ZACCOLINI, Matteo
– Attestato nei documenti d’archivio con le varianti di cognome Ceculini, Zaccolino e Zocolino, nacque il 12 aprile 1574 a Cesena da Santino Ceculini, di professione «triclo e panvendolo», e da Binda Gianuzzi (Guidolin, 2015, pp. 32 e 487).
Rimasto orfano di padre insieme alle sorelle Caterina e Giulia nel 1582, Zaccolini visse con la madre in contrada S. Agostino, non distante dal palazzo della famiglia Chiaramonti, sino al 1597 (Bell, 1983, II, p. 603, appendix A2; Guidolin, 2015, pp. 32, 487 s.). Non avendo ricevuto un’educazione formale, furono l’assidua frequentazione del cosiddetto Lyceum Chiaramonti e in particolare gli insegnamenti di Scipione Chiaramonti, autore di un trattato sulla prospettiva, studioso di matematica, astronomia, storia ed etica, nonché uomo profondamente religioso, che gli permisero di acquisire nozioni filosofiche e scientifiche di base, soprattutto in campo prospettico e ottico (Guidolin, 2014; Ead., 2015, pp. 33-36). Nella dedica al primo volume del suo Trattato di prospettiva, Zaccolini esplicitamente citò Chiaramonti come mentore e maestro, dichiarando la volontà di far «sapere al mondo tutto che, qual io mi sia, mi fu da lei insegnato» (Bell, 1985, pp. 230 s.). Le fonti contemporanee lo ricordano come dotato di mente agile e curiosa, benché di formazione limitata: Giovanni Baglione lo definisce «di lettere idiota, nondimeno per natura pronto d’ingegno» (Baglione, 1642, p. 316), mentre Cassiano Dal Pozzo, in quella che viene considerata la prima biografia dell’artista, rimasta manoscritta (Pedretti, 1973), sottolinea come l’ignoranza della lingua latina lo costringesse a leggere solo in traduzione i testi utili per i suoi studi.
Baglione (1642, p. 316) e Dal Pozzo (Pedretti, 1973, p. 41) mettono in evidenza come le «regole di prospettiva» apprese a palazzo Chiaramonti gli consentirono di specializzarsi nell’architettura dipinta e di diventare un esperto teorico e consulente di invenzioni prospettiche, i cui consigli erano ricercati da altri maestri; è probabile che sia stato sempre Scipione Chiaramonti a indirizzare il giovane verso l’attività pittorica. Condusse l’apprendistato a Cesena, presso il pittore, architetto e ingegnere idraulico Francesco Masini, l’artista più famoso all’epoca in città (Bell, 1985, p. 232; Guidolin, 2015, p. 46). Alla fine del 1598, sotto la direzione di Masini, collaborò all’esecuzione degli apparati effimeri per l’ingresso a Cesena di Clemente VIII, producendo, tra gli altri, decorazioni per archi trionfali e facciate di palazzi, e alcuni fregi per il palazzo del Governatore, ora palazzo comunale (Bell, 1985, pp. 232 s.; Guidolin, 2015, pp. 46-76, con alcune ipotesi attributive, e 489-493 per i relativi mandati di pagamento).
Dopo aver ricevuto il saldo per questi lavori, si trasferì a Roma, probabilmente entro la fine del 1599, forse attratto dalla prospettiva di ottenere commissioni in vista del giubileo del 1600 (Bell, 1985, p. 233). La sua presenza nella città papale è documentata con certezza a partire dalla primavera del 1601, quando risultava risiedere nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte, presso lo scultore Camillo Mariani (De Lotto, 2005, p. 160, doc. 3; Guidolin, 2015, p. 107, ipotizza la sua presenza nella stessa parrocchia a partire dal 1599). È tuttora incerto in virtù di quale rete di relazioni Zaccolini sia riuscito a inserirsi nel competitivo ambiente romano. Probabilmente la partecipazione ai festeggiamenti a Cesena nel 1598 gli permise di attirare l’attenzione di qualche importante prelato; allo stesso tempo i contatti romani del suo maestro Francesco Masini e la permanenza presso Camillo Mariani lo dovettero aiutare a ottenere la prima commissione pubblica. Subito dopo l’arrivo a Roma, entrò infatti a far parte della squadra guidata dal pittore bolognese Baldassarre Croce, il quale, dal 1598, sovrintendeva alla decorazione della navata della chiesa di S. Susanna (Guidolin, 2015, pp. 110-128). Benché Baglione (1642) gli attribuisca la paternità di «tutti gli adornamenti, et i gran colonati a vite [...] et anche le prospettive di quelle storie, opera con maniera gagliarda, d’honorata fatica, a fresco felicemente distinta» (p. 316), il ruolo di Zaccolini all’interno del cantiere fu forse limitato al perfezionamento di alcuni dettagli con ritocchi a secco e alla risoluzione in fase esecutiva di problemi prospettici in relazione agli scorci delle cornici e alla resa dei colori (Guidolin, 2015, pp. 116-128, con un’approfondita discussione degli interventi attribuibili a Matteo).
