Romani, Matteo
Arciprete di Campegine, in provincia di Reggio Emilia (dove morì nel 1878); sostenne con copia di argomenti che la sostanza della Commedia fossero la teologia, la filosofia, la politica, e che la poesia fosse nient'altro che la veste. Ne La D.C. spiegata al popolo (Reggio Emilia 1858-61) intese dimostrare che il fine del poema è appunto morale e che il suo concetto principale è la conversione del peccatore attraverso la meditazione delle verità eterne. L'esposizione, dedicata soprattutto ai giovani, doveva servire a distrarli dalle vane e pericolose letture.
Quanto al testo della Commedia, non si contentò di quello della Crusca, ma, apprezzati gli emendamenti del Torelli e del Perazzini, ne propose di suoi ne I primi cinque canti dell'Inferno (Reggio Emilia 1863). Alcuni esempi, solo per i primi due canti, a mostrare il tipo particolare di congettura avanzato dal R.: dirò delle tre cose che n'ho scorte, I 9; ch'è principio a cagion, I 78; pensando scerno, I 112; alle qua' poiché tu, I 121; che tu mi mena là, dov'or dicesti / (s'io veggia la porta di San Pietro!), / en color che tu fai cotanto mesti, I 133-135; O Muse, d'alto ingegno, II 7; all'immortale, II 14; tanto ben ten promette, II 126.
Altre opere curate dal R. sono: Il Convito emendato da M.R., Reggio Emilia 1862; La D.C. [ma in realtà solo l'Inferno] ad uso di M.R., ibid. 1864.
Bibl.- B. Veratti, Commemorazione dell'arciprete M.R., in Opuscoli religiosi, letterari, morali, Modena 1878, IV.