GRANDE, Maurizio
Nacque a Roma, il 17 genn. 1944, da Antonio e Pierina Nardi.
La sua formazione scolastica fu di tipo classico-umanistico: frequentò infatti il liceo classico Giulio Cesare, ottenendo la maturità nel 1963. Si iscrisse poi alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università La Sapienza e conseguì la laurea in lettere moderne nel 1969, discutendo una tesi in estetica (sulla teoria del linguaggio poetico nella "scuola di Praga"), ottenendo il massimo dei voti e la lode. Dal 1969 al 1979 fu professore di ruolo nelle scuole medie superiori, avendo anche, a partire dall'anno accademico 1975-76 fino al 1978-79, l'incarico di professore di estetica presso l'Università della Tuscia (facoltà di magistero). Nell'anno accademico 1979-80 fu professore incaricato di letterature moderne comparate nella facoltà di lettere e filosofia dell'Università della Calabria, sede di Cosenza; nei due anni successivi, ebbe l'incarico per l'insegnamento di storia dello spettacolo sempre nella facoltà di lettere dell'università calabrese. Nel 1983-84 venne nominato professore associato per l'insegnamento di metodologia della critica dello spettacolo nella facoltà di lettere e filosofia della Sapienza; nell'ottobre 1986 vinse il concorso di professore ordinario, ottenendo la cattedra di semiologia dello spettacolo nuovamente presso l'Università della Calabria, dove rimase fino al 1992; l'anno successivo si trasferì all'Università di Siena per insegnare storia e critica del cinema. Nel 1994 insegnò pure come professore ospite a Parigi alla Sorbona. Nei primi anni Novanta fu tra i promotori del corso di laurea in discipline delle arti della musica e dello spettacolo (DAMS, il secondo in Italia, dopo quello bolognese), presso l'Università della Calabria.
Nel corso di tutta la sua attività di studioso e docente il G. spaziò in diversi ambiti disciplinari, dalle metodologie d'analisi d'impronta semiologica alle problematiche filosofico-estetiche, dagli studi dello spettacolo teatrale a quelli di storia del cinema; tale ampiezza di conoscenze e di interessi, unita a un'interdisciplinarità feconda di risultati, lo qualificarono, nei suddetti settori, come uno fra i più significativi studiosi della cultura italiana di fine Novecento.
Il G. operò con risultati di rilievo anche al di fuori dell'ambito accademico: nel 1989 fu consulente scientifico della Biennale di Venezia, per il settore teatro; fu attivo nel mondo della televisione, collaboratore di Paese sera e, per un decennio (1980-90), critico drammatico del settimanale Rinascita. Dal 1993 iniziò anche a scrivere per la scena (i suoi lavori furono pubblicati postumi raccolti in: Una trilogia facile: Empedocle tiranno, Shylock e Faust, Lettera ad Antonin Artaud, Roma 1997); ottenne, per la sua attività, vari premi, tra i quali si segnalano, nel 1986, il premio Film critica - Umberto Barbaro per il volume Abiti nuziali e biglietti di banca. La società della commedia nel cinema italiano (ibid. 1986); e, nel 1996, il riconoscimento speciale Silvio D'Amico dell'Istituto del dramma italiano per Dodici donne. Figure del destino nella letteratura drammatica (Parma 1994).
Il G. morì a Siena, in un incidente stradale, il 30 nov. 1996.
La sua opera comprende diciassette volumi e oltre un centinaio di saggi, articoli, interventi vari, per quotidiani, periodici e opere miscellanee. In questa vasta produzione si distinguono i contributi dedicati al teatro e alla letteratura drammatica, e quelli di argomento cinematografico. Tra i primi: Carmelo Bene,il circuito barocco (Roma 1973), La riscossa di Lucifero. Ideologie e prassidel teatro di sperimentazione in Italia (ibid. 1985), e Dodici donne…, cit.; tra i secondi spiccano le monografie su registi, come Marco Ferreri (Firenze 1974), Jean Vigo (ibid. 1979), e saggi quali Abiti nuziali…, cit., Il cinema di Saturno. Commedia e malinconia (Roma 1992).
