ROSSELLI, Matteo
– Membro di una famiglia numerosa e benestante, nacque l’8 agosto 1578 a Firenze, nel popolo di S. Stefano a Ponte, da Alfonso di Domenico e da Elena Coppi. Il rinvenimento della fede di battesimo e di parte dei documenti d’archivio oggi noti relativi a Matteo – pittore e caposcuola fra i più rinomati del Seicento fiorentino – si deve a Fiammetta Faini Guazzelli che, per prima e a più riprese (1965-1966; 1969; 1986), ne ha ricostruito la lunga carriera facendo riferimento alla Vita redatta dall’amico Filippo Baldinucci, una delle più attendibili fra quelle dedicate ai suoi contemporanei. Tale biografia unisce infatti ai ricordi personali dello scrittore le notizie desunte da «un piccolo libretto», rimasto agli eredi dell’artista, dove questi aveva annotato tutte le pitture compiute «fino all’anno 1635». Il ritratto vivo e a tutto tondo che Baldinucci restituisce del più anziano Rosselli – del quale era stato allievo «negli anni della puerizia» – pone insistentemente l’accento sulla statura morale del pittore, e su quella integrità intellettuale e di costumi che filtra dalle sue opere e ne tramanda la memoria nella duplice veste di principale portavoce della spiritualità postridentina a Firenze e di figura di riferimento per i tanti giovani che ne frequentarono la bottega per apprendervi, insieme all’arte, «il modo di civilmente e cristianamente vivere» (Baldinucci, 1688, 1846, p. 160). Il ruolo primario svolto dalla scuola di Rosselli, fucina da cui uscirono molti dei protagonisti del Seicento fiorentino (Giovanni da San Giovanni, Furini, Vignali, Pugliani, Lippi, Vanni, Volterrano e altri), venne più tardi inquadrato da Luigi Lanzi (1795, p. 241) come fenomeno di rilevanza storica da cui erano dipesi il progresso della pittura locale e il preservarsi della tradizione fiorentina del ‘buon fresco’.
Baldinucci riferisce che all’età di nove anni non ancora compiuti – e quindi intorno al 1586-87 – Rosselli fu mandato dal padre nella bottega di Gregorio Pagani (1558-1605), che lo spronò, fin dai primi anni, a esercitarsi sulle opere di Andrea del Sarto e a prendere a esempio «i maggiori uomini» nel disegno e nella pittura allora attivi a Firenze (Cigoli, Passignano, Santi di Tito, Cristofano Allori). La lunga permanenza al fianco di Pagani, protrattasi ben oltre l’immatricolazione all’Accademia del disegno il 26 febbraio 1600 (Gli accademici, 2000, p. 280), si rivelò decisiva per la crescita professionale del pittore, che «in breve s’avanzò tanto, che poté essere di qualche aiuto al maestro». Giunto «all’età di ventiquattro anni» – vale a dire verso il 1602-03 –, Rosselli fu ottenuto ‘in prestito’ da Domenico Cresti, detto il Passignano, come assistente a Roma, nell’esecuzione della perduta pala su lavagna con la Crocifissione di s. Pietro «che doveva fare nella cappella Clementina» della basilica vaticana (e non degli affreschi di S. Maria Maggiore come affermato da Faini Guazzelli, 1986, III, p. 159). Nei sei mesi del soggiorno romano, interrotto dal brusco rientro a Firenze per la morte del padre, Rosselli copiò da Raffaello e Polidoro da Caravaggio e «fece alcune pitture» (Baldinucci, 1688, 1846, p. 157). L’improvvisa scomparsa di Pagani nel dicembre del 1605 lo rese erede di tutte le sue tele «rimaste imperfette» affinché potesse trarne guadagno nel portarle a termine; fra queste si annoverano la pala con le Nozze di Cana già nella chiesa di S. Francesco a Pistoia (Pistoia, Museo civico; Acidini Luchinat, 1982, p. 138, n. 41; D’Afflitto, 1996, p. 40, n. 16), l’Adorazione dei pastori in collezione privata (Baldassari, 2009, pp. 650, 654, fig. 393) e un «S. Giovanni per Michelangelo Buonarruoti il Giovane», ricordato da Baldinucci (1688, 1846, p. 158), che attesta i precoci rapporti intercorsi fra Rosselli e colui che ne sarebbe divenuto il principale committente a partire dalla metà del secondo decennio del Seicento. Inoltre il documentato ruolo di intermediario svolto da Buonarroti per l’assegnazione a Rosselli di un dipinto inviato a Roma nel 1608 su richiesta del cardinale Lorenzo Magalotti (Bruno, 2008, pp. 204 s. nota 113) pone il letterato fra i primi fautori dell’artista e induce qui a riconoscere la suddetta opera nella tela con i Quattro Dottori della Chiesa e s. Tommaso d’Aquino, contenente la probabile effigie del committente e presentata pochi anni or sono sul mercato inglese come opera giovanile dell’artista (Gates, 2009, pp. 75-79).
