SALVI, Matteo.
– Nacque il 24 novembre 1816 a Botta di Sedrina, borgo montano all’imbocco della Val Brembana, poco distante da Bergamo, primogenito di Matteo e Paola Sartirani.
Dopo di lui, i genitori ebbero altri altri 5 figli: uno di essi, Luigi, si sarebbe affermato come maestro di canto al seguito del fratello. La famiglia viveva del lavoro nei campi, prima di trasferirsi in città.
L’11 gennaio 1828 il dodicenne Salvi risulta iscritto alle Lezioni caritatevoli di musica (allievo di canto, voce di contralto) come «elemento sopranumerario per la prova di tre mesi» e viene indicato essere «di Bergamo» (Bergamo, Biblioteca civica, Lezioni caritatevoli di musica, vol. II, fasc. 75, n. 103): fu dunque uno dei nomi importanti usciti dalla scuola fondata da Giovanni Simone Mayr nel 1805. Qui, oltre che di canto, ebbe lezioni di cembalo, di materie ausiliarie e certamente di composizione (dallo stesso Mayr). Nel 1832, «vicinissimo al cangiamento di voce», dovette rinunciare agli esercizi vocali e alle esecuzioni nella basilica di S. Maria Maggiore, cui gli allievi erano tenuti a partecipare (Bergamo, Biblioteca civica, Lezioni caritatevoli di musica, vol. Ia, fasc. 2, n. 887). In virtù di un talento non comune, che consentì a Mayr di trattenerlo (come già in precedenza per Donizetti, anch’egli allievo nella scuola), proseguì gli studi fino al 1835. In quegli anni Salvi poté fare pratica, oltre che nella cappella basilicale, prendendo parte a funzioni in città e provincia in veste di organista e fornendo musica per iniziative promosse da Mayr. Attività ecclesiastica a parte, era il teatro la mèta ambita dal giovane musicista: senz’altro con il sostegno di Mayr e di Antonio Dolci, suo docente di cembalo, entrò nel circuito locale come maestro di coro (teatro Riccardi, stagioni di fiera 1838-1841) e maestro al cembalo (teatro Sociale, carnevale 1840 e 1841). Alla morte di Mayr (1845), il funzionario governativo, poligrafo e musicista Girolamo Calvi ne individuò in Salvi il degno sostituto: «questi dovrebbe ora succedere a Mayr nella cappella bergomese se l’amor di patria gli facesse dimenticare la migliore fortuna che potrebbe trovare fuor di paese» (Calvi, 2000, p. 99).
Infatti, su sprone dello stesso Mayr che nel 1841 lo aveva raccomandato a Ignaz Ritter von Seyfried, Salvi si era frattanto stabilito a Vienna. Seyfried era deceduto nell’agosto 1841, prima che Salvi raggiungesse la capitale (a ottobre era certamente in città): messosi alla ricerca di un maestro, lo individuò in Simon Sechter, l’organista di corte, col quale s’impegnò nello studio del contrappunto e della fuga, come documenta la composizione di almeno un paio di messe. In quel periodo era attivo a Vienna anche Donizetti, che Salvi, auspice il solito Mayr, poté frequentare assiduamente. Il grande compositore incoraggiò la carriera teatrale del concittadino, incitandolo, trasmettendogli i segreti del mestiere, correggendone il lavoro, trovandogli allievi di canto, affidandogli la preparazione dei cantanti in vista delle esecuzioni da lui dirette. Di fatto Salvi gli fece da assistente e segretario.
Fu Donizetti a procacciare e seguire da vicino le prime due scritture dell’allievo, coinvolgendo un altro bergamasco protégé di Mayr, l’impresario Bartolomeo Merelli, che all’epoca gestiva sia il teatro di Porta Carinzia sia la Scala. In questi teatri Salvi esordì, rispettivamente, con La prima donna, lavoro semiserio in un atto su libretto di Carlo Guaita (29 aprile 1843), e Lara, «tragedia lirica» in tre atti di Leopoldo Tarantini (4 novembre 1843). Il primo, a dispetto del titolo, non era un soggetto metateatrale, bensì uno di quegli idilli agresti di cui Donizetti e Bellini avevano fornito modelli insigni; il secondo, tratto dal poema di Byron, verteva sul tema, caro al melodramma romantico, dell’eroe maledetto e ramingo (Donizetti aveva scartato questo argomento nel 1837). Entrambe le opere ebbero buon esito, e Ricordi ne pubblicò i numeri principali ridotti per canto e pianoforte. Salvi trascorse in parte a Parigi, in compagnia di Donizetti, il tempo intercorso fra i debutti delle due opere: portò con sé la partitura di Lara, sulla quale il celebre collega non mancò di fornire la propria assistenza. Nello stesso proficuo periodo pubblicò, per l’editore viennese Mechetti, le Premières pensées musicales, un album di lavori destinati ai salotti cittadini e in particolare ad alimentare quel mercato di allievi di canto da cui il musicista traeva buona parte dei suoi proventi.
