MATURINO da Firenze
MATURINO da Firenze. – Nacque a Firenze, probabilmente nel 1489.
La data di nascita è ricordata da Nicolò Pio e trova parziale conferma in Vasari. Questi sembra sottintendere che M. fosse più anziano di Polidoro Caldara, detto Polidoro da Caravaggio (nato con ogni probabilità tra il 1499 e il 1500), quando i due si conobbero presso le logge vaticane nel 1517-18. Secondo tale testimonianza, M., «alle anticaglie tenuto bonissimo disegnatore» (V, p. 142), introdusse a questa pratica l’ancora inesperto artista lombardo.
I due pittori successivamente costituirono uno dei più celebrati sodalizi artistici della Roma rinascimentale; le loro «vite», unite da Vasari in un’unica narrazione, costituiscono ancora oggi la fonte principale per la ricostruzione delle vicende biografiche di Maturino.
Di M. Vasari ricorda, con un giudizio piuttosto lapidario, come, di fatto, egli «non fosse aiutato quanto Polidoro dalla natura» (V, p. 143); e ne menziona esclusivamente le opere eseguite insieme con Caldara, al quale peraltro venivano in primo luogo attribuite. Non solo, ma aggiunge che «poté tanto l’osservanza dello stile nella compagnia, che l’uno e l’altro pareva il medesimo, dove poneva ciascuno la mano, di componimenti, d’aria e di maniera» (p. 143), venendo così drasticamente a svuotare l’identità artistica di M. e il suo specifico ruolo all’interno del sodalizio. Il problema risulta di ancor più difficile soluzione a causa del mancato ritrovamento di documenti che lo riguardino, nonché per il rapido deteriorarsi del nucleo essenziale della produzione dei due artisti ricordata da Vasari. Si è venuta così a decretare la sfortuna di M. presso la storiografia moderna, la quale ha regolarmente eluso la questione relegandolo al ruolo di semplice comprimario di Polidoro, come risulta evidente anche dai primi tentativi di stabilire una distinzione tra le loro mani (Pacchiotti; Baumgart), formulati a partire dal giudizio negativo di Vasari e attribuendo quindi a M. le parti ritenute di qualità inferiore. In realtà una differenza di stile tra i due pittori doveva comunque risultare evidente nel Cinquecento, stando almeno a quanto sembra sottintendere Francisco de Hollanda nei Dialoghi (p. 146).
Soprattutto a Nicole Dacos e, in misura minore, a Gnann va ascritto il merito di avere effettuato l’unico coerente tentativo di rilevare possibili caratteri specifici nella maniera di M. e di definire un primo corpus di opere sue, mediante ulteriori indizi ricavabili dalle fonti storiche e grafiche.
Riguardo alla formazione è ragionevole supporre un primo tirocinio di M. presso la bottega del padre, mediocre pittore ricordato, senza la menzione del nome, da Vasari come maestro di Baldassarre Peruzzi.
Sempre sulla base della testimonianza di Vasari, M. venne inserito nella lista di artisti che copiarono il cartone della Battaglia di Cascina, eseguito da Michelangelo Buonarroti nel 1505, subito dopo Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Iacopo), con il quale potrebbe avere intrattenuto contatti, come sembrerebbero suggerire i caratteri fortemente espressivi rilevati nella sua maniera (Dacos, 1982, p. 24).
Secondo un percorso intrapreso da altri pittori fiorentini della sua generazione, M. si spostò quindi a Roma probabilmente nel secondo decennio del Cinquecento, dove ebbe modo di approfondire la lezione michelangiolesca mediante lo studio della volta della Sistina, come sembra suggerire lo stesso Vasari (V, p. 142) ricordando che, all’epoca dell’incontro con Polidoro, era «nella cappella del papa».
Sulla base di alcuni confronti con opere successive ascritte al suo catalogo, è stata rilevata la presenza di M. presso alcuni cantieri pittorici diretti da Peruzzi a partire dalla fine del secondo decennio del Cinquecento, in particolare nelle decorazioni del piano nobile della Farnesina, eseguite tra il 1516 e il 1519 per il banchiere Agostino Chigi. Tale ipotesi appare vieppiù rafforzata dai rapporti intercorsi tra Peruzzi e il padre di Maturino.
