IMBRIANI, Matteo Renato
Nacque a Napoli il 28 nov. 1843 da Paolo Emilio e da Carlotta Poerio. Tenendolo a battesimo, il nonno paterno Matteo volle per amore di Cartesio, della cui filosofia era profondo conoscitore e seguace, aggiungere al primo nome, scelto in suo onore, quello di Renato. A causa dell'esilio del padre, implicato nei moti rivoluzionari del 1848 e perseguitato dai Borbone, l'I. fu costretto ancora bambino a trasferirsi con la madre e cinque suoi fratelli prima a Nizza e poi a Torino. Dodicenne, per le ristrettezze economiche della sua numerosa famiglia alla quale Ferdinando II aveva sequestrato tutti i beni, entrò nel collegio militare di Asti, da dove, nel 1857, passò all'Accademia di Torino, deciso ormai ad avviarsi alla carriera militare. Allo scoppio della guerra del 1859 contro l'Austria si arruolò come volontario e si distinse in Romagna, dove - insorte tra il 12 e il 22 giugno 1859 Ravenna, Forlì e Ferrara - numerosi volontari giunti dal Piemonte con un piccolo contingente di bersaglieri e di cavalleria dell'esercito sardo convennero per rafforzare e inquadrare le milizie locali.
L'anno dopo, alle prime notizie dell'insurrezione siciliana e dei preparativi di una spedizione in Sicilia comandata da G. Garibaldi, l'I. si imbarcò a Genova con la spedizione comandata da G. Medici e combatté a Castel Morrone (1° ott. 1860) con il battaglione di garibaldini che, guidato da Pilade Bronzetti, resistette all'assalto delle soverchianti forze borboniche, tanto da essere sopraffatto solo dopo ore di furioso combattimento.
Nello scontro, nel quale perirono quasi tutti i 250 garibaldini compreso il loro comandante, l'I. fu ferito e fatto prigioniero. Una volta liberato, e sciolto il corpo dei volontari, ritornò in Piemonte ed entrò nell'esercito regolare passando per la scuola d'armi d'Ivrea. Nel 1862 fu promosso luogotenente del 6° reggimento granatieri; nel 1866 prese parte alla guerra per la liberazione del Veneto come aiutante di campo del generale E. Cosenz, che con altri luogotenenti garibaldini era entrato nell'esercito italiano. L'esito del conflitto lo amareggiò profondamente, e tuttavia, nonostante la mortificante finzione della cessione preventiva del Veneto alla Francia, la chiusura della questione veneta parve a lui, come ad altre grandi figure della democrazia italiana, la premessa per avviare a soluzione il problema di Roma capitale attraverso una ripresa dell'iniziativa democratica.
Nell'ottobre del 1867 l'I., che si era da poco iscritto alla mazziniana Alleanza repubblicana universale divenendone un fervente attivista, si unì alla colonna di volontari comandata da G. Nicotera, che, invadendo il territorio pontificio dal Sud, si scontrò con le forze papaline in varie località, prima di entrare in Frosinone (28 ottobre). La mancata insurrezione di Roma e l'infelice conclusione del tentativo garibaldino se da una parte determinarono nell'I. un senso di profonda sfiducia, dall'altra, rafforzando i suoi ideali repubblicani, gli diedero la conferma dell'impossibilità di risolvere la questione romana mediante l'accordo con il papa e la Francia.
Nel 1869, oltre a prendere pubblicamente posizione a favore del deputato della Sinistra C. Lobbia, fatto oggetto di un attentato per le sue rivelazioni sulla Regia cointeressata dei tabacchi, l'I. fu accusato di aver svolto propaganda sovversiva e di aver ordito d'accordo con Mazzini e con altri repubblicani napoletani (tra cui il fratello Giorgio, G. Bovio, M. Capo, C. Dotto de' Dauli) un'insurrezione armata per liberare Roma.