Il suo apporto al cantiere di S. Susanna dovette comunque essere apprezzato, dal momento che successivamente gli venne affidato l’incarico di completare la decorazione della volta del coro nella chiesa teatina di S. Silvestro al Quirinale, lasciata incompiuta dai fratelli Giovanni e Cherubino Alberti nel 1601 (Giffi, 1999; Guidolin, 2015, pp. 128-144). Come recita il contratto stilato il 30 luglio 1602, Zaccolini era responsabile dell’invenzione prospettica della volta del coro, ovvero di «fare li ornamenti di stucho finti» (Bell, 1983, II, pp. 604 s., appendix A6) sulla base di un disegno da lui stesso prodotto e preventivamente approvato da Cristoforo Roncalli e dal padre teatino Biagio Betti, per un compenso di 140 scudi di moneta (Giffi, 1999, p. 103; Guidolin, 2015, p. 497); come già successo a S. Susanna, fu inoltre consulente per la risoluzione di problemi prospettici e ottici. Rispetto alle decorazioni già eseguite dai fratelli Alberti, quelle realizzate con l’apporto di Zaccolini rivelano un accentuato sperimentalismo e illusionismo cromatico, e contribuirono a consacrarne la fama di abile prospettico a Roma.
La partecipazione al cantiere di S. Silvestro segnò la biografia dell’artista non solo dal punto di vista professionale, ma anche sul piano personale. Il 2 febbraio 1603 il pittore cominciò il noviziato presso l’adiacente casa dell’Ordine dei chierici regolari teatini; dopo aver completato la decorazione della volta della chiesa nel 1604, fu accolto come fratello laico il 17 aprile 1605 (Guidolin, 2015, pp. 147 s., e p. 498 per l’atto di professione); di lì a qualche mese rinunciò a ogni bene ereditato dal padre a favore delle sorelle (p. 493). Da questo momento in poi, mise le proprie competenze al servizio dei vari progetti decorativi commissionati dall’Ordine teatino. Baglione fornisce un sommario elenco dei lavori eseguiti nella chiesa di S. Silvestro e nella adiacente casa, tra cui, per esempio, la decorazione della libreria, con teorie di finti libri mescolate ai volumi reali, e del refettorio, abbellito con un falso colonnato (Baglione, 1642, p. 317; Guidolin, 2015, pp. 150-152, per una ricostruzione di questa produzione); si tratta di opere in gran parte scomparse o attualmente in condizioni così scadenti da impedire una valutazione critica della loro originaria qualità (Bell, 1985, p. 243). A S. Silvestro Zaccolini probabilmente lavorò a stretto contatto con il già nominato Biagio Betti, pittore teatino che godeva di ampia fama a Roma, e fornì consigli e suggerimenti agli artisti a lui legati, come per esempio Giuseppe Cesari, Roncalli e Domenico Zampieri (Guidolin, 2015, pp. 158-162).
Nel 1609-10 Zaccolini fu inviato una prima volta a Napoli, presso la casa teatina dei Ss. Apostoli, con il compito di eseguire alcune non meglio specificate opere di pittura; probabilmente frutto di questo soggiorno furono i lavori, anche in questo caso non identificabili, condotti nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone, ricordati da Cassiano Dal Pozzo (Guidolin, 2015, pp. 168 s., 499 s.). Dopo il suo rientro a Roma, avvenuto in data imprecisata, la sua presenza a Napoli venne nuovamente sollecitata il 18 agosto 1617 da parte del capitolo dei Ss. Apostoli, che desiderava servirsi delle sue competenze per la decorazione della nuova sacrestia (Guidolin, 2015, pp. 170-184, per la discussione di altre opere ascrivibili a questo periodo, e p. 500 per la trascrizione della supplica). Ripartito da Napoli il 27 aprile 1623 (p. 500), Zaccolini giunse a Roma il 2 maggio e soggiornò tre mesi nella casa teatina di S. Andrea della Valle, forse per assistere Domenichino nella progettazione della decorazione del coro e della crociera della chiesa adiacente (Bell, 1985, pp. 251-254; Sannucci, 2009). Dopo questa breve pausa, nell’agosto del 1623 fu nuovamente destinato alla casa di S. Silvestro, dove morì il 13 luglio 1630, forse per la cronicizzazione di una malattia che, secondo Cassiano Dal Pozzo, aveva contratto a Napoli (Bell, 1985, pp. 251, 255 s.).
