Chevalier, Maurice
Cantante e attore cinematografico francese, nato a Parigi il 12 settembre 1888 e morto ivi il 1° gennaio 1972. Il sorriso assassino, l'atteggiamento sornione, l'allegria vitale da seduttore impenitente, trasformatasi con il tempo in bonaria giovialità, sono le caratteristiche inconfondibili di uno stile, progressivamente perfezionato e ammorbidito, con il quale C. si impose dapprima sui palcoscenici di Parigi e quindi nei film interpretati. Dei tanti chansonniers suoi compatrioti che hanno fatto del cinema, C. non fu il più bravo né il più originale, ma sicuramente il più istintivo e popolare, l'emblema stesso della joie de vivre francese e della sua retorica. Crebbe nel quartiere periferico di Ménilmontant, simbolo della Parigi popolare nell'immaginario collettivo, e patria di altri celebri cantanti: a esso C. si ispirò in molte delle sue canzoni. Di famiglia poverissima, era il penultimo di dieci figli di cui solo tre superarono l'infanzia: quando aveva otto anni il padre, imbianchino alcolizzato, se ne andò di casa, e la madre, merlettaia, dovette badare da sola ai suoi bambini, finché si ammalò gravemente. A dieci anni C. fu così costretto a lasciare la scuola e con il fratello Paul trovò lavoro nel circo Medrano; a dodici cominciò a esibirsi come cantante e imitatore nei caffè di periferia; a sedici fu scritturato al music hall Parisiane, che fu il suo vero trampolino di lancio. Cominciò allora a comporre canzoni che erano, come scrisse egli stesso nell'autobiografia, un miscuglio di sport, danza e commedia. Lavorò quindi nei migliori locali, al fianco di professionisti già affermati, tra cui la celebre Mistinguett. Nello stesso periodo esordì sullo schermo, inizialmente in cortometraggi di genere comico come Trop crédule (1908) di Jean Durand, Par habitude (1911) di Max Linder e La valse renversante (1914) di Georges Monca, insieme a Mistinguett. All'inizio della Prima guerra mondiale fu ferito in combattimento e, fatto prigioniero, passò due anni in un campo tedesco. Liberato alla fine del 1916, tornò al teatro, e tra il 1919 e il 1927 recitò più volte con successo anche a Londra. Riprese inoltre la carriera cinematografica, collaborando con il regista Henri Diamant-Berger che lo impiegò in sette commedie di medio e lungo metraggio, quasi tutte perdute, tra cui un rifacimento di Par habitude (1923). Nel 1929, con un contratto della Paramount in tasca, sbarcò a New York; la sua celebrità era ormai tale che gli permise di fare la spola per sette anni tra teatro e cinema, New York e Hollywood, Londra e Parigi. Il suo primo film a Hollywood fu Innocents of Paris (1929; Parigi che canta) di Richard Wallace, ma di rilievo sono i quattro diretti da Ernst Lubitsch, capolavori dell'effimero sottogenere della cineoperetta: tre con Jeanette MacDonald, The love parade (1929; Il principe consorte), primo film sonoro del regista berlinese, The smiling lieutenant (1931; L'allegro tenente) e The merry widow (1934; La vedova allegra), con lo splendido bianco e nero di Oliver T. Marsh e le stravaganti scenografie di Cedric Gibbons e Fredric Hope; e il quarto con Claudette Colbert, One hour with you (1932; Un'ora d'amore). Si trattò di una collaborazione felice: C. costituì con Jeanette MacDonald una delle più importanti coppie divistiche nella Hollywood degli anni Trenta, e la sua effervescente simpatia, l'umorismo popolaresco e le doti canore furono messe in valore dall'ironia elegante, dalle invenzioni registiche e dal famoso 'tocco' di Lubitsch. Tra gli altri film statunitensi del periodo prebellico merita una menzione almeno Love me tonight (1932; Amami stanotte) di Rouben Mamoulian, ancora con la MacDonald. Tornato stabilmente in Europa nel 1936, C. girò in Inghilterra The beloved vagabond (1936; L'amato vagabondo) di Curtis Bernhardt e Break the news (1938; Vogliamo la celebrità) di René Clair; in Francia Avec le sourire (1936; Sorridete con me) di Maurice Tourneur e soprattutto Pièges (1939; L'imboscata) di Robert Siodmak: in quest'ultimo ebbe il primo vero ruolo drammatico, anticipazione della sua migliore interpretazione non canora, quella del regista del cinema muto Émile Clément in Le silence est d'or (1947; Il silenzio è d'oro), capolavoro postbellico di Clair. Nel 1944 venne accusato di collaborazionismo con gli occupanti tedeschi, ma gli fu facile discolparsi. Ben maggiori difficoltà gli procurò l'adesione al cosiddetto Appello di Stoccolma del 1949 per la messa al bando delle armi nucleari: fu infatti dichiarato 'persona non grata' dal Dipartimento di Stato, e fino al 1955 gli venne proibito di ritornare negli Stati Uniti. Ma una volta tolto il divieto, l'accoglienza fu trionfale, e la sua attività cinematografica si concluse proprio a Hollywood, ove tra il 1957 e il 1967 prese parte, quasi sempre in ruoli di secondo piano, a quattordici film: i migliori sono Love in the afternoon (1957; Arianna), che nel suo sagace dosaggio di sentimentalismo e cinismo è la più lubitschiana delle commedie di Billy Wilder, e Gigi (1958) di Vincente Minnelli, che gli valse un Oscar alla carriera.Nel periodo compreso tra il 1946 e il 1954 pubblicò una dettagliata autobiografia in sei volumi, Ma route et mes chansons, di cui uscì nel 1972 un'edizione accresciuta e aggiornata in dieci volumi.
A. Rivollet, Maurice Chevalier, de Ménilmontant au Casino de Paris, Paris 1927.
P. Cudlipp, Maurice Chevalier's own story, London 1930.
J. Boyer, La vie romanesque de Maurice Chevalier, Montréal 1934.
A. Willemetz, Maurice Chevalier, Genève 1954.
M. Taterová, Maurice Chevalier, Praha 1970.
G. Colin, Maurice Chevalier: une route semée d'étoiles, Paris 1981.
M. Freedland, Maurice Chevalier, New York 1981.
P. Berruer, Maurice Chevalier, Paris 1988.
D. Bret, Maurice Chevalier: up on top of a rainbow, London 1992.
D. Ringold, P. Guiboust, Maurice Chevalier: le sourire de Paris, Paris 1995.