L'arresto di Mazzini a Palermo, la sua incarcerazione nella fortezza di Gaeta e infine l'entrata delle truppe italiane in Roma, frustrando ogni residua speranza di iniziativa popolare, suscitarono nei mazziniani e in uomini di principî repubblicani come l'I. profonda amarezza. Più tardi la morte del fratello Giorgio, caduto nella battaglia di Digione nel gennaio del 1871, non rappresentò per lui motivo di ulteriore prostrazione, bensì un forte sprone a proseguire nella sua attività politica. Dimessosi dall'esercito, diede inizio al suo apostolato civile e politico, dedicandosi contemporaneamente agli studi letterari e storico-geografici. In quel torno di tempo attese inoltre alla stesura di uno scritto di "studi e considerazioni sulla difesa d'Italia e sull'armamento nazionale", rimasto però incompiuto.
Nel corso degli anni Settanta, l'I. prese parte insieme con G. Bovio, trasferitosi a Napoli da Trani, alla polemica tra astensionisti e intransigenti che aveva concorso ad accentuare le spaccature interne al movimento repubblicano. Fiducioso nelle riforme graduali e pertanto favorevole a partecipare alla vita parlamentare, si candidò, per la prima volta, alle elezioni politiche del 1876 nel collegio di San Severo, riportando una netta sconfitta. Tuttavia, ancora una volta, non disarmò; anzi, con la fondazione dell'associazione Italia irredenta, che ebbe ben presto sedi in tutta Italia, l'I., profondendo tutte le sue energie per diffondere le idee repubblicane nel paese, si affermò tra i principali animatori della vena patriottica del mazzinianesimo.
Organo della nuova associazione fu L'Italia degli Italiani (fondato dall'I. e da F. Capone a Napoli nel 1876), che si propose di fare opera di proselitismo in tutte le classi sociali, cercando di superare i ristretti confini del mondo universitario, nel quale contava il maggiore numero di seguaci. Basata sul principio mazziniano che la democrazia esige la piena autonomia del singolo, "che l'individuo ritemprato nella libertà esce dalla folla e si afferma come uomo", Italia irredenta sorse col fine precipuo di ricongiungere all'Italia le terre ancora sottoposte alla dominazione austriaca (Trieste, Trentino, Tirolo e Dalmazia), entrando così in contrasto con la Lega della democrazia, nella quale alcuni militanti auspicavano una politica di amicizia con l'Austria e la Germania. La presidenza onoraria del nuovo sodalizio fu attribuita a G. Garibaldi, mentre i presidenti effettivi furono G. Avezzana e L. Zuppetta, e l'I. rivestì le funzioni di segretario. L'organismo, che nel febbraio del 1878 si diede un proprio statuto, assunse una dimensione nazionale grazie alla fondazione di cellule attive in particolare nelle grandi città e all'adesione di esponenti di primo piano del mondo culturale e della Sinistra estrema e parlamentare (tra i quali G. Carducci, F. Cavallotti, A. Bertani, S. Barzilai, A. Fratti, G. Oberdan e F. Albani).
Nella sua veste di propagandista, l'I. compì nel 1877 un viaggio segreto nel Trentino, a Trieste e in Istria, durante il quale ebbe modo di stringere legami con gli irredentisti locali e di fondare nuovi comitati d'azione. Intanto, con S. Morpurgo e A. Popovich, aveva costituito a Roma il comitato triestino-istriano, che operò come una vera e propria centrale dell'irredentismo, soprattutto dopo il deludente viaggio politico di F. Crispi nelle capitali europee (settembre-ottobre 1877), durante il quale l'Austria ribadì il suo rifiuto di qualsiasi cessione di territori all'Italia.