Parallelamente ad alcuni incarichi assunti fuori Firenze – s’intendono le pale d’altare, ricordate dal biografo, con l’Adorazione dei Magi già in S. Maria del Portico al Galluzzo (dal 1814 a Montevarchi; cfr. Benassai, 2009, pp. 94 s.) e la Madonna del Rosario e santi nella pieve di S. Giovanni Decollato a Montemurlo, firmate e datate rispettivamente nel 1607 e 1609 –, Rosselli entrò nell’orbita medicea prendendo parte agli apparati per le nozze del futuro granduca Cosimo II con Maria Maddalena d’Austria (1608) e per le esequie di Enrico IV di Francia nella chiesa di S. Lorenzo (1610). Da qui in poi il pittore crebbe di notorietà a Firenze, imponendosi presso gli ordini religiosi – che in lui riconobbero un valido interprete delle istanze controriformate – e guadagnandosi nel contempo la stima incondizionata di Cosimo II, «il quale non isdegnò bene spesso portarsi alle sue stanze per vedere l’opere sue» (Baldinucci, 1688, 1846, p. 159). Esempi emblematici in questa fase d’intensa ricerca di un linguaggio personale – ove l’ascendente stilistico di Pagani, Cigoli e Passignano si unisce a un sensibile arricchimento della materia cromatica derivatogli da un probabile viaggio a Venezia nel 1611 – sono la grande Immacolata Concezione fra i ss. Filippo Benizzi e Giuliana già nella cappella Falconieri alla Ss. Annunziata (Firenze, depositi di S. Salvi), documentata nel 1612 (Fabbri, 2009, pp. 76, 82, nota 17 e tav. 1), e la pala con S. Luigi di Francia, firmata e datata 1613, offerta dal granduca all’altare della Nazione francese nella chiesa della Madonna del Carmine a Livorno (Rossi, 2001, pp. 147 s., n. 24). La solennità d’impianto della prima opera e, nella seconda, il ritratto idealizzato del sovrano capetingio trasfigurato a icona senza tempo, esposta alla pubblica venerazione, preludono ad altre immagini-simbolo del cattolicesimo postridentino dipinte in seguito da Rosselli: prime fra tutte la trionfale Gloria di s. Carlo Borromeo, riformatore per eccellenza, nella chiesa di S. Carlo dei Lombardi (1616), il commovente Martirio di s. Andrea in S. Salvatore in Ognissanti (1620) e la più tarda Trasfigurazione di s. Nicola da Tolentino del 1647-48 (Firenze, depositi delle Gallerie fiorentine; Baldassari, 2009, pp. 650, 663, fig. 402).
Gli anni 1614-18 videro Rosselli, ormai a capo di una fiorente bottega, impegnato come frescante nel chiostro grande della Ss. Annunziata, dove fu chiamato a illustrare quattro storie del vasto ciclo pittorico dedicato alle origini dell’Ordine servita.
Nel passaggio dall’una all’altra lunetta – ognuna delle quali firmata e datata – si avvertono il graduale potenziamento dei mezzi espressivi e una sempre più convinta adesione ai modi di Cigoli per l’impiego d’impasti cromatici caldi e vivaci; dati di stile che caratterizzano anche i due modelli a olio, entrambi in collezione privata, relativi alle lunette Antella (1616) e Campani (1618) del medesimo ciclo agiografico (Fabbri, 2009, pp. 79 s., fig. 5; Ead., 2013, pp. 7-10, n. 2). Dai quattro affreschi serviti traspare pure l’innata sapienza narrativa di Rosselli, quel suo eloquio ‘fiorito’ ed elegante, attento ai preziosismi e alla resa dei dettagli, che sarebbe divenuto una costante delle pitture successive e che all’Annunziata gli consentì di armonizzarsi, senza apparente sforzo, con le scene del ciclo precedentemente eseguite da Bernardino Poccetti, Ventura Salimbeni e Donato Mascagni.