A M. è stata innanzitutto riferita l’esecuzione di una parte del fregio a carattere mitologico della sala delle Prospettive, improntato a un classicismo accademico più tipicamente senese, sul quale si innesta però una tendenza, derivante dalla sua formazione fiorentina, alla deformazione fisionomica e al plasticismo nel modellare le figure (Dacos, 1982, pp. 18-21). Con la decorazione a grottesche della volta tripartita del corridoio antistante la sala precedente e le piccole scene in chiaroscuro ispirate per la maggior parte alle Metamorfosi di Ovidio nel soffitto della stanza di Alessandro e Rossane, M. sembra trovare maggiore libertà espressiva nell’elaborazione delle scene, ispirate a modelli antichi selezionati soprattutto nell’ambito della glittica e della numismatica (ibid., pp. 21-24).
In quest’ultima sala la storiografia ha rilevato la presenza di due mani, associando così il nome di Polidoro a M., autore solamente delle «storiette» che si distinguono per una maggiore espressività, quali per esempio il Ratto di Proserpina (Gnann, p. 219).
È invece probabile che Polidoro e M. si ritrovassero a collaborare per la prima volta nell’ambito della decorazione della cosiddetta volta dorata in palazzo della Cancelleria, eseguita sotto la direzione di Peruzzi attorno al 1520. A questa impresa parteciparono infatti con ogni probabilità alcuni artisti di cultura raffaellesca, tra i quali lo stesso Polidoro, che collaborarono nelle logge di Leone X e che si trasferirono presumibilmente nell’atelier di Peruzzi dopo il completamento di quel cantiere. La mano di M. in particolare è rilevabile nel Giudizio di Salomone e in alcuni partiti decorativi della volta (Dacos, Peruzzi…, 1987).
La svolta decisiva per la carriera di M. e di Polidoro si deve all’intuizione di costituire, in quegli anni cruciali a cavallo della morte di Raffaello, un sodalizio specializzato soprattutto nel dipingere i prospetti di edifici con finti rilievi a chiaroscuro di soggetto classico, genere di cui detennero il monopolio sul mercato romano fino al sacco del 1527.
Secondo le testimonianze coeve i due artisti ne furono considerati i più grandi divulgatori proprio con Peruzzi, che prima di loro raggiunse il massimo livello di integrazione tra ordine architettonico e finto rilievo (Serlio). È ragionevole immaginare che almeno inizialmente non ci fossero gerarchie definite tra i due pittori, ma che la scelta di costituire la società fosse stata orientata come consuetudine da una riconosciuta parità artistica e quindi da una complementarità delle specifiche competenze.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla maggioranza degli storiografi, M. doveva avere una propria autonomia nell’ideazione delle immagini, come suggerisce l’incisione cinquecentesca di Nicola Vicentino raffigurante la Fuga di Clelia, di cui si conserva anche una copia successiva di Andrea Andreani (1608). Inoltre la competenza antiquaria e le doti disegnative di M. si integravano con la monumentalità della maniera di Polidoro, caratterizzata anche da una scioltezza pittorica estremamente preziosa per un tipo di tecnica che richiedeva un’esecuzione molto veloce.
Secondo Vasari e Mancini i due artisti eseguirono le decorazioni di almeno una trentina di prospetti, purtroppo perduti o fortemente compromessi già alla fine del Settecento, di cui però si ha conoscenza anche attraverso un numero impressionante di riproduzioni grafiche cinquecentesche, che ne testimoniano il grande successo. Delle varie commissioni eseguite si è tentato di stabilire una cronologia (Marabottini, pp. 102-135, 351-376; Leone de Castris, pp. 108-172, 494-503), ancora però suscettibile di modifiche in mancanza di approfondite ricerche documentarie. La prima a essere ricordata nelle loro vite è quella per la residenza del cardinale Guidone Ferreri da Vercelli. Oltre alla facciata con otto Divinità dipinte in finte nicchie, ne portarono a termine anche la decorazione interna. Entrambi i lavori, andati perduti, sono da collocare entro il 1520 in quanto realizzati in collaborazione con Pellegrino da Modena, che quell’anno ritornò nella propria città natale. Tra i vari prospetti eseguiti nel medesimo periodo sono da menzionare anche quello del collegio Capranica (Herrmann Fiore, pp. 277-283), nonché gli esterni di palazzo Baldassini, il cui cantiere decorativo era sotto la responsabilità di Perin del Vaga e di Giovanni da Udine (Giovanni Ricamatore) tra il 1519 e il 1522 (Marabottini, pp. 373 s.). Il coinvolgimento di M. e Polidoro è innanzitutto spiegabile in virtù della precedente militanza