CENTINI, Maurizio
Primo dei quattro figli di Angela Centini, sorella del card. Felice, e di Giovanni - e il fatto che il C. e i fratelli abbiano assunto il cognome materno fa supporre che quello (peraltro ignoto) paterno sia stato soppiantato anche e soprattutto per godere dei riflessi dell'influenza dello zio -, nacque, attorno all'anno 1595, a Polesio, che era un piccolo centro a ridosso di Ascoli Piceno.
Entrato, a imitazione dello zio, nell'Ordine dei minori conventuali, quasi nulle sono le attestazioni sulla sua prima giovinezza e di scarso rilievo: si sa, ad esempio, che delega un certo don Silvio Bennati a rappresentarlo come padrino, nella natia Pollesio, in occasione del battesimo d'un neonato.Lettore, evidentemente grazie all'appoggio del card. Felice, a Ferrara di filosofia dal 1612 al 1618 e di teologia dal 1618 all'inizio del 1626, sostiene, il 24 febbr. 1614, pubblicamente a Roma, "in aedibus Duodecim Apostolorum", come "baccalaureus", delle Theses de angelis (ivi pubblicate nello stesso anno e dedicate, "munuscula quidem minima", al card. Scipione Borghese): in queste tratta, rapidamente e scolasticamente, "de substantia ... creatione ... motu ... loco angelorum, de duratione et mensura, de peccato, de intellectione per essentiam... per species, de locutione, de custodia angelorum". Consultore del S. Uffizio e oratore d'un qualche nome - "quem", così, al solito, esagerando, il concittadino Andreantonelli, "cum summo applausu summaque iucunditate omnium gentium populi audiunt", è il C. a cantare, nel giugno del 1617 nella chiesa di S. Francesco ad Ascoli, la messa solenne e a tenere l'orazione di circostanza per l'inaugurazione del "rubone ... di velluto nero nel verno e di damasco nero nell'estate" col quale il "Senato anzianale", come ricorda il Marcucci, decise, dietro suggerimento del card. Felice, di sostituire "l'antica toga talare". Ed il C. è ancora ad Ascoli nel 1623 per stipularvi, a nome dello zio, un contratto col convento di S. Francesco.
Creato, il 9 febbr. 1626, vescovo di Massalubrense - cittadina campana la cui mensa vescovile, rileverà il Persico, fruttava, grazie agli "oliveti" e "magazzeni della marina", 700 ducati annui d'entrata, ai quali s'aggiungevano i proventi della "mastrodattia" -, vi indisse, il 29 sett. 1626 e il 4 dic. 1629, due sinodi (e gli atti del primo vennero pubblicati a Napoli nel 1627).
In questi introdusse qualche riforma concemente il clero e la vita della diocesi, regolamentò il canto dei salmi e dei vespri, disciplinò le messe conventuali, abolì molti abusi usuali nelle esequie, aggiunse ai santi patroni già esistenti s. Francesco, s. Ignazio di Loyola e s. Filippo Neri, istituì una scuola pei casi di coscienza. Particolare cura prestò il C. alla cattedrale: provvide a restaurarne la volta cadente facendola, inoltre, decorare e la dotò d'una nuova tribuna per l'organo.
Morto l'ascolano Virgilio Capponi, vescovo di Mileto, fu destinato a succedergli il 12 maggio 1631. Raggiunta la nuova sede, di cui era già stato titolare per breve tempo lo zio, volle ricordare il Capponi con un monumento marmoreo nella cattedrale, ove, inoltre, nella cappella di S. Nicola da quello eretta, dispose il tumulo delle ossa d'altri due vescovi. Caratterizzano, infine, il suo episcopato il completamento del seminario, la celebrazione d'un sinodo e le frequenti e diligenti visite pastorali.