Nel 1615 principiò il sodalizio artistico con Fabrizio Boschi (1572-1642), fratello del cognato di Rosselli, l’orefice Giovan Battista Boschi, nell’affrescatura del coro della distrutta chiesa di S. Pier Maggiore, dove Matteo raffigurò il «Signore Gesù Cristo in atto di parlare a’ suoi discepoli» (Baldinucci, 1688, 1846, p. 161); tale collaborazione si ripeté nel 1619 con la messa in opera degli affreschi, equamente spartiti fra i due pittori, della cappella Usimbardi in S. Trinita (Leoncini, 1987, pp. 175-181). Sempre nel 1615 Rosselli consegnò la tela con Michelangelo erige i bastioni sulla collina di S. Miniato per il ciclo michelangiolesco di Casa Buonarroti, dove sarebbe tornato a fasi alterne per eseguirvi due dei monocromi nella galleria (1627-28) e, nello studio, la grande scena ad affresco con I legisti, gli storici, i retori e gli umanisti (1637) (Procacci, 1965; Vliegenthart, 1976). All’aprirsi degli anni Venti l’artista diresse a Firenze alcune importanti decorazioni a fresco promosse dalla famiglia granducale, alle quali aveva fatto da prodromo la sua partecipazione nel 1618 alle scene pittoriche sugli armadi della cappella delle Reliquie a palazzo Pitti (Goldenberg Stoppato, 2014, pp. 40 s., fig. 7). Rosselli, infatti, dopo aver partecipato all’impresa collettiva della facciata di palazzo Antella in piazza S. Croce (1619-20), si era diviso con la sua équipe fra la villa del Poggio Imperiale, il casino di S. Marco (1622-23) e la sala della Stufa a palazzo Pitti (1622 circa; da ultimo: Fasto di corte, 2005, ad ind.).
Nel 1623 risulta documentata nella Ss. Annunziata la decorazione parietale della cappella Del Palagio, intitolata a S. Nicola di Bari, i cui affreschi, ignorati dagli studiosi per la scarsa leggibilità dovuta al degrado, costituiscono invece uno dei capitoli più interessanti della fase matura di Rosselli, autore dei Quattro Evangelisti nella volta e delle monumentali Virtù del santo raffigurate alle pareti laterali e qui identificabili con le personificazioni della Fortezza e della Sapienza a destra e, a sinistra, della Prudenza e della Liberalità, quest’ultima allusiva alla dote elargita da s. Nicola a tre fanciulle povere. A cavallo fra il secondo e il terzo decennio, periodo fra i più intensi di Rosselli sotto il profilo professionale, si scalano alcuni dipinti a destinazione pubblica e privata, fra i quali vale la pena ricordare il Trionfo di David, commissionato dal cardinale Carlo de’ Medici prima del 1620 (Firenze, palazzo Pitti, Galleria palatina; Chiarini, 2003, pp. 346 s., n. 561), la pala con S. Pietro che risana uno storpio per la cappella Baldovinetti nella pieve di Marti (Pisa), documentata nel 1622 (Bitossi, 2003, pp. 83 s., fig. 49), la Semiramide (Firenze, villa della Petraia) eseguita fra il 1623 e il 1625 per la sala delle Udienze a Poggio Imperiale e, infine, l’Incoronazione della Vergine nella cappella Iacopi in S. Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze, siglata e datata dall’artista nel 1624. A queste opere si aggiungono alcune pale d’altare con S. Benedetto e le ss. Apollonia e Caterina da Siena, firmata e datata nel 1625 per il santuario di S. Maria della Querce a Lucignano (Maetzke, 1974, pp. 119 s., n. 46), con il Congedo di s. Paolo, firmata e datata 1626 per la cattedrale di Volterra, e con la Pietà, inviata nel 1627 nella chiesa di S. Vincenzo a Modena a conferma della fama conseguita dal pittore oltre i confini della Toscana (Baldinucci, 1688, 1846, p. 165). Da segnalarsi è anche la lunetta con il Transito di s. Antonino affrescata nel 1627 nel chiostro omonimo di S. Marco a Firenze, mentre all’interno della chiesa domenicana è esposta la pala, datata 1640, con la Madonna che porta in cielo l’immagine di s. Domenico.