Nel 1878 la morte di Vittorio Emanuele II spinse l'I. a scrivere per L'Italia degli Italiani due articoli di fondo, Vittorio Emanuele e Fattori della risurrezione d'Italia, nei quali, etichettando la pace russo-turca siglata nel gennaio di quell'anno come "fonte di dieci guerre", prospettò all'interno della sua politica irredentista e antiaustriaca un ruolo egemonico per l'Italia nel Mediterraneo e soprattutto nell'Adriatico, che "lago italiano di diritto, lo doveva essere anche di fatto".
Nel luglio del 1878, a conclusione del Congresso di Berlino, l'I. organizzò con Bovio e Zuppetta un comizio di Italia irredenta a Napoli, in cui accusò O. von Bismarck di avere, attraverso il sostegno alla politica balcanica dell'Austria, rafforzato le sue mire espansionistiche sull'Adriatico a danno dell'Italia. Nel suo scritto Pro patria, apparso qualche mese dopo, l'I., ribadendo la priorità del completamento dell'Unità nazionale, attaccò il colonnello A. von Haymerle, esponente del partito militare austriaco, che nel suo opuscolo Italicae res aveva sostenuto con forza l'espansionismo asburgico nei Balcani e ipotizzato per l'Italia eventuali "oggetti di compensazione nel Mediterraneo".
Al fine di consolidare il movimento, l'I. fondò nel 1879 la Federazione della gioventù repubblicana, che con bollettini, conferenze, pubblicazioni periodiche, una serie di incontri e con l'ausilio del nuovo giornale, il Pro Patria, nato nel 1880, svolse una massiccia propaganda, senza però ottenere un adeguato successo. Nel gennaio del 1880, il comitato centrale dell'Italia irredenta donò a tutti i soci un distintivo e una medaglietta sulla quale era inciso il motto dell'associazione, "Nil actum reputans si quid superest agendum", e organizzò solenni onoranze funebri al presidente G. Avezzana.
Polemico con A. Mario e la Lega della democrazia per l'appoggio dato alla politica estera del governo Cairoli, l'I., individuando nell'Austria il vero nemico dell'Unità nazionale italiana, continuò a opporsi, in difesa delle terre irredente, a ogni forma di compromesso o di alleanza con l'Impero austro-ungarico, anche quando con l'occupazione francese della Tunisia (aprile-maggio 1881) apparve chiaro che i rapporti con la Francia erano ormai definitivamente compromessi e che l'Italia rischiava il completo isolamento diplomatico.
Dalle colonne de L'Italia degli Italiani espresse una condanna così dura contro la visita di Umberto I a Vienna e la oltraggiosa decisione austriaca di far rendere omaggio al giovane re dal 28° reggimento fanteria, che si era battuto contro l'esercito italiano durante le guerre d'indipendenza, da determinare il sequestro del giornale.
La stipulazione (1882) della Triplice Alleanza con l'Austria e la Germania, che pure consentì all'Italia di porre fine al pericoloso isolamento internazionale nel quale si trovava, fu quindi vissuta dall'I. e dai suoi seguaci come una rottura con la tradizione risorgimentale e come una dolorosa rinuncia alle terre irredente, aggravata, qualche settimana dopo, dalla condanna a morte inflitta dal governo austriaco a G. Oberdan, accusato di voler attentare alla vita dell'imperatore. In quel difficile contesto, l'I., giudicando la Triplice come un'alleanza innaturale e contraria agli interessi italiani, continuò con vigore la sua attività propagandistica mettendo a punto un piano di unione delle forze irredentiste (Associazione per Trento e Trieste, Comitato nazionale trentino, Comitato per le Alpi Giulie e Comitato triestino-istriano) per combattere più incisivamente la politica di alleanza tra l'Italia e l'Austria; avviando una sottoscrizione per armare la compagnia Oberdan, e favorendo la formazione di corpi di giovani volontari addestrati alle armi.