In contatto con circoli accademici ascolani e amico di qualche letterato - quale, soprattutto, il concittadino Marcello Giovanetti che gli dedicò l'unica sua composizione latina, una Pulchrae dormientis descriptio, e alla cui favola pastorale Cilla (se ne ricordano due edizioni, una romana del 1626 e una, a Monteleone, del 1636; così, almeno, in Cantalamessa Carboni, p. 184 e G. C. Savioli, Bibl. un. del teatro...,I,Venezia 1894, p. 758) il C. avrebbe concesso l'imprimatur -, il C. ambì a rivestire di letterarie eleganze i frutti, piuttosto modesti, delle sue devote meditazioni. Ciò appare evidente nelle sue Predichedell'avvento - ove tratta via via della "sacra mistura" della "felicità negl'indi", del "giubilo nel mondo", dell'"umiltà costante", dell'"incanto sacro", dello "spettacolo di Betlemme", del "vivo esemplare di Cristo", del "calice dei tre martirii", dell'"allegrezza non conosciuta", della "fabbrica della Chiesa" - che pubblicò, dedicandole allo zio, a Messina nel 1633, assieme a l'Enneade sacra, consistente, appunto, in nove discorsi nei quali "ragiona" dei "varii effetti della venuta del Verbo", del "nascimento esterno del figlio di Dio", della "creazione del mondo", della "nascita nel presepio", del "patimento del Calvario", del "risorgimento dal sepolcro", dell'"ascesa ... al paradiso", del "finale giudizio" e di "tutti i misteri di Maria": i maldestri imbellettamenti formali - donde esclamazioni del genere, "ecco le stelle avventurose, ecco le rose vermiglie, ecco gli odorati fieni" - appesantiscono, anziché alleggerire, ancor più la piattezza dei concetti. Né - sebbene tra gli elogi precedenti le sue composizioni ci sia anche il paragone, a suo vantaggio, con Orazio ("Flacce vale; si sancta putas praeferre prophanis / hic princeps lyricis, Phoebus ait, numeris") - felici sono i suoi conati di verseggiatore latino nel Sacrorum epigrammattum liber, uscito a Ferrara nel 1624 e, più nutrito, a Messina nel 1635; in questo, accanto all'ammanierata commozione di fronte a determinati episodi della vita di Maria, all'umiltà di s. Giovanni Battista, alle figure di santi come Stefano, Cecilia Barbara, ai re magi adoranti, alla Maddalena piangente, il C. esprime, esultando per la caduta di La Rochelle o per la morte di Adolfo di Svezia ("...inglorius agmine victo / esse cupis Caesar, caesus Adolphe cadis"), un odio antiereticale non privo, nel suo livore, di venature sadiche.Più estese e risultato di un lungo sistematico impegno e sollecitate dall'esigenza di liberarsi dall'ombra della sciagurata vicenda del fratello Giacinto (in questa il C. era stato, suo malgrado, coinvolto quando, qualche giorno dopo l'esecuzione, venne interrogato dall'Inquisizione) le De incarnatione dominica disputationes theologicae ad mentem Scoti...(Messanae 1637)dedicate al card. Pier Maria Borghese.
Con la fida scorta di Duns Scoto - nel riferirsi dichiaratamente a lui il C. non solo rendeva omaggio al doctor subtilis orgoglio del suo Ordine e oggetto, anche, d'assiduo studio da parte dello zio, ma si riallacciava all'accentuata fioritura dello scotismo riscontrabile, nel '600, nel Meridione (cfr. D. Scaramuzzi, Il pensiero di ... Scoto nel Mezzogiorno d'Italia, Roma 1927, pp. 137-52) - e l'ausilio di molti altri autori, di cui non si trattiene dallo sciorinare l'affollato "catalogus", egli si cimenta a discutere "de existentia", "de necessitate", "de tempore", "de quidditate" dell'incarnazione, "de quantitate huius unionis", "de causis phisicis", "de causis moralibus", "de persona assumente", "de natura et partibus assumptis a verbo", "de communicatione idiomatum", "de gratia habituali Christi", "de gratia capitis in Christo".
