionale, per l’adeguamento della Costituzione siciliana del 1812 e per l’adesione della Sicilia a un’eventuale assemblea costituente italiana. Nelle ultime settimane della rivoluzione fu nominato ministro dell’Interno nel governo Torrearsa (gennaio 1849) e delle Finanze nel breve governo del principe di Butera (marzo 1849).
Per sfuggire alla restaurazione, pur non essendo escluso dall’amnistia, nonostante i ruoli importanti rivestiti durante i moti antiborbonici, riparò in Francia e poi, per circa dieci anni, a Malta, ove ebbe contatti con il folto gruppo di esuli che, al pari di lui, lì aveva trovato riparo: Francesco Crispi, Giorgio Tamajo, Nicola Fabrizi, il sacerdote Gregorio Ugdulena e, soprattutto, Ruggero Settimo di cui Raeli fu sempre fidatissimo collaboratore, al punto tale da essere istituito erede universale. A Malta – dove fu raggiunto dal figlio Paolo che nel 1852, dopo una breve malattia, morì – Raeli seguì con attenzione la politica europea e valutò le posizioni assunte via via dai patrioti esuli, anche quelle di chi aveva scelto di riparare in Piemonte e in Toscana: i democratici radicali imputarono ai moderati il fallimento della rivoluzione del 1848, ma Raeli si tenne fuori dalle polemiche e riscosse la stima generale, avvantaggiato anche dal suo ruolo di segretario e poi di eminenza grigia di Ruggero Settimo. L’affiliazione di Raeli alla massoneria, da sempre nel netino considerata una certezza, ma non fondata su fonti certe, sembra confermata da recenti ricerche che hanno portato al ritrovamento, nella Biblioteca comunale Principe di Villadorata di Noto, del brevetto di maestro datato «g. 17 del mese 11.esimo anno della vera luce 5848» (17 gennaio 1849), per la loggia significativamente intitolata ‘I Rigeneratori del 12 gennaio 1848’, dell’Oriente di Palermo, guidata dal maestro venerabile Andrea Mangeruva.
Da Malta, appena qualche settimana dopo lo sbarco dei garibaldini a Marsala, con Nicola Fabrizi e altri esuli, alcuni dei quali massoni, preparò ai primi di giugno del 1860 la spedizione e lo sbarco a Pozzallo di una trentina di giovani.
Dall’estremo sud della Sicilia organizzò i ‘Cacciatori del Faro’ (circa 300 giovani siciliani) per liberare parte della Sicilia orientale dai soldati borbonici. Tra giugno e luglio forse si recò a Genova per confermare definitivamente la scelta politica annessionistica e il netto rifiuto dell’ipotesi indipendentista. Assunse la carica di presidente del Comitato di azione di Noto; alla fine dell’anno fu per circa un mese consigliere per la Giustizia di Massimo Cordero di Montezemolo, luogotenente generale del re per la Sicilia. Il 27 gennaio 1861 fu eletto deputato nel collegio di Noto. Agli elettori che lo votarono in massa (su un totale di 770 votanti ottenne 693 preferenze) così presentò il suo programma politico, collegandosi ai risultati del plebiscito e all’indizione delle elezioni: «Questi due atti formano il patto fondamentale tra l’Italia e la dinastia dei Savoia; e la stretta osservanza di questo patto è, e sarà, la mia norma […]. Abbiamo voluto l’Italia una e indivisibile […]. Abbiamo voluto Vittorio Emanuele Re costituzionale e suoi legittimi discendenti: dobbiamo quindi consolidare la monarchia costituzionale, perché si abbia forza sufficiente a combattere lo straniero nemico d’Italia, e ad assicurare l’ordine interno, senza il quale non può godersi della libertà» (M. Raeli, Ai cittadini del Collegio elettorale di Noto, in L’Italiano, a. II, n. 2, 19 gennaio 1861).
Si dimise da deputato nel settembre del 1863 perché nominato procuratore generale della corte d’appello di Trani. In Puglia si batté per il richiamo dei magistrati ingiustamente destituiti a seguito dell’Unità.
Il 3 settembre 1865 fu nominato consigliere di Stato, ma assunse le funzioni solo a dicembre perché nel frattempo (fino al 17 dicembre) fu chiamato dal ministro Giuseppe Natoli a reggere la segreteria generale del ministero dell’Interno. In questa veste si impegnò per la costituzione di una rete di protezione civile in occasione dell’epidemia di colera, cercò di interrompere e di ostacolare la prassi secondo cui le prefetture si attivavano in occasione delle elezioni per i candidati ‘ministeriali’ e cominciò a conoscere da vicino i problemi inerenti ai rapporti tra Stato e Chiesa, alla disciplina delle corporazioni religiose e all’assetto dell’asse ecclesiastico. Nell’ambito delle funzioni esercitate nella sezione I del Consiglio di Stato, Raeli fu chiamato a occuparsi, tra l’altro, dello sfruttamento delle miniere di ferro dell’isola d’Elba concesse dallo Stato alla società Bastogi.