del lombardo nella bottega di Raffaello. Dibattuta è la loro presenza in altri cantieri diretti dagli allievi dell’Urbinate, come nell’esecuzione delle Storie della Passione di Cristo nella cappella degli Svizzeri al camposanto Teutonico, probabilmente affidate a Perin del Vaga e da datare tra il 1521 e il 1523 (Gnann, pp. 74-89; Leone de Castris, p. 78), ma pesantemente restaurate almeno a partire dal Seicento. La storiografia inoltre attribuisce ai due pittori le scene sul basamento della sala di Costantino nei palazzi vaticani (Pacchiotti; Dacos, 1982, p. 14), decorata da Giulio Romano e da Gian Francesco Penni tra la fine del 1523 e l’autunno dell’anno successivo, nonché parte dell’ornamentazione per la «stufetta» di Castel Sant’Angelo, che Clemente VII commissionò a Giovanni da Udine attorno al 1525 (Dacos, Giovanni da Udine…, 1987, p. 130 n. 181). Ma queste due ipotesi sono state respinte da Gnann (p. 233). A M. è stato attribuito il fregio con battaglie nel salotto dell’ultimo piano della residenza Farnese a Gradoli, decorato tra il 1521 e il 1524 (Gennari Santori; Gnann, pp. 219-226), sulla base di confronti stabiliti con alcune scene sul soffitto della sala di Alessandro e Rossane alla Farnesina. La cronologia potrebbe ulteriormente restringersi a un periodo a ridosso del marzo 1524, in quanto M. non è citato nella celebre lettera di Pietro Summonte inviata a Marcantonio Michiel (edita da F. Nicolini, in L’arte napoletana del Rinascimento e la lettera di P. Summonte a M. Michiel, Napoli 1925), che ricorda Polidoro allora attivo a Napoli.
Entro il 1525 M. affiancò con ogni probabilità Polidoro nella decorazione del salone principale della villa di Baldassarre Turini (ora villa Lante), datario di Leone X, su progetto di Giulio Romano (Lilius).
Sebbene con qualche riserva (Gnann, p. 233), tradizionalmente vengono assegnati a M. i due riquadri con la Fuga e la Liberazione di Clelia e a Polidoro l’Incontro tra Giano e Saturno e il Ritrovamento del corpo di Porsenna (Roma, Biblioteca Hertziana). Le scene relative all’eroina romana si distinguono per l’organizzazione più classicheggiante dei gruppi di personaggi, ricalcata direttamente da sarcofagi antichi, dei quali riprende anche le singole posture, secondo un procedimento sovente impiegato da Peruzzi ma estraneo al pittore lombardo. Su questa matrice si innestano un’espressività gestuale e una caratterizzazione talvolta grottesca dei volti, assenti invece nelle raffigurazioni di Polidoro, che si distinguono per un quieto naturalismo e una più spiccata monumentalità (Dacos, 1982, p. 11).
Sulla base delle distinzioni effettuate in queste raffigurazioni è stata ricercata la presenza di M. in alcune opere tradizionalmente comprese nel catalogo di Polidoro, come nella tela con Psiche condotta all’Olimpo (Hampton Court Palace, collezioni reali), da riferirgli per una disposizione delle figure maggiormente compatta e semplificata rispetto alla Psiche abbandonata sulla roccia (Parigi, Louvre), appartenente originariamente allo stesso complesso.
Alcune raffigurazioni di un fregio frammentario conservato a Hampton Court si distinguono invece per alcune forzature espressive che presentano forti assonanze con lo stile di M. (ibid., p. 13). Con esse sono state messe in relazione, inoltre, le Danzatrici a monocromo del Museo Puškin di Mosca e la Galatea della Galleria Doria Pamphilj di Roma, che si distingue per la sua raffinata grazia manierista (ibid., pp. 15, 17). Meno attendibili sono, al contrario, gli indizi ricavabili dalle decorazioni sulle facciate dei palazzi Milesi (Storie di Niobe), databili al 1526-27, e Calcagni-Ricci (Storie romane), uniche a essere conservate in situ, ma sottoposte a restauri e rifacimenti: a esse si deve forse aggiungere la decorazione di un edificio nell’odierna via del Pellegrino attribuita a Polidoro (Marini, pp. 48 s.). Inoltre si conservano a Roma i frammenti distaccati dal prospetto di una residenza a «piazza Madama» (Museo di Roma) con Storie di Perseo, Muse e Poeti e dal casino Del Bufalo (Galleria nazionale d’arte antica a Palazzo Barberini), con scene a carattere storico, la cui cronologia rimane però incerta. Nonostante la scarsa leggibilità, soprattutto nel primo caso si è tentato di stabilire una distinzione tra le mani dei due artisti. Infatti nella scena con Perseo che pietrifica Polidetto emerge una monumentalità accostabile a Polidoro; mentre le restanti storie, insieme con l’Allegoria della Fortuna, si caratterizzano per un plasticismo e un gusto del dettaglio decorativo tipici di M. (Dacos, 1982, pp. 14 s.).