Morì, secondo l'Ughelli, a Palmi, all'inizio del 1640.
I repertori gli attribuiscono altri scritti: un profilo di dodici francescani ascolani, due tomi sulla teologia scolastica, un poemetto latino in lode "Polesii montis asculani" (si tratta dell'Ascensione sulle cui falde sorge il suo paese natio) pubblicato a Bologna nel 1618 (ma l'edizione è introvabile), e delle Disputationes de sacramentis, in ispecie de baptismo et confirmatione, pure queste, a detta di Modesto Gavazzi, un discepolo del C., pubblicate.
Fonti e Bibl.: Sette bolle pontif. al C. del 1626-34 in Bibl. Ap. Vaticana, Borg. lat., 74, cc. 74v, 81v,129v, 130, 170v, 188v, 190; Constitutiones et decreta... synodi Lubrensis Ecclesiae celebratae a M. C. episcopo, Ncapoli 1627; M. Giovanetti, Poesie, Roma 1626, pp. 64-69; G. B. Persico, Descrittione ... di Massa Lubrense, Napoli 1644, p. 52; B. Theulus, Triumphus seraphicus …, Velitris 1645, p. 115; M. Gavazzi, Opuscula theologica, Romae 1650, pp. 358-416 passim; Id., De ... eucharistiae sacramento ... disputationes theologicae ad mentem ... Scoti …,Romae 1656, p. 2; G. Gigli, Diario romano, a cura di G. Ricciotti, Roma 1958, p. 154; S. Andreantonelli, Historiae Asculanae libri IV..., Patavii 1673, pp. 118, 157 s.; G. Franchini, Bibliosofia ... discrittori ... conventuali..., Modena 1693, pp. 453 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I,Venetiis 1717, coll. 959 s.; VI, ibid. 1720, coll. 649 s.; F. Borsetti, Historia ... Ferrariae Gymnasii, II,Ferrariae 1735, p. 232; [F. A. Marcucci], Saggiodelle cose ascolane …,Teramo 1766, pp. CLVII, CLXV, CCCCXXII s.; [F. Vecchietti-T. Moro], Biblioteca picena, III,Osimo 1793, p. 197; Nuovo diz. istorico...,IV,Bassano 1796, p. 231; G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati ... di Ascoli ..., Ascoli 1830, pp. 160 s.; Sigismondo da Venezia, Biografia serafica, Venezia 1846, p. 605; G. B. Carducci, Su le mem. e i monum. di Ascoli, Fermo 1853, p. 50; M. Rosi, La congiura di G. Centini...,in Arch. d. R. Soc. rom. di st. patria, XXII (1899), p. 357; R. Filangieri di Candida, St. di Massa Lubrense, Napoli 1910, pp. 516 s.; Cat. gén. ... de la Bibl. nat., XXV,Paris 1925, col. 683; N. Papini, Lectores publ. Ordinis ... convent.,in Miscell. Franc.,XXXI (1931), p. 101; Series episcop. ex Ordine... conventualium, ibid.,p. 115; U. Smeets, Lineamenta bibliographiae scotisticae..., Roma 1942, n. 558; G. Fabiani, Il card. Felice Centini ... e i nipoti...,in Miscell. francescana, LVII (1957), pp. 573 ss.; Id., Ascoli nel Cinquecento, II, Ascoli Piceno 1959, pp. 308-40 passim; H.Hurter, Nomenclator literarius, I, p.259; L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum …,Romae 1906, p. 172; G. B. Sbaraglia, Supplementum ... ad scriptores ... Ordinum S. Francisci …, Romae 1921, II, p. 240; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV,Monasterii 1935, pp. 234, 242; Dict. de théol. cath., II, col. 2136; Dict. d'Hist. et de Géogr. eccles., XII, col. 145.