Il quarto decennio del Seicento si aprì con la prima delle commissioni Bonsi nella chiesa dei Ss. Michele e Gaetano, consistente nella decorazione della cappella della Natività, realizzata da Rosselli fra il 1631 e il 1632; dal confronto fra questi dipinti – la Natività sull’altare, la Visitazione e le due lunette laterali – e quello che il pittore eseguì un decennio più tardi nella seconda cappella Bonsi intitolata a S. Elena – Invenzione della Vera Croce siglata e datata 1644 – risulta subito evidente la svolta stilistica prodottasi nel frattempo in favore di una maggiore monumentalità d’impianto e di forme (Pagliarulo, 1982, pp. 13-32; Chini, 1984, pp. 105 ss.).
L’intonazione semplice e accostante che aveva difatti caratterizzato i primi dipinti Bonsi (e percepibile in ugual misura nella pala con la Vergine che porge il Bambino a s. Francesco, firmata nel 1634 per la cappella Boni in S. Maria Maggiore) lascia ora spazio a una concezione più solenne e aggiornata della pittura, certo conseguenza della forte impressione riportata dal pittore sostando dinanzi agli affreschi di Pietro da Cortona a palazzo Pitti (Baldinucci, 1688, 1846, pp. 173 s.).
Testimoni di questa sterzata stilistica sono pure, sempre nella chiesa teatina, le tele con i Ss. Gaetano da Thiene, Andrea Avellino e Francesco, siglata e datata 1640, e con S. Lorenzo risana un cieco, eseguita nel 1643. Fra le opere tarde di Rosselli spiccano l’affresco con Cristo nell’orto degli ulivi, realizzato nella sede della Compagnia di S. Benedetto Bianco, di cui il pittore era confratello (Grassi, 2015, pp. 160 s., n. 24), e la Madonna del Rosario nel duomo di Pietrasanta, ritenuta uno degli ultimi dipinti eseguiti dall’artista (Faini Guazzelli, 1986, III, p. 160).
Rosselli morì a settantadue anni non ancora compiuti nel gennaio del 1650 e venne tumulato nella chiesa di S. Marco a Firenze (ibid.). Sua unica erede fu la sorella Margherita, maritata con Giovan Battista Boschi, presso la cui famiglia Matteo aveva trascorso l’intera esistenza «con una pace, che maggiore non può desiderarsi» (Baldinucci, 1688, 1846, p. 169).
Fonti e Bibl.: Archivio dell’Opera del duomo di Firenze, Registri battezzati maschi, 18 (1577-88), lettera M, c. 102.
F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua, a cura di F. Ranalli, IV, Firenze 1688, Firenze 1846, pp. 154-176; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, I, Ove si descrivono le scuole della Italia inferiore, fiorentina, la senese, la romana, la napoletana, Bassano 1795, pp. 240 s.; U. Procacci, La Casa Buonarroti a Firenze, Milano 1965, pp. 11 s., 18, 173-176, 184; F. Faini Guazzelli, M. R. pittore, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, a.a. 1965-66; Ead., I disegni di M. R. al Louvre, in Antichità viva, VIII (1969), 3, pp. 19-35; A.M. Maetzke, in Arte nell’aretino. Recupero e restauri della soprintendenza ai monumenti e gallerie di Arezzo, 1968-1974 (catal., Arezzo), Firenze 1974, pp. 119 s., n. 46; A.W. Vliegenthart, La Galleria Buonarroti. Michelangelo e Michelangelo il Giovane, Firenze 1976, pp. 116-118; C. Acidini Luchinat, in Museo civico di Pistoia. Catalogo delle collezioni, a cura di M.C. Mazzi, Firenze 1982, p. 138, n. 41; G. 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