Villani, Matteo
Fratello minore di Giovanni, a distanza di anni dopo la morte ne continuò l'opera riprendendo la stesura della Cronica dal punto in cui era rimasta interrotta e protraendola per undici libri, fino al 1363, anno stesso della sua morte (12 luglio). Altri quarantadue capitoli avrebbe quindi aggiunto alla cronaca di Matteo il figlio Filippo (v.).
Di Matteo poco sappiamo oltre quel tanto che ci è dato desumere da alcuni documenti che concernono per lo più il maggiore Villani. Non è nota la data di nascita. Dedito, come il fratello, alla mercatura, dal 1319 rappresentò a Napoli la società dei Buonaccorsi insieme con Tingo Alberti. Il primo maggio 1322 stipulò un accordo privato insieme con i tre fratelli. La prima metà del 1324 vide lo sviluppo decisivo per l'affermazione dei Buonaccorsi (a seguito di un viaggio a Napoli di Vanni Buonaccorsi, Tingo Alberti si trasferì ad Avignone dove fu aperta una filiale della società); il 23 settembre essi stipulavano, anche a nome di Matteo, una sorta di compromesso davanti al notaio, programmando una ricostituzione della loro società intesa a un più ampio arco di attività a cominciare dal primo maggio 1325. Un lodo arbitrale, il cui esito non ci è noto, per la sistemazione degl'interessi reciproci di Matteo, Giovanni e Filippo V. si ebbe il primo maggio 1331.
Nel dicembre dello stesso anno risulta che il padre Villano di Stoldo prese posizione a favore di Giovanni e di Matteo contro i fratelli Francesco e Filippo, dichiarando nel suo testamento di non riconoscere alcuna validità al patto familiare del 1322 (sembra legittimo sospettare dell'attendibilità legale di questo testamento, come pure di un codicillo del 6 luglio 1333). Nell'anno 1341 si ebbe uno sviluppo delle liti familiari: Francesco agì contro Matteo, rappresentato dal nipote ser Bernardo di Giovanni V., per ottenere il rispetto di una clausola dell'accordo del 1322.
Ai primi di giugno del 1342 si verificò l'improvvisa cessazione dell'attività dei Buonaccorsi: il giorno 7 i soci e i fattori fuggirono da Napoli. Nell'autunno di quell'anno, a seguito del fallimento dei Peruzzi e dei Buonaccorsi, Giovanni e Matteo furono soggetti a un nuovo lodo arbitrale (a Matteo il fratello Francesco aveva chiesto rendimento " de hiis quae lucratus fuit praecipue in dicta societate de Bonaccursis "). Nell'autunno-inverno 1343-44 la moglie Lisa di Monte fu incarcerata per debiti di Matteo. Sul piano politico le vicende del cronista non furono meno travagliate: nel 1362 subì un processo per ghibellinismo, dal quale uscì assolto; ma l'anno seguente, denunciato di nuovo dalla Parte guelfa, fu dichiarato ineleggibile ai pubblici uffici. Morì l'anno seguente, vittima della peste.
Scialbe e non troppo edificanti risultano dunque le notizie biografiche. Ciò che non autorizza tuttavia a dubitare della genuinità del suo moralismo sfiduciato, quale ci risulta dalla Cronica. Più ancora interessa il senso in lui vivo del distacco dal passato: ciò che, rispetto all'atteggiamento di Giovanni nella sua Cronica - della quale Matteo prosegue in sostanza il metodo espositivo pur con qualche pretesa formale (ad esempio nell'elaborazione dei discorsi) -, poté ben essere dovuto al mutamento della situazione politica fiorentina intorno alla metà del secolo.