L’unica decorazione eseguita dai due pittori che viene ricordata dalle fonti, conservatasi pressoché integra, è quella della cappella di S. Silvestro al Quirinale commissionata da fra Mariano Fetti tra il 1525 e la primavera del 1527.
A Polidoro sono da riferire le Storie di s. Maria Maddalena e di s. Caterina; mentre, seppure con molte incertezze, l’intervento di M. è ormai limitato dalla storiografia all’esecuzione di parte del basamento dipinto a monocromo con coppie di putti (Pacchiotti, pp. 204-206; Dacos, 1982, p. 14; Id., Giovanni da Udine…, 1987, p. 130 n. 182). La difficoltà a rilevare la mano di M. è spiegabile con il progressivo adattamento della sua maniera a quella di Polidoro, del quale avrebbe subito progressivamente la più forte personalità rinunciando a parte della sua autonomia.
Negli stessi anni, probabilmente con la collaborazione di Vincenzo Tamagni, i due pittori completarono il ciclo nella sacrestia della basilica di S. Pietro in Vincoli, di cui decorarono anche il perduto prospetto, per volontà del cardinale titolare Alberto di Brandeburgo (Castrovinci).
Secondo Vasari M. morì a seguito della peste scoppiata a Roma al tempo del sacco del 1527 e fu sepolto nella chiesa di S. Eustachio.
Fonti e Bibl.: S. Serlio, Regole generali di architettura sopra le cinque maniere degli edifici (1537), in Tutte le opere d’architettura e prospettiva, Venezia 1619, p. 191; F. de Hollanda, Dialoghi michelangioleschi (1548), a cura di A.M. Bessone Aureli, Roma 1926, pp. 89, 109, 146; G. Vasari, Le vite…(1568), a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 141-154; VII, ibid. 1881, p. 161; G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1628), a cura di A. Marucchi, Roma 1956, ad ind.; N. Pio, Le vite…, Roma 1724, pp. 126 s., 169, 179 s., 255; C. Pacchiotti, Nuove attribuzioni a Polidoro da Caravaggio in Roma, in L’Arte, XXX (1927), pp. 189-213; F. Baumgart, Beiträge zu Raffael und seiner Werkstatt, in Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst, VIII (1931), pp. 58, 60; A. Marabottini, Polidoro da Caravaggio, Roma 1969, ad ind.; L. Ravelli, Polidoro Caldara da Caravaggio, Bergamo 1978, pp. 51, 68 s., 130-132, 147, 153 e passim; H. Lilius, Villa Lante al Gianicolo. L’architettura e la decorazione pittorica, in Acta Instituti Romani Finlandiae, X (1981), pp. 350, 353-355, 358, 361; N. Dacos, Ni Polidoro ni Peruzzi. M., in Revue de l’art, LVII (1982), pp. 9-28; Id., in N. Dacos - C. Furlan, Giovanni da Udine. 1487-1561, Udine 1987, pp. 121 s., 124, 130 nn. 181 s.; Id., Peruzzi dalla Farnesina alla Cancelleria: qualche proposta sulla bottega del pittore, in Baldassarre Peruzzi. Pittura, scena e architettura nel Cinquecento, a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1987, pp. 483-486, 489 s.; L. Ravelli, Gli affreschi di Polidoro in S. Silvestro al Quirinale, Bergamo 1987, passim; K. Herrmann Fiore, La retorica romana delle facciate dipinte da Polidoro, in Raffaello e l’Europa. Atti del IV Corso…, a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1990, pp. 269-296; F. Gennari Santori, La decorazione del palazzo Farnese a Gradoli, in Storia dell’arte, 1995, n. 83, pp. 85 s., 89, 92, 94; A. Gnann, Polidoro da Carvaggio (um 1499-1543). Die römischen Innendekorationen, München 1997, pp. 3 s., 6, 47, 77, 138 e passim; P. Leone de Castris, Polidoro da Caravaggio: l’opera completa, Napoli 2001, ad ind.; M. Marini, Polidoro Caldara da Caravaggio. L’invidia e la fortuna, Venezia 2005, pp. 9 s., 16 s., 21, 24 e passim; R. Castrovinci, La sacrestia di S. Pietro in Vincoli. Polidoro da Caravaggio e Vincenzo Tamagni, in Storia dell’arte, 2007, n. 118, pp. 9-30; V. Lorini, in Die Künstler der Raffael-Werkstatt, Berlin 2007, pp. 187-210; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 377-380 (s.v. Caldara, Polidoro).