La carriera operistica proseguì con I burgravi, «dramma lirico» di Giacomo Sacchero (da Hugo), caduto clamorosamente alla Scala l’8 marzo 1845, e con Caterina Howard, «melodramma tragico» di Giorgio Giachetti rappresentato con successo a Porta Carinzia il 10 giugno 1847, poi ripreso a Trieste (carnevale 1848) e Bologna (autunno 1854). Lucca pubblicò la riduzione di questa che sarebbe stata l’ultima opera del compositore, oltre alla trascrizione pianistica di alcuni brani.
Nel 1848 da una relazione con la baronessa boema Clementine von Gallenfels, sposata l’anno dopo, nacque l’unico figlio, Paul Clemens. Fra il 1861 e il 1867 Salvi diresse il principale teatro d’opera viennese, in una fase delicata nella vita dell’istituzione: ne riportò severe critiche, ma riuscì comunque a fondare un’accademia per formare gli artisti necessari all’ente. Spostatosi a Pest nel 1874, lavorò come insegnante di canto.
Nel 1875 tornò a Bergamo, dove partecipò alla traslazione delle salme di Mayr e Donizetti nella basilica cittadina e fu nominato direttore della scuola in cui aveva studiato. Mantenne la carica fino al 1879, realizzando un profondo riordinamento educativo e organizzativo. Gli impegni di insegnante e organizzatore fecero passare in secondo piano la produzione musicale, limitata ad ariette, a pochi lavori sacri (la Messa votiva del 1857 e la Messa op. 5 del 1876, entrambe edite da Lucca) e a L’arte del canto in pratica, fortunatissima raccolta di solfeggi a fini didattici.
Fu tuttavia grazie alla perizia di compositore se il nome di Salvi è rimasto agganciato ai fili della storia. Gli fu infatti affidato il compito di completare Le duc d’Albe, il grand opéra commissionato a Donizetti dall’Opéra nel 1838 ma rimasto incompiuto. Giovannina Lucca ne acquistò la partitura nel 1881 nell’intento di metterla in scena, sebbene due diverse commissioni si fossero pronunciate negativamente sulla sua eseguibilità. Una terza commissione, composta da Antonio Bazzini, Amilcare Ponchielli e CesareDominiceti, ritenne il lavoro rappresentabile se affidato alle cure di un maestro esperto. Salvi riordinò i materiali, scrisse parte dei recitativi, completò l’orchestrazione, compose i pezzi mancanti o sostitutivi. Dato che la romanza del tenore era stata riutilizzata nella Favorite (Ange si pur), Salvi la rimpiazzò con una tutta sua, Angelo casto e bel. Del libretto originale di Eugène Scribe e Charles Duveyrier, poi rifuso dallo stesso Scribe nelle Vêpres siciliennes per Verdi, Angelo Zanardini approntò la versione ritmica italiana. Il duca d’Alba andò trionfalmente in scena a Roma, teatro Apollo, il 22 marzo 1882; è poi stato sporadicamente ripreso nel Novecento, in particolare a Spoleto nel 1959, regìa di Luchino Visconti (il direttore Thomas Schippers approntò però una nuova edizione che, ripartendo dall’autografo donizettiano, manteneva pochi interventi di Salvi).
Salvi trascorse gli ultimi anni a Rieti, dove morì il 16 ottobre 1887.
Fonti e Bibl.: G. Calvi, Di Giovanni Simone Mayr [1846-1848], a cura di P. Pelucchi, Bergamo 2000, ad ind.; G. Donati Petteni, L’Istituto musicale Gaetano Donizetti. La Cappella musicale di Santa Maria Maggiore. Il Museo donizettiano, Bergamo 1928, passim; G. Zavadini, Donizetti. Vita - musiche - epistolario, Bergamo 1948, ad ind.; G. Barblan, L’avventuroso destino del “Duca d’Alba”, in Festival dei Due mondi, Spoleto, 1959, Spoleto 1959, pp. 16-24; F. Dirnberger, M. S. und das Ende der italienischen Stagione an der Hofoper in Wien, in Mitteilungen des österreichischen Staatsarchivs, XXXI (1978), pp. 309-333; P. Forcella, M. S. Musicista bergamasco sul palcoscenico d’Europa, Bergamo 1987; S. Koth, M. S. in Wien, Wien 1987; P. Forcella, Quattro lettere da Vienna di M. S. a Giovanni Simone Mayr, in Atti dell’Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo, LIV (1994), pp. 373-390; Le prime rappresentazioni delle opere di Donizetti nella stampa coeva, a cura di A. Bini - J. Commons, Roma-Milano 1997, pp. 1414-1527; P. Forcella, Una lettera da Vienna di M. S. a Paolo Gilardoni, in Atti dell’Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo, LIX (1998), pp. 433-440; M. Jahn, Die Wiener Hofoper von 1848 bis 1870, Tutzing 2002, ad ind.; S. Koth, Le duc d’Albe, in Donizetti society journal, 2002, n. 7, pp. 397-411; R. Parker, Donizetti’s forgotten French opera: in search of “Le duc d’Albe”, in Donizetti society, articles, 2012: http://www.donizettisociety.com/Articles/articleleduc.htm (giugno 2020).