Mattia I Corvino, re d'Ungheria
Condottiero (Kolozsvár, Transilvania, 1440 c. - Vienna 1490), legislatore, mecenate della letteratura e di tutte le arti, dotato di grandi capacità mentali e di senso artistico squisito.
Suo padre Giovanni Hunyadi, il " cavaliere Bianco ", governatore di Ungheria, l'introdusse da giovane nella vita dei soldati benché ne curasse anche l'educazione letteraria in cui gli fu maestro Giovanni Vitéz, vescovo di Nagyvàrad e cancelliere del regno. Dopo la morte prematura del padre (1456), egli dovette sopportare persecuzioni: re Ladislao V, imprigionatolo, lo portò con sé a Praga, quale ostaggio; dopo la morte subitanea del re (1457) lo tenne presso di sé il nuovo re ussita dei Cechi, Giorgio Podjebrad, finché nel 1458 venne eletto re di Ungheria e richiamato in patria. Il Podjebrad lo restituì solo in cambio di una somma elevata e della promessa che M. sposasse sua figlia Caterina, come poi avvenne.
M. dimostrò ben presto le sue notevoli capacità di regnante: organizzò un esercito stabile, ristabilì l'ordine nel paese, riportò vittorie notevoli sul Turco e sull'imperatore romano-germanico, Federico III di Asburgo, rafforzò il potere centrale. In campo culturale non fu meno attivo: cominciò a creare una corte rinascimentale, istituì la biblioteca Corviniana. Queste tendenze umanistiche e culturali del suo governo si rafforzarono sensibilmente per il suo secondo matrimonio (era infatti rimasto vedovo di Caterina), con Beatrice di Aragona, figlia di Ferdinando re di Napoli, avvenuto nel 1478. Le relazioni con le corti italiane, specialmente quella napoletana e ferrarese, divennero sempre più vive. Si formò nella corte un ceto neoplatonista, ma non mancarono neanche le ricerche astronomiche per merito di Regiomontano e di Galeotto Marzio. Vigeva inoltre nell'ambiente di M. la tendenza della cosiddetta ‛ nuova religiosità ' (devozione moderna).
Le mire del re a creare un gran regno e diventare imperatore romano-germanico per poter far fronte alla pressione turca occuparono più di un ventennio della sua vita. Nel 1485 gli riuscì di occupare Vienna, ove trasferì la sua corte. Ivi morì improvvisamente, nel 1490: il sospetto che la sua morte non fosse naturale sembra infondato.
Il suo merito nella fortuna di D. in Ungheria consiste nell'aver accettato i diritti della lingua volgare, espressi nel Convivio, e certi pensieri di una monarchia centralizzata, propagatrice della cultura. Alcuni passi delle opere di Galeotto Marzio, di Antonio Bonfini e di Aurelio Brandolino Lippo ci porgono documenti concreti di tale influsso. Probabilmente anche l'idea politica ghibellina e laica di D. fece la sua strada nella cancelleria e nella corte.