Alla morte di Garibaldi (giugno 1882), l'I., a conferma della fama di cui ormai godeva, fu invitato a Parigi dai democratici francesi per le celebrazioni in onore dell'eroe nizzardo. Di ritorno dalla Francia, dalle colonne del Pro Patria, che di lì a qualche mese avrebbe cessato le pubblicazioni, coinvolse R. Mirabelli, A. Gaetani, F. Capone e G. Bovio nella fondazione, sulla scorta del principio di nazionalità, della Lega latina e della Lega dei popoli irredenti. Contrario in linea di principio alle conquiste coloniali e convinto che il vero obiettivo della politica italiana dovesse essere il Mediterraneo, attaccò il governo Depretis e il ministro degli Esteri P.S. Mancini per la spedizione a Massaua (1885), nella quale acutamente scorgeva, accanto a mire coloniali, l'epifania di una politica di prestigio.
Negli anni seguenti, di fronte alla formazione di un nuovo blocco di potere fondato sull'alleanza tra gli interessi degli industriali e dei latifondisti, l'I. biasimò, in difesa di uno Stato "equo ed ordinato, gestore degli interessi pubblici", l'emergere di uno Stato "dominio di una classe di banchieri, industriali, latifondisti ed affaristi". Allo stesso modo, condannò la politica autoritaria, di aggressività militare e coloniale di Crispi, nella quale individuò il definitivo allontanamento del governo dai principî ispiratori del Risorgimento. Nel giugno del 1889, all'inaugurazione solenne del monumento a Giordano Bruno a Roma, aveva così condensato la sua esperienza di agitatore politico: "Avere un ideale per faro nella vita, sentirsi un'anima palpitante nel petto, voler raggiungere la meta, aver febbre di opere, divinar le occasioni, non lasciarsele mai sfuggire".
Qualche mese prima, dopo ben diciassette tentativi falliti, aveva riportato nelle elezioni per la XVI legislatura un'imprevista vittoria su R.O. Spagnoletti nel collegio di Bari II (che lo avrebbe confermato nelle successive due legislature; dalla XIX alla XXI si sarebbe invece imposto nel collegio di Corato).
L'adozione della tariffa protezionista nel 1887, l'inasprirsi del conflitto doganale con la Francia, il consolidarsi del blocco industriale-agrario, la politica di espansione e di armamento, il ricorso sempre più frequente all'uso di metodi repressivi nei riguardi dell'estrema Sinistra, il delinearsi, insomma, delle linee di fondo della politica crispina portarono, ancora una volta, l'I. ad assumere una posizione fortemente critica verso il governo, che raggiunse l'acme nel luglio-settembre del 1889, quando Crispi sciolse il Comitato per Trento e Trieste, che aveva organizzato una serie di manifestazioni antiaustriache, ordinò la chiusura di numerosi circoli intitolati a Oberdan, e accusò il movimento irredentista, reo a suo dire di trascurare le terre irredente del confine occidentale, di essere francofilo e soprattutto di essersi venduto allo straniero.
Crispi alludeva alla raccolta di fondi organizzata in Francia in occasione del convegno indetto dai rappresentanti della democrazia francese, dai repubblicani italiani di Buenos Aires e dai delegati delle società operaie lombarde, emiliane e piemontesi, nel quale l'I. aveva sottolineato in un applaudito discorso in francese i rischi insiti nel pangermanesimo e nel panslavismo.