Le linee portanti della ricerca del G. possono essere sintetizzate, per quanto riguarda il teatro, nel suo accompagnare criticamente ed esegeticamente il lavoro del teatro di sperimentazione italiano nella sua fase più emblematica (anni Settanta-Ottanta) con particolare attenzione alla figura di C. Bene; parallelamente acquistano grande importanza le sue letture ideologiche, filosofiche e antropologiche nei riguardi del tragico, specie quando è declinato, nella letteratura teatrale, in figure e personaggi femminili. Partendo da una ridefinizione critica delle nozioni di "perdita del referente" e di "eclissi del senso", prodotte dal pensiero postmoderno, il G. riesamina lo stato e le vocazioni della ricerca teatrale, con l'intento di tracciare orbite di significazione plurali ed eterogenee, analizzare pratiche comunicative, tendenze di poetica, tecniche e linguaggi, nelle loro potenzialità simboliche non separabili da eventi ed elaborazioni socioculturali. Il "caso" Bene, nella sua ricerca di un teatro senza spettacolo, è così assunto dal G. come paradigmatico: il lavoro dell'attore non è articolabile in termini concettuali o di poetica spettacolare o di scelte puramente estetiche; semmai si deve parlare di una prassi di ininterrotta erosione del soggetto e del suo linguaggio, per giungere a una materialità disorganica del senso, nella quale l'attore si colloca come "macchina antieroica" celebrante la fine delle differenze e di ogni idea di totalità. Per quanto riguarda il tragico, poi, il G. ha studiato il ruolo della figura femminile nel configurarne l'enigma; Elettra, Lulu, Salomè, Filumena Marturano ecc. sarebbero la personificazione della "potenza femminile" irriducibile al "potere maschile": sono figure del destino che nella letteratura drammatica esplicitano la fatale frattura dell'essere; la tragedia si concretizza così nella possibilità di assegnare la morte "per decreto", scardinandola dai suoi naturali perni.
Per quanto riguarda il cinema, risultati di grande rilievo hanno ottenuto i suoi studi sulla commedia italiana e sui generi cosiddetti "popolari". Anche su questo versante sono le premesse teoriche, prima ancora dei risultati analitici, a costituire l'asse portante del lavoro del G.: la sua formazione di semiologo lo portava, per esempio, a ricreare nella ricezione critico-esegetica, in "simulacro", tutta quell'opera cinematografica popolare distrutta per motivi politici e mai ricostituita; per il G. l'"oggetto filmico" popolare non sarà mai "univoco", ma "complesso", con una ricchezza di riferimenti e "allusioni interne": per questo il prodotto filmico risulterà politicamente consapevole solo se sarà consapevole "linguisticamente". Il G. teneva così presente un assunto basilare irrinunciabile, quello, cioè, di considerare il cinema come sistema "complesso" di segni, di là da poetiche registiche o da testualità di genere.
Tra le opere del G., oltre a quelle citate, si ricordano ancora: Billy Wilder, Milano 1978; Tesi sullo studio semiotico della cultura, Parma 1980; Lorenzaccio o la grandiosità del vano, Roma 1986 (in collab. con C. Bene); Studi sul dionisismo, ibid. 1988; Eros e politica. Sul cinema di Bellocchio, Ferreri, Petri, Bertolucci, P. e V. Taviani, Siena 1995.
Fonti e Bibl.: Sul G. e sulla sua attività di studioso si hanno per il momento: La visione e il concetto. Scritti in omaggio a M. G., a cura di R. De Gaetano, Roma 1998; La statua e il giocattolo. Tracce di un pensiero su cinema e teatro, a cura di V. Cascone - M. Dinoi, Siena 1998; R. De Gaetano, Lo sguardo liminare. Breve saggio su M. G., Roma-Cosenza 1999.