Nel quadro della mutata situazione politica di Firenze a metà Trecento si possono spiegare gli echi tematici e perfino, a volte, verbali della polemica anti-ecclesiastica di D. nella Cronica matteana, dove peraltro un riferimento esplicito al poeta mai non risulta. Si noti del resto nel libro IV, al cap. 77, l'esposizione della teoria della delega di autorità fatta dal popolo romano (ivi inclusi i cittadini della Toscana) agl'imperatori: teoria che gli permetteva di eludere in effetti l'imperialismo universalistico di stampo dantesco non meno dell'ormai scontato papalismo guelfo. La Cronica sembra infatti riflettere coscientemente il tramonto dei due poteri universali del mondo medievale: senza peraltro che sia possibile rintracciare in essa sostitutive certezze ideologiche al di là di uno sfiduciato senso del precario che si traduce, se mai, in un empirico programma conservatore. Programma che concerne lo stato di cose presente, senza indicare, come invece si ha in D., la genuina restaurazione dei poteri per una ripresa del corso legittimo della storia.
Atteggiamento che non gl'impedì il rilancio disinvolto di clichés danteschi nella politica contro l'alto clero (es. II 48 " i vizi de' nostri pastori di Santa Chiesa "; VI 14 " e allargarono colla predicazione l'indulgenza oltre alla commissione del papa, e cominciarono a non rifiutare danaio da ogni maniera di gente, compensando i peccati e i voti d'ogni ragione con danari assai o pochi come gli poteano attrarre... ingannando la gente con allargare colle parole quello che non portava la loro commissione "; VIII 110 " il corso della Chiesa terrena lussuriosa e avara, al cui esempio assai disonesto e dannoso i secolari, che sono ghiotti de' beni terreni, vivendo trascorrono in grandi e disordinati peccati ", non senza inclusione di prestiti verbali caratteristici, come nel libro VIII 6, dove per l'" insaziabile avarizia de' prelati... le gregge si dispergono, e diventano pasto de' rapaci lupi ": cfr. Pd XXVII 55 In vesta di pastor lupi rapaci). Anch'egli, come del resto già il fratello Giovanni, non esitò a far risalire ai misfatti di Filippo il Bello e della sua famiglia la causa delle sfortune della dinastia capetingia (VII 4).
Manca un'edizione critica della Cronica di Matteo; i primi quattro libri dell'opera furono stampati a Firenze (Torrentino) nel 1554. L'edizione giuntina del 1562, stampata in Venezia (non già in Firenze, come pur si credette), con note di Remigio Nannini, si arresta al libro XI 85; una seconda giuntina (Firenze 1581), emendata con il riscontro di un manoscritto dell'anno 1378 (codice Ricci), contiene un capitolo in più della precedente. I ventisette capitoli che completano il libro IX e i due ultimi libri, esemplati sul codice Ricci, furono pubblicati dai Giunti in Firenze nel 1577. Nel 1596 se ne fece un'esatta ristampa. Vi è compresa l'aggiunta di Filippo (ultimi quarantadue capitoli del libro XI).
La ristampa giuntina del 1581 e, per il seguito, la stampa del 1577 furono seguite dal Muratori (Rer. Ital. Script. XIV, Milano 1729), con il corredo di alcune varianti che il Marmi trasse dai codici Ricci e Covoni. La lezione del codice Ricci fu invece riprodotta dal Moutier per l'edizione fiorentina del Magheri (1825-26), in sei volumi, non senza ricorso a varianti del codice Covoni riprodotte dalla muratoriana e ad altre di due Riccardiani e un Magliabechiano (non specificate però dall'editore). La lezione Moutier venne integralmente riprodotta nella fiorentina del 1846 (Sansone Coen, in due volumi), seguita a sua volta dalla triestina del Lloyd Austriaco (1857).
Bibl. - Su Matteo V. e la sua opera la bibliografia è scarsa: cfr. G.A. Brucker, The Ghibelline Trial of Matteo V. (1362), in " Medievalia et Humanistica " XIII (1960) 48-55; G. Aquilecchia, Aspetti e motivi della prosa trecentesca minore, in " Italian Studies " XXI (1966) 1-15; M. Luzzati, Giovanni V. e la compagnia dei Buonaccorsi, Roma 1971; L. Green, Chronicle into History: an Essay on the interpretation of history in Florentine Fourteenth-Century Chronicles, Cambridge 1972.
V. anche VILLANI, GIOVANNI.