Nel valutare con attenzione le conseguenze della crisi economica generale e della guerra commerciale italo-francese sull'agricoltura pugliese, penalizzata pesantemente nell'esportazione delle sue principali produzioni comprese quelle specializzate (viticoltura e olivicoltura), l'I. lanciò alla Camera una dura requisitoria contro la politica agricola governativa facendosi interprete - di fronte alla critica situazione economica e igienico-sanitaria della Puglia - delle urgenti esigenze della regione nella costruzione di un moderno acquedotto. A tal proposito nel giugno 1889 egli presentò con Bovio la proposta di legge sull'acquedotto pugliese che, superando il più circoscritto progetto Zampari sostenuto in precedenza dalla Provincia di Bari, prevedeva l'approvvigionamento idrico per tutta la regione (era ancora vivo in lui il ricordo dei 165 morti per colera a Barletta nel 1886) come mezzo di valorizzazione della produzione agricola regionale, grazie allo sviluppo dell'irrigazione dei terreni. Contrario all'opzione liberista per timore di possibili operazioni speculative e affaristiche, sostenne la necessità dell'intervento dello Stato nella costruzione dell'acquedotto. Negli anni seguenti, di fronte alle difficoltà insorte nell'avvio di un'opera così imponente, ritornò sull'opportunità dell'intervento statale, prospettando la costituzione di un consorzio tra Stato e imprese private. Nel 1896, il presidente del Consiglio A. Starrabba di Rudinì, sotto la pressione incalzante dell'I. e di altri esponenti del mondo politico pugliese, avocò finalmente al governo l'iniziativa. Né meno incisiva fu la lotta che l'I. condusse in quel periodo contro la pratica dell'usura, assai diffusa nelle campagne pugliesi, proponendo, per eliminarla, la fondazione di una Banca agricola di piccoli prestiti.
Gli impegni parlamentari non allentarono tuttavia la sua opposizione agli atti illiberali del governo.
Fu, infatti, con Cavallotti uno fra i principali promotori dell'alleanza democratica, detta Patto di Roma, sorta nel 1890 per combattere la classe politica al potere; protestò in un memorabile intervento alla Camera contro l'oppressione della Polonia; presentò una mozione sull'indipendenza della Romania; esaltò la "lotta eroica" di Cuba contro la Spagna e l'irredentismo antiturco della Grecia; sottolineò, in chiave antitriplicista e quale alternativa all'espansionismo coloniale in Africa, l'importanza strategica dell'Albania per l'Italia, sia in relazione alla conservazione dell'equilibrio adriatico sia come trampolino per una maggiore penetrazione commerciale nei Balcani.
Nel maggio del 1897, in occasione della sua rielezione alla Camera, l'I., profondo conoscitore della politica viennese, ribadendo il proprio impegno per le terre irredente contro un nemico che si ostinava a "ostacolare il fatale corso delle razze e delle nazioni", ebbe a dire di sé: "Io non sono un uomo di partito, mi sento italiano ed amo la mia patria al di sopra di tutto e domani vestirò il cappotto anche sotto le bandiere regie per conquistare i termini d'Italia sulle Alpi Giulie". Il 14 dello stesso mese presentò insieme con D. Pozzi una mozione parlamentare per l'abbandono immediato dell'Africa, opponendosi alla colonizzazione di popolamento in Eritrea.
Il 20 sett. 1897, mentre inaugurava a Siena il monumento a Garibaldi, l'I. fu colpito da un'apoplessia che lo rese invalido per il resto della sua vita. Morì nella casa paterna di San Martino Valle Caudina (Avellino) il 12 sett. 1901.
La salma fu poi traslata nella cappella gentilizia degli Imbriani nel cimitero di Pomigliano d'Arco. A distanza di meno di un anno dalla sua scomparsa, il parlamento approvava, nel giugno del 1902, la legge sulla costituzione del consorzio tra Stato e province per la realizzazione dell'acquedotto del Sele.
Scritti dell'I.: Accusa pubblica, in Il Piccolo, 15 genn. 1877; Agesilao Milano, Napoli 1878; Ave patria, morituri te salutant, ibid. 1879; Dalla tribuna parlamentare. La politica del gabinetto Crispi (Interni ed Africa, novembre-dicembre 1895), ibid. 1896; Ricordi, ibid. 1904; Pro patria, con prefaz. di G. Bovio, ibid. 1915; Discorsi parlamentari, Roma 1923.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Carte Associazione Trieste e Trento o Ierace: comitati di confine e comitati vari (aa. 1877-1880), ff. 1-64; Associazione leghe e vari (aa. 1877-1879), ff. 65-71; Documenti per la formazione dei comitati, riunioni etc. (aa. 1877-1879), ff. 72-87; Corrispondenza, lettere e manoscritti vari di M.R. Imbriani (aa. 1877-1880), ff. 88-98; Prefettura, ff. 930-931; Questura, f. 39. Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni (per la consultazione si vedano gli indici nominativi posti nell'ultimo volume delle singole legislature).