Venne rieletto al Parlamento nelle elezioni suppletive del dicembre 1865 per il collegio di Molfetta e poi, nel 1867, per il collegio di Caltagirone; ancora nel 1870, per il collegio di Noto, e nel 1874 per quello di Agnone. Da deputato, fu componente della commissione d’inchiesta sul brigantaggio.
Nel 1866 il ministro della Giustizia Giovanni De Falco gli affidò l’incarico di presidente relatore nella commissione che aveva il compito di esaminare il progetto di legge per la soppressione delle corporazioni religiose già predisposto dai ministri Paolo Cortese (Giustizia) e Quintino Sella (Finanze) e parzialmente modificato da De Falco, successore di Cortese: con il progetto, approvato con r.d. 7 luglio 1866, tutte le corporazioni religiose furono soppresse e i loro beni, a eccezione di parrocchie, chiese e annessi, devoluti al demanio, con l’obbligo di iscrivere sul Gran Libro del Debito pubblico una rendita a favore del fondo per il Culto, uguale al 5% della somma ricavata dall’incameramento; un assegnamento annuo, secondo una tabella contenuta nella legge che teneva conto dello status, dell’età e dello stato di salute del religioso, era dovuto ai religiosi e alle religiose, anche degli ordini mendicanti. Una legge avrebbe stabilito le modalità di alienazione dei beni. Nel dibattito parlamentare, comprensibilmente scandito da toni aspri, Raeli difese con fermezza le soluzioni adottate nella proposta: «L’Italia ha in se stessa il genio del bello e del sublime sia nella religione, sia nella libertà, sia nelle arti, sia nelle scienze […]. Si dice bisogna anche del romanticismo per dare anima ai monumenti e questo romanticismo per Montecassino consiste nei monaci che lo abitano […]. Ma questo non basta per legittimare la conservazione di quei monaci; l’Italia ha bisogno far della storia e attendere alla realtà, senza abbandonarsi all’entusiasmo di prime impressioni» (Regno d’Italia, Camera dei deputati, IX legislatura, I sessione, tornata del 9 giugno 1866). Raeli ebbe inoltre costantemente presente il nesso tra la legge che si stava approvando e la necessità che lo Stato assumesse la titolarità diretta della funzione assistenziale, finora svolta dai circuiti di matrice cattolica.
La stessa fermezza e risolutezza Raeli mostrò quando, dopo la breccia di Porta Pia – ormai da ministro guardasigilli nel ministero Lanza dal dicembre del 1869 – fu con Emilio Visconti Venosta, Quintino Sella e Ruggero Bonghi, un protagonista del complesso processo che si concluse con l’approvazione della legge delle Guarentigie (13 maggio 1871, n. 214) per regolare unilateralmente i rapporti tra Stato e Chiesa. Qui va ricordato che Raeli, come testimoniano le lettere spedite durante l’esilio maltese alla figlia Peppinella, era animato da una forte e radicata fede cristiana; il suo credo religioso non gli impediva, però, da legislatore, di assumere posizioni nette, improntate a realismo e concretezza: «io credo che dopo la legge del 30 dicembre 1870, come non è il caso di poter discutere se si debba ovvero no, trasferire a Roma la capitale, così non si possa né si debba discutere sulle basi sulle quali il progetto attuale poggia, cioè di conservarsi al pontefice l’inviolabilità, la dignità e le prerogative di sovrano, di garantire la sua indipendenza e il libero esercizio del potere spirituale della Santa Sede […]. Io sarei certo imprudente, direi quasi ridicolo se venissi a ricordarvi che le nazioni non vivono nell’isolamento, che l’isolamento è proprio delle nazioni selvagge, le quali non hanno rapporti fra esse […]. Ora signori, siccome noi non possiamo imporre ai cattolici […] una credenza diversa da quella che essi hanno, voi comprenderete che noi non possiamo supporre che essi potessero accettare […] il principio, l’idea che si vuole da alcuni mettere avanti, che, quando noi abbiamo fatto cessare il potere temporale, avremmo anche dovuto far cessare le istituzioni del Papato […]. Noi dobbiamo ed abbiamo a buona ragione promesso di guarentire al Sommo Pontefice quella dignità ed indipendenza delle sue funzioni nell’ordine religioso per riassicurare le coscienze, non solo dei nostri connazionali cattolici, ma ancora degli stranieri, che saran condotti, diretti, nell’insegnamento della fede da un uomo che possa essere indipendente da ogni soggezione verso un potentato straniero, qualunque si sia» (Regno d’Italia, Camera dei deputati, XI legislatura, I sessione, tornata del 27 gennaio 1871).
Morì a Noto il 26 novembre 1875.
Fonti e Bibl.: C. Ivaldi, R., M., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), a cura di G. Melis, I, Milano 2006, pp. 230-239; S.A. Granata, La voce della Nazione. M. R. in Parlamento, in M. Raeli, Discorsi parlamentari (1861-1874), Acireale-Roma 2013, pp. 7-54; M. R., L’uomo, il patriota, lo statista, a cura di G. Barone, Acireale-Roma 2014.