Nel corso della sua vita, Zaccolini cercò di conciliare l’attività di pittore con quella di studioso e teorico. Consultato sempre più di frequente per fornire pareri in campo prospettico, si convinse della necessità di educare gli artisti nelle scienze naturali, insegnando loro le conoscenze e le competenze necessarie alla progettazione ed esecuzione di sfondi pittorici con ambientazioni architettoniche e spazi aerei. A questo scopo tenne lezioni di prospettiva nella casa teatina di S. Silvestro e si dedicò alla stesura di un ambizioso Trattato di prospettiva (Bell, 1985, pp. 246 s.). Suddiviso in quattro parti (De’ colori, Prospettiva del colore, Prospettiva lineare, Della descrittione dell’ombre), il trattato era dedicato a «ogni esperienza che intorno al colore accade», e si concentrava soprattutto sul problema di come adattare gli effetti cromatici alla resa prospettica della lontananza (Bell, 1993; Ead., 2003; Guidolin, 2015, pp. 96 e 201-485 per l’edizione critica del De’ colori e un’analisi approfondita). L’opera doveva essere a buon punto nel maggio del 1618, quando il capitolo generale dell’Ordine teatino accordò al pittore il permesso eccezionale di essere sollevato dalle mansioni quotidiane per un anno o più per dedicarsi al perfezionamento del manoscritto in vista della pubblicazione (Bell, 1985, p. 246; Ead., 1988; Guidolin, 2015, pp. 184 s.). Zaccolini continuò tuttavia a essere impegnato come consulente in vari cantieri teatini a Roma e a Napoli; il suo lavoro di scrittura fu inoltre ostacolato da quelle che, nella lettera dedicatoria alla seconda parte del trattato, scritta a Napoli nel 1622, egli stesso definì «lingue calunniatrici, nemiche delle stampe» (Guidolin, 2015, p. 186). Avvilito dalle difficoltà e pressato dagli impegni, l’artista abbandonò il progetto di pubblicazione e l’opera rimase inedita alla sua morte. Affascinato dalla scrittura – oltre che dagli studi di ottica – di Leonardo da Vinci, ne adottò la grafia speculare in parte dei suoi manoscritti autografi, ora perduti ma noti in quanto a contenuto grazie alle copie prodotte negli anni Trenta del Seicento da Cassiano Dal Pozzo (Guidolin, 2015, pp. 191 s.; Bell, 2019, per una discussione del legame tra gli scritti di Leonardo, Zaccolini e Cassiano dal Pozzo). Sulla base di considerazioni critiche e codicologiche, gli è stato attribuito anche un breve opuscolo dedicato alle qualità degli specchi concavi (Bell, 2018).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII fino a tutto quello d’Urbano VIII nel 1642, Roma 1642, pp. 316-318; C. Pedretti, The Zaccolini Manuscripts, in Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, XXXV (1973), pp. 39-53; J.C. Bell, Color and theory in Seicento art: Zaccolini’s Prospettiva del Colore and the heritage of Leonardo, I-II, Ph.D Dissertation, Brown University 1983; Ead., The life and works of M. Z. (1574-1630), in Regnum Dei, XLI (1985), pp. 227-258; Ead., Cassiano dal Pozzo’s copy of the Zaccolini manuscripts, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 1988, vol. 51, pp. 103-125; Ead., Zaccolini’s theory of color perspective, in The Art Bulletin, LXXV (1993), pp. 91-112; E. Giffi, Cristoforo Roncalli, M. Z. e Giuseppe Agellio in San Silvestro al Quirinale, in Prospettiva, 1999, n. 93-94, monografico: Omaggio a Fiorella Sricchia Santoro, II, pp. 99-108; J.C. Bell, Zaccolini’s unpublished Perspective Treatise. Why should we care?, in The Treatise on Perspective. Published and unpublished, a cura di L. Massey, New Haven-London 2003, pp. 79-103; M.T. De Lotto, Per una biografia di Camillo Mariani: nuove fonti sul periodo romano, in Arte Veneta, LXII (2005), pp. 152-165 (in partic. p. 160); P. Sannucci, Luce e colore nei pennacchi del Domenichino a Sant’Andrea della Valle, in Kermes, XXII (2009), 75, pp. 44-54; F. Guidolin, Dall’allievo al maestro: sulle tracce di M. Z. per ritrovare La Nova Prattica di Perspettiva di Scipione Chiaramonti da Cesena, in Venezia arti, XXVII (2014), 24, pp. 98-100; Ead., Il colore della lontananza. M. Z., pittore e teorico di prospettiva, tesi di dottorato in Storia delle arti, Ca’ Foscari-IUAV-Università di Verona 2015; J.C. Bell, A Treatise on mirrors attributed to M. Z., in Nuncius, XXXIII (2018), pp. 563-584; Ead., Zaccolini, dal Pozzo, and Leonardo’s writings in Rome and Milan, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, LXI (2019), 3, pp. 309-333.