Sull'adesione dell'I. alla lista di solidarietà a C. Lobbia, cfr. Roma, 18 giugno 1869. Sulla sua partecipazione al funerale del fratello Giorgio cfr. Il Pungolo e Il Popolo d'Italia, 4 febbr. 1871, nonché Roma, 5 febbr. 1871.
O. Spagnoletti, M.R. I.: commemorazione, Barletta 1901; G. Protomastro, Pro Imbriani. Discorso letto nel dì XX sett. MCMII, Trani 1902; L. Rocco, I. e Bronzetti a Castelmorrone, in Roma, 2 ott. 1915; M. Viterbo, Tre precursori. I., Bovio, Cavallotti, Bari 1916; E. De Marinis, L'irredentismo di M.R. I., in Rass. politica, industriale, agraria, settembre-dicembre 1918; M. Viterbo, M.R. I. e l'ora presente, Bari 1920; R. Mirabelli, M.R. I.-Poerio in Trieste, Ravenna 1923; I. Scodnik, Rievocazione. Notizie della vita di M.R. I., Napoli 1924; P. Pedrotti, Alcune lettere di M.R. I. a F. Campanella, in Rass. storica del Risorgimento, XL (1953), pp. 253-261; R. Bonghi, Politica estera (1866-1893), a cura di W. Maturi, Roma 1958, p. XII; G. Salvemini, Il ministro della mala vita e altri scritti sull'Italia giolittiana, a cura di E. Apih, Milano 1962, pp. 129 s.; M.L. Salvadori, Gaetano Salvemini, Torino 1963, pp. 16, 44; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, VI, Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio, Milano 1970, passim; A. Scirocco, Politica e amministrazione a Napoli nella vita unitaria, Napoli 1972, ad ind.; G. Spadolini, I repubblicani dopo l'Unità…, Firenze 1972, ad ind.; A. Scirocco, Democrazia e socialismo a Napoli dopo l'Unità (1860-1878), Napoli 1973, ad ind.; F. Manzotti, Partiti e gruppi politici dal Risorgimento al fascismo, prefaz. di G. Spadolini, Firenze 1973, p. 24; F. Leoni, Storia dei partiti politici italiani, Napoli 1975, pp. 238, 288; F. Barbagallo, Stato, Parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno, 1900-1914, Napoli 1976, ad ind.; D. Capecelatro Gaudioso, Reazione a Napoli dopo l'Unità, Napoli s.d., pp. 271-273; A. Aquarone, L'Italia giolittiana (1896-1915), I, Le premesse politiche ed economiche, Bologna 1981, p. 125; M. Toda, Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin. La sua formazione giovanile nell'ambiente napoletano (1868-1873), Napoli 1988, pp. 6, 29, 46; M. Garbari, M.R. I. e l'"Italia irredenta", in Il Parlamento italiano, 1861-1988, V, Milano 1989, pp. 232 s.; R. Colapietra, Errico De Marinis dalla sociologia alla politica, Salerno 1994, ad ind.; F. Cammarano, Storia politica dell'Italia liberale, 1861-1901, Roma-Bari 1999, pp. 220 ss.; S. Rogari, La Sinistra in Parlamento: da Depretis a Crispi, in Storia d'Italia (Einaudi), Annali 17, Il Parlamento, a cura di L. Violante, Torino 2001, p. 153; R. Colapietra, M.R. I. alla Camera per la difesa dei diritti e delle libertà statutarie, in La Capitanata, giugno 2002, pp. 185-227.